Deaf Sociality e Medical Intervention

La costruzione della sordità in due testi a confronto

Fabrizio Loce-Mandes

Queen’s University Belfast

Indice

Etnografia della circolarità e cronologia temporale: la struttura dei testi
“Deaf Deaf same” e “anticipatory structures”
Bibliografia

Michele Friedner, Valuing the Deaf World in Urban India, Pag. 196, New Brunswick – New Jersey – London, Rutgers University Press, 2015

Laura Mauldin, Made to Hear. Cochlear Implants and Raising Deaf Children, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2016, Pag. 215.

In Valuing the Deaf World in Urban India, Michele Friedner descrive e analizza la vita dei giovani sordi in India incrociando gli studi antropologici sulla sordità, i Disability Studies, con un’etnografia critica del sistema economico neo-liberale, che ha coinvolto la sfera lavorativa delle persone con disabilità. Basata su un’enografia di lunga durata, la ricerca antropologica della studiosa statunitense indaga, nel contesto urbano di Bangalore, gli spazi di socialità e le pratiche lavorative dei sordi che utilizzano la Lingua dei Segni Indiana di Bangalore (Bangalore variety Indian Sign Language, d’ora in poi BILS).

Nel secondo testo, Made to Hear. Cochlear Implants and Raising Deaf Children, Laura Mauldin esplora, mediante una ricerca multi situata, il percorso sanitario e relazionale connesso all’Impianto Cocleare (d’ora in poi IC), un’operazione chirurgica che sta diventando sempre più frequente tra le famiglie di persone udenti con figli sordi. Nello specifico, mediante un periodo di osservazione etnografica, interviste a genitori che hanno scelto di utilizzare la tecnologia dell’IC per il loro figli sordi, la sociologa descrive le esperienze, le interazioni con i professionisti sanitari ed educativi, e le relazioni sociali che le famiglie si trovano ad affrontare all’interno del sistema sanitario per l’abilitazione alla lingua orale negli Stati Uniti d’America.

Le due monografie sono basate su ricerche di dottorato – svolte dalle giovani studiose statunitensi che hanno approfondito la tematica mediante ricerche sul campo – in contesti non solo molto differenti, ma anche distanti geograficamente, rispettivamente in India e negli USA. La scelta di recensire e analizzare insieme i due testi deriva tanto dal dibattito che coinvolge la tematica della sordità, da una parte inteso come disturbo fisico/medico, dall’altro come “tratto culturale” di una comunità con una sua lingua propria, quanto dalla preferenza delle autrici di confrontarsi con i punti estremi della controversia: Friedner osserva la quotidianità dei sordi che utilizzano una lingua dei segni, mentre Mauldin segue il percorso medico/assistenzialistico che le famiglie scelgono per i propri figli. Entrambe le autrici conoscono la situazione della sordità tanto negli USA, quanto sul piano internazionale, pertanto scelgono di non occuparsi del dibattito politico che vede l’approccio culturalista in opposizione a quello medicale, così come l’utilizzo di una Lingua dei Segni anziché l’abilitazione alla lingua orale. Analizzare la sordità in una prospettiva biomedica o culturalista, e la relativa scelta della Lingua dei Segni come metodo comunicativo o in chiave di minoranza linguistica, così come l’intervento chirurgico dell’impianto cocleare come miglioramento uditivo o “conformazione” alla maggioranza udente, significa osservare tale fenomeno attraverso una complessa rete di relazioni sociali, spazi dialogici e conflittuali, dibattiti e analisi teorico/metodologiche che non solo influenzano e dominano la quotidianità degli attori sociali, ma rischiano di essenzializzare e ridurre tanto la nozione di “cultura dei Sordi”, quanto la scelta delle famiglie per un approccio esclusivamente biomedico.

Così facendo le due autrici da una parte escludono dalla loro etnografia un percorso storico-politico fatto di controversie e lotte, che le persone sorde hanno dovuto affrontare, così come le pratiche quotidiane e le scelte famigliari connesse alle due prospettive; dall’altra parte, la loro scelta ci permette di osservare in modo chiaro i due punti estremi di tale dibattito, due campi etnografici che sembrano non toccarsi ma che si riflettono a distanza.

Il fenomeno della sordità in antropologia è colmato da una complessità analitica e interpretativa che coniuga l’aspetto culturale a quello medicale, coinvolgendo, in tale articolazione, l’esperienza quotidiana dei soggetti, al tempo stesso condizione esistenziale e ruolo sociale in rapporto alle istituzioni. Negli ultimi vent’anni, in India vi è stato un aumento significativo di congregazioni religiose molto attive per le persone sorde: dai Protestanti ai Cattolici, compresi i Testimoni di Geova. Tale aumento ha avuto un impatto differente se comparato agli istituti educativi dei missionari: se nelle scuole i giovani ragazzi sordi ricevevano un insegnamento orientato verso la comunicazione orale e la lettura labiale, contrariamente nelle chiese hanno avuto la possibilità di imparare e utilizzare la LS, in connessione con l’apprendimento di un “mondo” e di una “socialità sorda” (Friedner 2015).

Pertanto, se Friedner osserva etnograficamente i sordi che utilizzano una LS, Laura Mauldin decide di impostare la sua ricerca per analizzare la pratica della “socialità sorda” considerando l’aspetto biomedico. La sociologa segue una linea cronologica nella scrittura, indentificando cinque fasi che caratterizzano il percorso medico dell’IC e dell’abilitazione alla lingua orale: identificazione del deficit uditivo, strutturazione del percorso sanitario, candidatura per l’IC, operazione chirurgica e il follow-up. Dalla lettura delle dense descrizioni etnografiche riportate, è possibile notare il modo in cui lo staff della clinica per l’IC, si riferisce alla sordità come un’anormalità che loro “potrebbero aggiustare” (could fix).

Le due ricerche etnografiche risultano correlate da alcuni punti in comune, talvolta intesi come risultati o fasi di un percorso esperienziale: il momento della diagnosi, il processo terapeutico, ma soprattutto la relazione con la famiglia e con altre persone che stanno vivendo quella condizione. La volontà delle due ricercatrici – Friedner come antropologa e Mauldin come sociologa, specializzate nello studio critico dell’ambito medico – di tralasciare alcuni aspetti e privilegiarne altri, è dato proprio dalla profonda conoscenza del campo etnografico, per motivazioni e casualità personali: per Mauldin il suo interesse al fenomeno della sordità nasce proprio all’interno della scuola secondaria, poiché nella sua stessa classe erano presenti alcuni studenti sordi, invece l’antropologa statunitense è sorda e, pertanto, ha preferito sviluppare la ricerca in un contesto a lei lontano: ha passato 13 mesi non continuativi in India, dal 2007 al 2014, solo per individuare la città di Bangalore come meta e per svolgere la sua ricerca etnografica. Bangalore, una volta chiamata città giardino, è ora l’HUB dell’India tecnologica con settori in piena espansione, per questo motivo sono offerti corsi di formazioni nel campo informatico in LS, presenti molte chiese e ONG che accolgono e formano persone sorde. In questo modo la città diviene un esempio paradigmatico per lo studio della sordità. L’antropologa segue queste linee attraversate dagli attori sociali, che lei definisce come lo scopo del “deaf development”, direttamente connesso alla “circolarità delle persone sorde”: l’obiettivo è «the production of deaf selves and deaf socialites (or deaf social practices and process)» (Friedner 2015: 4).

Etnografia della circolarità e cronologia temporale: la struttura dei testi

Nell’introduzione, Friedner espone le differenti fasi dell’etnografia, il campo e i protagonisti della ricerca: descrive i suoi interlocutori come giovani sordi appartenenti alla classe media indiana e le modalità di apprendimento della lingua orale e segnata. Come in molti contesti etnografici connessi alla sordità (Breivik 2005; Blume 2010; Padden 2010; Silva 2012; solo per citarne alcuni) compare una netta opposizione, una competizione storica tra l’educazione alla lingua orale (i bambini sordi apprendono a leggere il labiale e a parlare escludendo i segni) e la LS che è di norma appresa dopo il distacco con la famiglia. La studiosa ha scelto di situare il lavoro di ricerca in quattro macro aree: i programmi di formazione, i centri per l’impiego e negozi specializzati (caffetterie, negozi di sartoria), spazi dove praticare la lingua, come le chiese per sordi e gli incontri dedicati alle assunzioni, e al mercato del lavoro.

L’analisi etnografica è stata sviluppata incrociando la quotidianità dei giovani sordi in connessione agli spazi frequentati; utilizzando il concetto di “ethnography of circulation” definito da Arjun Appadurai (2011), che sposta lo sguardo analitico da un’etnografia dei luoghi verso una della “circolazione”, Friedner ha seguito questi spostamenti, diventando essa stessa uno dei soggetti in movimento, come parte centrale della propria metodologia etnografica. I primi due capitoli esaminano i processi di cambiamento e costruzione del Sé dei giovani sordi – un’esplorazione dei differenti spazi dove i protagonisti apprendono le pratiche sociali, morali ed economiche attraverso la condivisione di informazioni, abilità e esperienze connesse alla sordità – mentre i restanti tre capitoli sono focalizzati su come:

deaf orientations become a source of value for deaf people themselves, NGOs corporations, and multilevel marketing businesses. […] The first half of this book is more concerned with the multiple kinds of value that deafs create for themselves; the second half analyses how this value is utilized and harness by others (Friedner 2015: 24).

Il primo capitolo, Orienting from (Bad) Family to (Good) Friends, è focalizzato sulla relazione dei giovani sordi con la propria famiglia di origine, uno dei tanti contesti dove la disabilità è negoziata e costruita. La famiglia diviene il primo spazio di ambivalenza e disarticolazione della “distanza comunicativa”, tra bambini sordi e i genitori udenti. Come mostra Friedner, la famiglia è da considerare come una sorta di ostacolo verso lo sviluppo di una socialità sorda. Come nel caso dell’etnografia di Mauldin (2016), anche in India i genitori desiderano che i loro figli siano “normali” e, pertanto, optano per l’apprendimento della lingua orale; ne risulta che i figli “non apprendono”, o apprendono poco all’interno dell’ambiente scolastico. Parte del problema è che l’educazione non è coordinata con l’esperienza degli insegnanti, e neanche sostenuta da un sufficiente apporto tecnologico. Il processo di identificazione e socializzazione con altri sordi, a discapito del legame famigliare, che Friedner definisce deaf turn e deaf development, inizia proprio all’interno di queste scuole, dove gli studenti apprendono la BISL, in forma privata e informale, al di fuori delle classi e nei dormitori, accantonando la lingua orale (Friedner 2015).

L’analisi del percorso di “conversione” e di “socialità sorda” prosegue all’interno del secondo capitolo, con l’esplorazione delle chiese cristiane per sordi, che rappresentano i principali spazi per la socialità, riempiendo così un vuoto nella quotidianità dei giovani sordi. Gli incontri in chiesa racchiudono una pratica incorporata per la costruzione della sordità: si incontrano altri sordi, sono scambiati nuovi segni, condivise le pratiche quotidiane e le proprie esperienze, intese come forme di apprendimento del “reciproco aiuto”; in definitiva, è promosso l’utilizzo della Lingua dei Segni Indiana di Bangalore (BILS), e il “proprio miglioramento”, inteso come percorso personale in quanto persone sorde.

Il terzo capitolo, Circulation as Vocation, esplora i centri di formazione lavorativa per sordi, spazi fondamentali della socializzazione, all’interno dei quali i giovani sordi “circolano” e instaurano nuove relazioni. Dall’analisi emerge tutta la contraddizione incorporata all’interno dell’organismo educativo indiano nei confronti dei sordi: società private organizzano continuamente corsi di formazione e specializzazione lavorativa, il più delle volte totalmente pleonastici. Un processo perpetuo che sfrutta la necessità dei giovani sordi per una deep knowledge del lavoro – in opposizione alla scarsa istruzione ricevuta all’interno delle scuole dell’obbligo – ma che non arriva mai a compimento. Avviene una trasformazione inconsapevole, che oscilla dalla nozione di persona con disabilità, con necessità di assistenza, verso le necessità lavorative di un sistema economico neo-liberale:

Such center have emerged as in many Indian cities as key spaces where deaf young adults are supposed to learn marketable skill for earning a living. Indeed, they have become spaces where the category of “worker with disability” has come to replace the previous welfare category of “person with disability”. […] the of his vocational training center was to create responsible deaf workers who “would be integrated into the mainstream and be productive and contributing members of society” (Friedner 2015: 78).

La questione lavorativa diviene centrale, tanto per la costruzione della professionalità, quanto per la spendibilità che la condizione di persona sorda, o con disabilità, può apportare alla stessa azienda. Brevemente, se nei centri dedicati la tipologia formativa è selezionata su specifiche peculiarità come « “you are deaf. Computers are good for deaf people because you do not have to talk to anyone. You should do BPO (Business Process Outsourcing) training and get a BPO job”» (Friedner 2015: 99), successivamente, come emerge nel capitolo Deaf Bodies, Corporate Bodies, il lavoratore sordo è considerato un valore aggiunto per l’azienda. Michele Friedner ricostruisce la storia della legislazione indiana per l’assunzione di persone con disabilità, e la produzione dei discorsi sul sociale, enfatizzando proprio sul valore aggiunto del lavoratore sordo; quest’ultimo porta con sé una serie di qualità spendibili per la compagnia, quali la diversità e senso di comunità nei confronti degli altri sordi. Così facendo in India sono stati fondati dei veri e propri franchising dedicati all’assunzione di persone con disabilità e nello specifico sorde, come alcuni fast food e i Café Coffe Day con i suoi “silent brewmaster”.

Nell’ultimo capitolo è descritto un elemento onnipresente nella vita sociale dei giovani sordi a Bangalore: la partecipazione e il reclutamento nelle imprese di multi-level marketing[1], molto popolari in India. Tali imprese offrono ai partecipanti differenti modalità di ripartizione economica e, per le persone sorde, la possibilità di costruire le proprie reti sociali e migliorare specifiche competenze relazionali. La monografia termina con la chiusura “dell’etnografia della circolarità”, per mostrare la difficile decisione dei genitori sordi circa la lingua dei figli:

what communication modality to use at home, and how to plan for deaf family futures…ho to create deaf lives that are emotionally and financially viable and that involve foregrounding deaf orientations? How to have children value deaf parents and sign language in a context in which sin language in not recognized? (Friedner 2015:155).

Tali domande, che nel libro di Michele Friedner non sono affrontate, sono l’oggetto principale dello studio di Laura Mauldin che si focalizza sulle famiglie, la relazione tra genitori con figli sordi e gli aspetti medicali connessi al disturbo uditivo.

In Made to Hear: Cochlear Implants and Raising Deaf Children la sociologa, ha scelto di seguire un percorso cronologico per la narrazione della sua etnografia. Articolato sulla base di sei mesi di ricerca multi-situata, che comprendono interviste a genitori di bambini sordi, medici specialisti e membri dello staff della Clinica per l’IC, così come l’osservazione dei contesti famigliari, i gruppi di supporto per genitori e gli incontri scolastici, in questo testo l’autrice descrive «the institutional structure and culture of CI-related interventions for deaf children. Other times my fieldwork took place with parents in their homes, and as they took their child to school or attended parent event» (Mauldin 2016: 3). La scelta di una narrazione temporale va di pari passo con il percorso sanitario che le famiglie si trovano ad affrontare. In questo modo, il tempo diviene una linea da seguire per il lettore, e una chiave di lettura degli spazi attraversati dalle famiglie. Nel campo sanitario connesso alla sordità, e non solo, il tempo appare come una caratteristica fondamentale per la scelta del percorso terapeutico/sanitario messo in atto dopo la diagnosi, poiché il “tempo” naturale di acquisizione del linguaggio innesca un “mandato” pratico-operativo per i professionisti sanitari, modellando e delineando l’esperienza quotidiana per l’abilitazione linguistica da parte delle persone sorde (Loce-Mandes 2016). Il tempo, necessario per la diagnosi, per la preparazione all’IC, per il percorso abilitativo alla lingua orale, è permeato da una continua tensione tra gli sforzi del presente e le speranze del futuro per i figli, una tensione che spesso non è analizzata, ma che per l’autrice diviene fondamentale.

Il primo capitolo è incentrato sul percorso tecnico e i processi relazionali implicati nelle fasi della diagnosi del disturbo uditivo. Mediante l’osservazione etnografica della clinica che si occupa degli esami uditivi, l’autrice descrive minuziosamente il rapporto tra i professionisti sanitari e i genitori dei bambini; questi momenti, connessi al percorso per l’IC, sono i punti di partenza di una strada lunga e complessa all’interno del sistema sanitario. Iniziando la descrizione del campo di ricerca con lo screening audiologico neonatale, Mauldin introduce il concetto di “socialized”, per spiegare che le famiglie sono “socializzate” in una sequenza medica di passaggi obbligatori, ma soprattutto che «it took time to socialize the families into the culture of implantation and to prepare child and family for the device and for years of habilitation after surgery» (Mauldin 2016: 28). Questo processo, che può essere inteso come una forma di “familiarizzazione” con l’istituzione sanitaria, è utile agli agenti del sistema medico per facilitare da una parte la relazione con i famigliari, dall’altra tra quest’ultimi e le procedure biomediche previste per l’abilitazione dei figli.

Il capitolo successivo, Early Intervention. Turning Parents into Trainers, descrive la clinica e le sue collaborazioni/connessioni con le scuole, associazioni di riferimento e gruppi di supporto per genitori. L’approfondimento analitico mostra come questi ultimi diventano essi stessi pazienti della clinica dei figli, e iniziano a prendere confidenza con il loro «new social role as auditory trainers» (Mauldin 2016: 59) per i propri figli. I genitori imparano a massimizzare le potenzialità dell’apprendimento orale e dell’IC, confrontando le loro esperienze ed emozioni anche con i genitori dei gruppi di supporto. Da questi processi, come riportato nel testo utilizzando le parole degli attori sociali, si costituisce un “cultura dell’IC” – definita principalmente come una “therapeutic culture” – che accomuna genitori, pratiche quotidiane, ma anche sentimenti e speranze per i propri figli (Mauldin 2016). Come osservato dall’autrice, il percorso e il coinvolgimento in una “therapeutic culture” è carico di ambivalenze, contraddizioni e forze che agiscono sulla costruzione della sordità:

Parents socialized into a therapeutic culture are both indoctrinated into a particular ideology about deafness and experience relief, support, and purpose. Something is gained, while other possibilities of seeing deafness are lost. The therapeutic culture expects mothers who are raising deaf children to employ a particular set of techniques; mothers who do not participate in the scientific mother-hood endorsed by the clinic are labelled “resistant” (Mauldin 2016: 74).

Il terzo capitolo descrive i “social criteria”, utilizzati per determinare i candidati e le famiglie idonee per l’impianto cocleare; di norma preceduti da valori definiti dai medici come “hard criteria”, ovvero il risultato di esami audiologici e medici per analizzare la tipologia e il grado della sordità. Mauldin mostra i processi e i dati sensibili – utilizzati dal team audiologico della clinica – come lo status socio-economico, le origini della famiglia, le competenze linguistiche dei genitori, per determinare i candidati ideali all’operazione. Il calcolo serve per valutare se la famiglia ha tempo e risorse socio-economiche per impegnarsi a lavorare, come educatori, durante tutto il processo terapeutico.

In The Neural Project. The Role of the Brain, entrano in gioco i “criteri sociali” selezionati dal team sanitario: effettuata l’operazione si prosegue con la configurazione dell’IC o “mappatura”, ovvero la selezione del programma e livello di sensibilità dell’apparecchio. La lettura e l’interpretazione, da parte dei genitori, delle reazioni dei figli e delle necessità uditive connesse ai differenti programmi è un lavoro a tempo pieno, che necessita di particolari attenzioni. Le descrizioni degli episodi dei bambini privati della comunicazione, in questa fase di programmazione dell’IC, da parte dei genitori sui forum e nelle interviste svolte da dall’autrice, mostrano non solo le difficoltà dell’intervento precoce della sordità, ma anche la contrapposizione tra frustrazioni e successi che le famiglie si trovano ad affrontare e a condividere all’interno dell’associazione.

Nell’ultimo capitolo Mauldin entra all’interno della scuola, e descrive la collaborazione tra educatori e professionisti della clinica, e come, all’interno della struttura, sono differenziati gli studenti facenti parte della comunità sorda segnante da quelli che portano l’IC. L’autrice considera l’IC un “oggetto tecnoscientifico” con «a social infrastructure that stretches across multiple, coordinating institutions that systematize its usage» (Mauldin 2016: 135), pertanto, espone come le strutture sociali e la “cultura terapeutica” connessa all’IC si rendono maggiormente visibili all’interno delle strutture educative. Emerge un aumento esponenziale di professionisti e di industrie connesse all’IC e le relative tecnologie collegate. In conclusione, queste relazioni pratiche trasformano la scuola in un altro braccio della stessa clinica e un’estensione della pratica medica. La connessione tra la clinica, la scuola e la casa è sostenuta in molteplici modi, anche di natura economica:

CI companies like Cochlear (as well a Med-El and Advances Bionics) fund organizations like AGB in various ways, such as by supporting their annual conferences, among other initiatives and programs. Archbold (2006) outlined the many organizations that work together as liaisons between CI corporations, education professionals and associations, as well as health care entities in the education of children with CI (Mauldin 2016: 143).

“Deaf Deaf same” e “anticipatory structures”

Mediante una lettura più profonda delle due monografie emergono ulteriori dettagli, peculiarità che vanno oltre la sordità, utili non solo per spiegare la condizione delle persone con disabilità ma per ragionare sulla società che ci circonda, e applicare tali ricerche al sistema lavorativo e quello sanitario. Mentre sullo sfondo del quadro etnografico è possibile assistere alle trasformazioni politiche ed economiche scatenate dai processi della globalizzazione a Bangalore, Michele Friedner analizza il modo in cui i giovani sordi affrontano le barriere sociali-strutturali, le sfide e le opportunità di un’economia neo-liberista tra la disabilità e il mondo del lavoro. Il focus lavorativo serve a dimostrare che, spostando l’attenzione etnografica sull’esperienza della sordità, può rivelarsi una chiave di volta per comprendere la società in senso più ampio. Nelle conclusioni, Friedner analizza i principali lavori dei Disability Studies per mostrare le politiche economiche connesse ai servizi per le persone con disabilità. L’analisi delle politiche economiche da parte di due studiosi, David Mitchell e Sharon Synder, ci dice che le persone con disabilità sono divenute l’oggetto delle politiche assistenziali per il quale sono maggiormente investiti i servizi economici; così facendo la disabilità è stata trasformata nel target delle «neo-liberal intervention strategies» (Mitchell, Snyder 2010: 180). Pertanto si è passati dalla considerazione che le persone con disabilità non sono considerati come potenziali lavoratori, ma come oggetti «for a medical-industrial complex that is able to generate profit through providing rehabilitation services and interventions» (Friedner 2015: 122).

Da questo punto di vista può essere interessante approfondire alcuni concetti che la sociologa Mauldin elabora per analizzare proprio le strutture sanitarie connesse alla sordità. In particolare l’autrice elabora la nozione di “anticipatory structures”, ovvero una delle tante strategie agite da medici e specialisti sanitari, per facilitare e incrementare il consenso da parte dei genitori per i protocolli medici, come l’impianto cocleare. Le nozioni di “socialized” e di “anticipatory structures” agiscono di concerto all’interno del sistema sanitario etnografato da Laura Mauldin, mediante connessione interpersonali, forme comunicative e attraverso gli stessi attori sociali, per fornire differenti forme di cura e supporto per la famiglia o, per dirlo con le parole dell’autrice: «are persons, practices, and protocols in the clinic that are already in place and are triggered by a particular event and deployed to reduce parents’ resistance to medical intervention. The main goal of anticipatory structures is to encourage and maintain compliance» (Mauldin 2016: 28). L’intreccio di questi due concetti con la “therapeutic culture”, rende evidenti le modalità di gestione del disturbo uditivo da parte della struttura sanitaria, affinché le pratiche mediche possano essere orientate non solo verso il corpo del paziente ma finalizzate anche alla costruzione di relazioni e rapporti di potere che coinvolgono la clinica, le famiglie, le associazioni e le istituzioni scolastiche.

In contrasto a questa narrativa, Friedner, riesce a decostruire la considerazione della disabilità come un disturbo da curare o come persone che possiedono un «non-productive labor power» (Friedner 2015: 122). Difatti nel caso indiano, i giovani sordi sono idealizzati come “lavoratori con disabilità” e, pertanto, la loro sordità diviene un valoro aggiunto per tutte quelle aziende che vogliono mostrare il proprio livello di solidarietà. Per molti dei protagonisti la sordità non è considerata come una disabilità, un disturbo da migliorare o curare, ma come un differente stato ontologico che richiede una modalità comunicativa differente. Nei suoi testi, e in particolare nella recente monografia, tenta di andare oltre il concetto di “cultura Sorda” proprio perché restia ad utilizzare categorie che possono in qualche modo fissare o congelare la stessa identità. La costruzione del Sé e la socialità, per l’autrice, scaturiscono da un sentimento che gli attori sociali chiamano “deaf deaf same”:

This is a common sentiment and statement in Bangalore’s deaf world and it is a way of expressing deaf similitude or a shared experience, use of sign language, and an awareness that structural barriers exist for deaf people. Feelings of “deaf deaf same”, combined with circulating together through the same spaces, produce deaf turns. I argue that deaf people move together through spaces, they also turn toward each other. […] The concept of taking a deaf turn foregrounds acts of movement in space and in sentiment. Deaf turn result in deaf selves and deaf orientations (Friedner 2015: 4).

Alla luce di questa complessità, l’antropologa rifiuta la rigida categorizzazione di “s/ Sordo”, “udente”, “minoranza etnica” e “minoranza linguistica”. Mediante una comparazione tra il suo campo etnografico e le ricerche riportate da Karen Nakamura sulla sordità in Giappone, che definisce la questione identitaria come un «hybrid and intersectional identity» (Nakamura 2006), l’antropologa, nei suoi studi, tenta di andare oltre le categorie utilizzate in precedenza e generalmente presenti nei Deaf Studies (Lane, Pillard, Hedberg 2011; Ladd 2003), poiché, perpetuare una forma di categorizzazione che “fissa” le persone nello spazio, nel tempo e nel luogo, produce una violenza, tanto analitica quanto ontologica (Friedner 2010; 2015).

In conclusione, leggendo in modo approfondito le due monografie è possibile coniugare la “circolarità degli spazi”, la socialità tra sordi, tra le famiglie con bambini sordi, la ricerca di un lavoro, i percorsi sanitari connessi all’IC per decostruire la categoria generalizzante di “sordo” e analizzare la sordità come un fenomeno esperienziale dei soggetti che influenza le classi sociali, le caste (in India), i processi educativi e lavorativi. Dalla lettura delle dense descrizioni etnografiche e dal personale background connesso al campo della sordità, le due ricerche risultano utili non solo per una loro spendibilità nel versante metodologico – nel caso di Friedner, la sua sordità le ha permesso un accesso facilitato al campo, Mauldin invece era vista con sospetto, poiché la conoscenza di sordi segnanti è stato un ostacolo per la ricerca all’interno della clinica per l’IC – ma anche interessanti nell’ambito applicativo della scienza antropologica. Dalla descrizione cronologica delle diverse fasi per l’IC emerge l’importanza di una complessa rete di relazioni sociali e interventi mirati, utilizzati dal personale sanitario della clinica per favorire l’inserimento dei bambini e facilitare la “socializzazione” da parte dei genitori con le prassi biomediche. Dall’altra parte, lo studio delle connessioni tra sordità e mondo del lavoro, apre non solo scenari applicativi nel contesto delle ONG di livello internazionale, ma mostra le ampie opportunità lavorative e formative agite dai protagonisti e percorribili dagli antropologi. Dall’etnografia di Mauldin è possibile estrapolare e analizzare il caso della clinica per l’IC e tentare di applicarlo criticamente ad ulteriori contesti assistenzialistici e sanitari; dal follow-up utilizzato dopo l’intervento chirurgico e dalla rete di servizi messi in azione è possibile trarre suggerimenti per ottimizzare ulteriori percorsi sanitari, affinché si tentino di costruire reti sociali che coinvolgano non solo il paziente e la famiglia all’interno e all’esterno della struttura ospedaliera, mediante il supporto di associazioni, ONG di riferimento e connessioni con il sistema educativo.

Con la ricerca sul campo di Friedner è possibile trovare connessioni utili tra il sistema di Welfare e quello educativo in relazione alle disabilità. Analizzare le modalità di strutturazione delle ONG e dei centri di formazioni mediante etnografie di lunga durata, significa comprenderne i meccanismi, le logiche e le pratiche quotidiane; in questo modo, lo studio critico diviene applicativo nel momento in cui si tenta il miglioramento di tali organizzazioni, ma anche utile per la strutturazione di centri formativi e assistenziali focalizzati sulle disabilità e la connessione con il mondo del lavoro.

In definitiva, mediante le loro etnografie, le autrici mostrano che grazie allo studio etnografico della disabilità è possibile non solo analizzare nuove e differenti comunità, fatte di persone sorde, famigliari e specialisti educativi e sanitari, ma anche riflettere sugli aspetti lavorativi, assistenziali e medici della società che ci circonda.

Bibliografia

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Blume, S. 2010. The Artificial Ear: Cochlear Implants and the Culture of Deafness. New Brunswick - New Jersey. Rutgers University Press.

Breivik, J. K. 2005. Deaf identities in the making: local lives, transnational connections. Washington D.C. Gallaudet University Press.

Friedner, M. 2010. Biopower, Biosociality, and Community Formation: How Biopower Is Constitutive of the Deaf Community. Sign Language Studies, 10, 3: 336-347.

Friedner, M. 2015. Valuing Deaf Worlds in Urban India. New Brunswick - New Jersey. Rutgers University Press.

Ladd, P. 2003. Understanding Deaf Culture: In Search of Deafhood. Great Britain. Cromwell Press.

Lane, H. L., Pillard, R., Hedberg, U. 2011. The people of the eye: deaf ethnicity and ancestry. New York. Oxford University Press.

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Mauldin, L. 2016. Made to Hear. Cochlear Implants and Raising Deaf Children. Minneapolis. University of Minnesota Press.

Mitchell, D., Snyder, S. 2010. Disability as multitude: Re-working non-productive labor power. Journal of Literary & Cultural Disability Studies, 4 (2):179-194.

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Padden, C. 2010. «Sign language geography», in Deaf Around the World, (ed.) G. Mathur, D. J. Napoli. New York. Oxford University Press: 16-34

Silva, C. s. A. d. A. 2012. Cultura surda: agentes religiosos e a construção de uma identidade. São Paulo. Terceiro Nome.



[1] Il Multi-level Marketing Business è essenzialmente una strategia di vendita che compensa sia chi sta in alto nella scala piramidale, sia l’addetto alle vendite per il reclutamento di nuovi venditori, la “downline”; reclutando più persone, si instaura una linea di discendenza e gli addetti, “salendo” sulla propria scala, diventano “uplines”. I membri ricevono una percentuale dalla propria linea di discendenza la “downline”, ovvero dalle persone che sono più in basso di loro (Friedner 2015).