Corpi "in prova"

Petrolio, salute e ambiente nelle indagini della Procura di Siracusa

Irene Falconieri

Università degli Studi di Catania

Indice

Introduzione
Il pretore e il pediatra. Uno sguardo al passato tra inquinamento, rifiuti e giustizia
Quando il mare si tinse di rosso
Fanghi in mare e veleni in Procura
Attivismo e inchieste giudiziarie
Conclusioni
Bibliografia

Abstract.  The paper aims to reflect on the connections between environmental activism and health risk in the industrial area of Augusta, Priolo and Melilli (SR). In particular, through the analysis of some criminal proceedings initiated by the Public Prosecutor's Office of Syracuse, we will investigate the ways in which, since the Nineties of the last century, the bodies "sick of pollution" have been subjected to a double process of socialization. Placed within the framework of judicial investigations, they have been objectified and evaluated to become useful evidence to demonstrate any illegal conduct attributed to the petrochemical industries present in the territory. At the same time, despite the fact that no activism of a purely legal nature has been created in the area under investigation, these issues have strongly encouraged the emergence of a public awareness of the environmental and health risks associated with the processes of industrial development. Sick individuals/bodies - actually or potentially - have thus become "social bodies" (Lambert, McDonald 2009) capable of creating new forms of political participation (Petryna 2002).

Keywords.  Criminal Processes; Environmetal activism; Petrochemical industry; Pollution; Waste.

Introduzione

L’articolo si propone di indagare da una prospettiva storico-etnografica le connessioni esistenti tra diritto, ambiente e salute in un contesto caratterizzato da una forte presenza industriale. L’area oggetto d’indagine è il polo petrolchimico siracusano, una vasta fascia costiera che dalle porte di Siracusa si estende verso nord, includendo i comuni di Priolo Gargallo, Melilli ed Augusta. A partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo questi territori sono stati sottoposti ad un progressivo e imponente processo di industrializzazione (Adorno 2007a, 2007b; Adorno, Serneri 2009; Meli, 2017), alimentando quella che Giuseppe Fava ha definito «la grande illusione» (2003: 159). Gli insediamenti industriali, infatti, se nella fase iniziale della loro attività hanno comportato un aumento del tasso di occupazione e dei livelli di reddito medio (Morello 1962; Peggio et al. 1960), al contempo, per la vastità e la diversità delle forme di produzione e per la struttura di sviluppo che li ha caratterizzati, hanno prodotto gravi conseguenze, oggi accertate, sullo stato di salute dei territori e dei loro abitanti (Adorno 2007a, 2007b; Benadusi 2018a, 2018b), dissolvendo le speranze inizialmente riposte in uno sviluppo economico progressivo che avrebbe portato ad un benessere sempre più diffuso. L’area attraversa oggi un periodo di forte crisi che coinvolge numerosi settori della vita pubblica e istituzionale. Non solo si è notevolmente ridotta la capacità delle industrie di generare lavoro e sono diventati manifesti i danni ambientali derivanti da uno sviluppo monopolistico di tipo petrolchimico[1], allo stesso tempo, nell’ultimo decennio, le istituzioni che governano il territorio sono state travolte da vicende di rilevanza penale divenute oggi di dominio pubblico. In particolare, membri interni agli organi giudiziari risultano coinvolti in importanti episodi di corruzione e sottoposti a giudizio da altre procure siciliane[2]. Tali vicende, generando in parte dell’opinione pubblica locale un «senso di sgomento e di sdegno»[3], hanno contribuito a minare la fiducia dei cittadini e a ridurre le aspettative nei confronti della risoluzione di problematiche ambientali avvertite come cogenti e di cui, in passato, la magistratura si era fatta carico.

L’articolo mostrerà come, in maniera simile ad altre realtà (Breda 2010; Alliegro 2012; Ravenda 2014a, 2014b; Raffaetà 2017), la questione ambientale si sia qui inscritta e continui ancora oggi a strutturarsi all’interno di complessi campi di forza in cui le narrazioni e le pratiche di tipo giudiziario hanno contribuito in modo determinante a definire i nessi tra le modificazioni del territorio connesse al processo di industrializzazione, le esigenze di tutela dei luoghi e della salute dei soggetti umani e non umani che li popolano e le forme di cittadinanza da esse generate. Facendo proprie le tesi dello storico Salvatore Adorno, si descriveranno i modi in cui il “campo giudiziario” (Bourdieu 1986) abbia contribuito a creare un terreno fertile per l’avvio di indagini e tecniche di rilevamento dati scientificamente comprovate e monitorate da istituzioni pubbliche al fine di garantirne l’imparzialità, l’attendibilità e la diffusione e abbia al contempo fornito ai gruppi ambientalisti elementi utili a legittimare le loro rivendicazioni. All’interno di una relazione non sempre lineare ma non di meno incisiva tra conoscenze esperte e formazione di senso comune (Moscovici 1984; Douglas, Wildavsky 1982), si ritiene che, nonostante la partecipazione di cittadini a processi penali centrati su reati ambientali non abbia assunto dimensioni rilevanti[4], la via giudiziaria all’ecologia ha rappresentato uno dei principali snodi per la tutela della salute pubblica e continua ancora oggi ad esercitare un’influenza, in positivo e in negativo, sulla percezione del futuro del territorio e sulle pratiche di rappresentazione e di azione politico-sociale messe in campo dagli attori locali. Non solo, infatti, gli effetti lenti e distruttivi dell’industrializzazione sull’ambiente e per la salute dei cittadini, rappresentati da molti nei termini di un disastro (Benadusi 2018b), sono stati determinati da un ritardo legislativo e da una frammentazione delle normative nazionali in materia di tutela ambientale, che hanno limitato le possibilità a l’efficacia delle azioni amministrative (sanzioni) e penali (perseguimento dei reati)[5]. Al contempo, pur godendo la Sicilia di autonomia legislativa anche in specifici settori ambientali, le istituzioni locali hanno in genere delegato alla magistratura il compito di intervenire a posteriori per sanzionare eventuali reati o illeciti, contribuendo a renderla un importante punto di riferimento per le lotte ambientaliste. L’evoluzione e gli esiti di inchieste e processi penali si sono così configurati nel tempo come campi in cui sono confluiti, generando frizioni (Tsing 2005) e conflitti, rivendicazioni sociali di tipo ambientalista, verità e ipotesi scientifiche, strategie politiche diversamente declinate e interessi economici di compagnie e imprese private.

Nella sua analisi degli effetti provocati dal disastro nucleare di Chernobil, Adriana Petryna (2002) mostra come le rivendicazioni dei diritti sociali siano state mediate dalla dimostrazione del danno alla salute subito dai residenti nelle aree contaminate, rendendo in tal modo la condizione biologica di corpi “perturbati” fondamento per la nascita di nuovi legami sociali. In quel contesto, così come in altri più recentemente analizzati da antropologi italiani (Alliegro 2017; Benadusi 2018a; Ravenda 2018), il legame tra crisi ambientali e danno alla salute risulta evidente e ha contribuito a strutturare le condizioni per l’emersione di una cittadinanza biologica (Petryna 2002). Nel caso qui analizzato, la costruzione e l’esplicitazione di una relazione, tanto retorica quanto scientifica, tra ambiente e salute, diffusione di malattie e reati ambientali (cfr. Baer, Singer 2009; Davidov 2013; Waldman 2011), favorita dal lavoro congiunto di medici e uomini di legge, ha trasformato i corpi malati o affetti da malformazioni in social bodies (Lambert, McDonald 2009). Trasformazione che ritengo si generi all’interno di un processo non pienamente compiuto di "giudizializzazione" del diritto alla salute (Biehl 2013). Nell’analizzare le forme di mobilitazione messe in campo per ottenere l’accesso alle cure mediche da pazienti e famiglie a basso reddito in Brasile, l’antropologo Joao Biehl si serve di tale concetto per descrivere l’utilizzo di meccanismi legali e, più in generale della magistratura, come strumenti di lotta per il miglioramento delle loro condizioni di vita. Se è vero che nel contesto siracusano la relazione tra giurisprudenza e diritto alla salute non si esplica nella realizzazione di cause giudiziarie individuali, l’applicazione del concetto permette di chiarire il modo in cui la magistratura si sia configurata in passato come uno spazio e un elemento critico della politica e dell’economia politica locali volto a responsabilizzare lo Stato e i suoi rappresentanti. Pur non entrando direttamente nelle aule di tribunale, l’esperienza corporea e sensoriale – quell’ “essere-nel-mondo” di heiddeggeriana memoria, che ha stimolato le teorie dell’incorporazione di Thomas J. Csordas (2003) – delle donne e degli uomini che vivono questi territori sono oggi al centro di pratiche sociali in cui la sofferenza, le percezioni sensoriali, la biologia umana e animale e la conoscenza scientifica rappresentano risorse culturali e politiche utili ad agire nel presente nel tentativo di migliorarlo in direzione di una maggiore giustizia sociale.

Le riflessioni proposte rappresentano l’embrionale interesse di un più composito percorso di ricerca, avviato nell'aprile 2018 e non ancora concluso[6]. Nell’attuale fase di crisi occupazionale e ambientale dei poli industriali siciliani, il progetto persegue l’obiettivo di esplorare le connessioni, contestuali e storicamente determinate, tra reati ambientali, fenomeni di corruzione e cambiamenti socio-politici ed economici intervenuti in un periodo di industrializzazione prima e, successivamente, di deindustrializzazione/riconversione industriale. In particolare sono state indagate le modalità con cui tali relazioni si sono configurate a partire dalla seconda metà del XX secolo fino ai nostri giorni per comprendere le forme di interazione tra la sfera sociale e quella del diritto nell’ambito delle controversie ambientali e delle loro specifiche fattispecie giuridiche. A tale scopo si è scelto di analizzare – attraverso una metodologia fondata sulla partecipazione diretta alle udienze e agli eventi pubblici riguardanti le questioni dibattute nei processi, lo studio dei documenti prodotti dalle diverse parti e la realizzazione di interviste e colloqui informali con i principali attori coinvolti – due procedimenti penali attualmente in corso che interessano la città di Siracusa e il comune di Melilli (SR)[7]. L’approccio teorico utilizzato interpreta i processi nei termini di dispositivi, nell'accezione che ne danno i sociologi francesi Barbot e Dodier (2015), ovvero concatenazioni preordinate di sequenze volte a definire i vincoli e gli elementi a supporto delle azioni dei diversi soggetti coinvolti e destinate tanto a descrivere la realtà quanto a modificarla. In tal senso, gli esiti di un'inchiesta e, ancor di più di un processo, sia esso penale o civile, producono verità che, per quanto parziali e contingenti a seconda dei diversi gradi di giudizio, contribuiscono a direzionare la realtà e possono influenzare i contesti sociali che ne sono protagonisti. Se interrogata da una prospettiva antropologica la sfera giuridica, per quanto governata da meccanismi di funzionamento e regole di relazione interne ed esterne rigidi e fortemente strutturati, che costruiscono confini netti con gli altri ambiti della vita sociale, può rappresentare un campo d'osservazione privilegiato per comprendere fenomeni rilevanti che attraversano la contemporaneità dei contesti indagati.

A differenza di altri contesti nazionali in cui da tempo il campo giudiziario, oltre ad essere oggetto di studio per l’antropologia, ha rappresentato anche un terreno fertile per sperimentare potenzialità e limiti di una partecipazione attiva dei ricercatori alla vita sociale (Rosen 1977; Atlani-Duault, Dufoix 2014; Grillo 2016) in Italia sono ancora pochi e inseriti in un quadro teorico metodologico plurale e frammentato i lavori di taglio socio-antropologico che si confrontano con tali questioni[8]. Nondimeno, l’antropologia e il metodo etnografico che le è proprio possono rivelarsi strumenti utili a chiarificare le relazioni esistenti tra gli ordinamenti e le prassi giuridiche e i più ampi sistemi in cui sono inseriti, mettendo in dialogo i tecnicismi del diritto e della giurisprudenza con le pratiche, i valori e le politiche che li sottendono (De Lauri 2013) negli specifici contesti in cui sono applicati. Muovendosi in questa direzione l’articolo e, ancor più, il progetto di ricerca entro cui si colloca, si propongono di esplicitare e comprendere il dispiegarsi storico-politico e socio-culturale di tali relazioni con un focus specifico sui reati ambientali.

L’interesse nei confronti di tematiche ancora poco esplorate per l’antropologia italiana si pone in continuità con l’ultima fase del precedente lavoro di ricerca, uno studio etnografico sulla governance dell’emergenza post-disastro in un comune alluvionato della Sicilia nord-orientale (Falconieri 2017a). Allora, il coinvolgimento personale come vittima e rappresentante di un comitato cittadino mi aveva consentito una partecipazione attiva, in veste di parte civile, al processo penale per disastro colposo intentato nei confronti di sindaci, funzionari pubblici e tecnici a diverso titolo coinvolti nei fatti vissuti e studiati. Partecipazione tradottasi in un’analisi dei processi di oggettivazione dell’evento e di soggettivazione delle responsabilità osservati durante le udienze con l’obiettivo di comprendere assonanze e scarti tra verità giudiziarie e scientifiche emerse dalle testimonianze susseguitesi in aula e le narrazioni del disastro proposte dagli abitanti dei villaggi colpiti. (Falconieri 2016; 2017a). Se in quel caso lo sfaccettato posizionamento da cui osservavo e con cui agivo gli eventi aveva reso inevitabile la scelta di coniugare, all’interno di un costante processo di contaminazione, il lavoro etnografico con molteplici forme di impegno pubblico nei contesti e a fianco degli attori coinvolti (Falconieri 2015; 2017b), la valenza pubblica del lavoro attualmente condotto e parzialmente presentato in questa sede, non è percepibile ed esperibile nell’immediato soprattutto in ragione della delicatezza del campo e delle questioni affrontate (processi penali ancora in fase di svolgimento) e delle difficoltà metodologiche e di posizionamento incontrate nel corso della ricerca[9]. Ritengo quindi che il suo valore pubblico possa strutturarsi e mostrare efficacia soprattutto se pensato e declinato nel lungo periodo, costruendo reti, collaborazioni e scambi sempre più fitti con gli attori locali sia istituzionali che pubblici coinvolti nei processi analizzati. In questa fase del lavoro, esso risiede principalmente nella possibilità di contribuire alla conoscenza e alla comprensione di questioni di interesse sociale o politico contemporaneo (Borofsky 2000; Grillo 2016) che riguardano temi non immediatamente riconoscibili come antropologici dagli attori coinvolti. In tal senso, riconfigurare anche storicamente, la relazione tra reati ambientali e cambiamenti socio-politici ed economici si è rivelato uno strumento utile a porre le basi per un dialogo che si auspica duraturo nel tempo con gli interlocutori principali della ricerca: avvocati, pubblici ministeri e giornalisti specializzati in cronaca giudiziaria.

Il pretore e il pediatra. Uno sguardo al passato tra inquinamento, rifiuti e giustizia

Nel contesto indagato, il processo di industrializzazione, pur essendo caratterizzato da proprie peculiarità, mostra assonanze ed elementi comuni ad altre aree del meridione d’Italia in cui i modelli e le pratiche di sviluppo hanno assunto le forme di quella che Emanuele Felice (2013), riprendendo una categoria proposta dallo storico Luciano Cafagna (1988), definisce una “modernizzazione passiva”. Una modernizzazione, cioè, che ha visto le classi dirigenti locali rispondere alla sfida dell’industrializzazione concentrandosi non tanto sulla costruzione di concrete alternative alle condizioni di precarietà presenti in vaste aree del Sud, quanto piuttosto sul mantenimento di interessi e assetti di potere precostituiti. Si è lasciato in tal modo spazio a modelli economici di tipo estrattivo, che hanno depredato le risorse naturali dei territori senza porre solide basi per uno sviluppo capace di resistere nel lungo periodo alle fluttuazioni e alle crisi del mercato globale[10].

Nel siracusano i primi segnali d’allarme rispetto ai potenziali pericoli di uno sviluppo industriale non regolamentato da forme di controllo pubblico si manifestarono a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, in corrispondenza di una prima forte contrazione della capacità di offerta lavorativa delle aziende. In quel periodo si posero le basi di quella che è divenuta oggi una consapevolezza pubblica dei rischi connessi al ciclo produttivo petrolchimico. Ad incentivarla furono sia eventi occorsi in altri contesti industriali italiani, come il disastro di Seveso del 10 luglio del 1976, sia accadimenti locali legati, tra l’altro, a incidenti mortali avvenuti nel polo industriale, a fenomeni di inquinamento atmosferico e idrico e all’abbassamento della falda freatica a causa dell’emungimento delle acque da parte delle industrie. La “questione ambientale” che ne deriva si intreccia a strette maglie con la biografia professionale di uomini di legge e medici che, in virtù della posizione ricoperta, ebbero la possibilità di osservare prima di altri gli effetti sul corpo e sull’ambiente di un processo di industrializzazione avvenuto in modo repentino ed estensivo. Ipotizzando un nesso tra scarti di produzione, inquinamento, e insorgenza di specifiche malattie, il loro lavoro contribuì in modo decisivo ad avviare un processo conflittuale e contestato di produzione di prove scientifiche. Al suo interno, così come avvenuto in altri contesti etnografici (Petryna 2002; Ravenda 2016), si disegnano i contorni di articolate “coreografie del rischio” alla cui costruzione parteciperanno da posizioni diverse, compagnie petrolifere, movimenti e comitati territoriali, consulenti ed esperti e rappresentanti del mondo politico locale e nazionale.

In particolare fu il forte impegno pubblico e istituzionale di un pretore, Antonino Condorelli, a interconnettere il «tema della rilevazione degli indicatori ambientali e sanitari dell’inquinamento» con quello «della sanzione giuridica dei reati ambientali» (Adorno 2007a: 45). La caparbietà del suo operato, esercitato in un contesto normativo in cui erano ancora estremamente ridotti gli strumenti investigativi e giurisdizionali in tema di reati ambientali, lo ha reso promotore di importanti cambiamenti, contribuendo a mantenere vivo il suo ricordo anche tra soggetti che non ne hanno avuto una conoscenza diretta. L’analisi dei reati perseguiti dal pretore e degli eventi susseguitisi negli anni a venire permette di individuare un percorso in cui il nesso tra inquinamento e salute si costruisce sulla quantificazione e l’analisi dagli scarti di produzione – intesi sia come emissioni rilasciate in aria, sia come sversamenti in mare, sia come pratiche di smaltimento nel sottosuolo.

Così come ricordato dall’antropologo Alliegro (2018), in un sistema economico che costantemente genera merci (Scanlan 2006; Pinna 2011), il tema dei rifiuti ha acquisito nel tempo un’importanza crescente anche per il diritto in ragione delle problematiche ambientali, sanitarie, economico-amministrative e politiche che da essi derivano. Nel contesto indagato, gli scarti industriali, le tecniche per misurarli e quantificarli e il loro smaltimento hanno assunto la valenza di prodotti culturali e politici, agiti da abitanti e uomini delle istituzioni, capaci di connettere diverse scale d'azione che si muovono dal piano individuale a quello globale (Honor Fagan 2003; Alliegro 2018). Per il tramite dei rifiuti, ambiente e corpi animali e umani entrano tra loro in relazione (Ingold 2000, 2008), diventando testimonianze e potenziali prove di quello che è oggi considerato un atteggiamento predatorio, sfociato in azioni criminali da parte di alcune industrie del polo petrolchimico.

Inizialmente sono gli scarti emessi in atmosfera, i fumi tossici e spesso nauseabondi delle ciminiere, a orientare l’azione investigativa, che è rivolta soprattutto ad accertare eventuali omissioni delle amministrazioni pubbliche, provinciali e regionali, rispetto alle loro funzioni di rilevamento e controllo dell’inquinamento atmosferico[11]. Le indagini evidenziano la sussistenza di illeciti riconducibili ad un atteggiamento negligente e inerte della classe politica, derivante dal “ritardo culturale” con cui era affrontata la questione ambientale (Marsili, Andinolfi 1985; Adorno 2007b)[12]. I racconti di quanti hanno vissuto attivamente quegli anni ricostruiscono una stagione in cui l’attività giudiziaria del pretore incontra e si contamina con una nascente sensibilità collettiva nei confronti delle problematiche ambientali, dando vita ad azioni volte a compensare l’assenza connivente dei soggetti istituzionalmente deputati a rappresentare la cittadinanza e tutelarne gli interessi[13]:

Quella storia testimonia il nascere e l’esasperarsi di un conflitto sociale legato all’acuirsi di una sensibilità collettiva sulle grandi questioni connesse ad una più autentica ricerca di qualità della vita e del vivere civile, conflitto che oggi assume carattere di consenso allora insperato, dove i “guerrieri in prima linea” non erano più i soggetti politici tradizionalmente presenti per le rivendicazioni collettive per la salute e l’ambiente, ma erano altre figure, nascenti da un nucleo tra istituzioni e movimenti, tra intuizioni di bisogni sociali e rigori legalitari e alla fine tutti attorno a pochi personaggi “chiave”, positivi anche nella loro capacità sostitutiva del potere politico, dentro stagioni intense di rinnovate tensioni, stimolante fra tutte quella di Condorelli, pretore di Augusta che ricevette risposte prima infastidite dall’imprenditoria, poi, poco a poco crescentemente preoccupata[14].

Le pressioni congiunte dell’opinione pubblica e delle inchieste condotte dal pretore ebbero il merito di incentivare una prima indagine pubblica che permise di accertare «l’esistenza nella zona di uno stato di inquinamento atmosferico di origine industriale»[15]. Esse servirono, inoltre, da stimolo per l’apertura di altri filoni di indagine, che coinvolsero direttamente i dirigenti di alcune industrie. A suscitare allarmi e preoccupazioni condivise furono in questi casi segnali provenienti dal mare. Un mare che, con l’avvento dell’industrializzazione, aveva perso lo splendido color pavone descritto da Giuseppe Tommasi di Lampedusa nella novella La Sirena per diventare sempre più torbido, «color caffè latte»[16] e che, nel 1979, divenne portatore di nefasti presagi, evocati da una poderosa moria di pesci nella rada del porto di Augusta.

Analizzando le «strategie crono-politiche volte a gestire le sfide future nel presente» (2017: 53), Mara Benadusi individua tre specie viventi capaci di riunire, in virtù del loro valore rappresentativo, gli interessi di gruppi diversi che agiscono nella sfera sociale per proteggere un territorio conteso. Tra questi i pesci dalla spina bifida sono considerati dall’antropologa una specie sentinella (Keck 2015) che «anticipando futuri catastrofici, incoraggia alla vigilanza e a un intervento risolutivo» (Benadusi 2017: 54). Simbolizzando «per analogia le patologie che colpiscono il corpo umano esposto agli agenti contaminanti», tali specie si fanno promotrici di azioni sociali volte a mitigare i rischi ambientali e a promuovere il diritto alla salute. Ritengo che, ancor prima dei corpi malformati dei pesci siano state le loro improvvise morie a fungere da trait d’union di strategie d’azione istituzionale e sociale messe in campo per governare, prevenendoli, i primi sintomi della crisi ambientale che si delineava in quegli anni.

A far ipotizzare un collegamento tra attività industriale, scarti generati nel ciclo di produzione inquinamento e danni alla salute fu infatti un’imponente moria di pesci che, nell’estate del 1979 si manifestò nella rada del porto di Augusta, rendendo evidente la capacità intrinseca ai rifiuti di produrre effetti sugli equilibri dell’eco-sistema e sulle vite di quanti lo popolavano anche dopo il loro smaltimento (Alliegro 2018)[17]. In quella occasione il pretore commissionò un'indagine ad esperti esterni con lo scopo, tra gli altri, di accertare la presenza di metalli pesanti nei pesci (Adorno 2007b)[18]. In particolare si riscontrarono quantità elevate di mercurio, elemento che permise al pretore di mettere in relazione l’inchiesta sulla moria dei pesci e la parallela indagine sull’aumento di nascite di bambini affetti da malformazioni (Adorno 2017b). In questo contesto investigativo, di taglio scientifico e giudiziario, il lavoro della magistratura incontra l’azione professionale e civica di un’altra figura pubblica considerata emblematica della storia dell’ambientalismo locale: Giacinto Franco, pediatra responsabile del reparto di ostetricia dell’ospedale Muscatello di Augusta.

Il medico fu tra i primi a ipotizzare l’esistenza di un nesso di causalità tra la produzione industriale, l’inquinamento dell’aria e delle acque e l’aumento del numero di aborti e malformazioni neonatali, da un lato, e di tumori, dall’altro[19]. La moria di pesci aveva rappresentato per lui un campanello d’allarme che si era sommato ai dati autonomamente raccolti nel corso della sua attività professionale e sottoposti agli organi inquirenti. Venne così avviata un’inchiesta parallela a quella sopra descritta che affidò il compito allo stesso dottor Franco di condurre un’indagine epidemiologica sulle cause di morte nel territorio[20]. Per la prima volta i corpi malati di inquinamento divennero oggetto di un dibattito pubblico che travalicava i confini della sfera giudiziaria. Le inchieste infatti produssero effetti di stimolo in diversi ambiti della vita sociale: resero la questione ambientale un oggetto di interesse mediatico, contribuendo alla formazione di una sensibilità collettiva; incentivarono iniziative di tipo politico; grazie alle consulenze prodotte, fornirono un primo quadro scientificamente fondato sui livelli di inquinamento e lo stato di salute del territorio e dei suoi abitanti e rappresentarono un elemento di pressione nei confronti delle industrie per la realizzazione di interventi di adeguamento di strutture e impianti alle normative vigenti e la riduzione delle loro capacità inquinante (Adorno 2007a).

Le vicende appena descritte rendono evidente il ruolo centrale giocato dal campo giudiziario nel riconfigurare problemi e questioni che assumevano in quegli anni una centralità pubblica sempre più rilevante. Mettendo in relazione il potere rappresentativo di alcune specie animali, la struttura economica dei luoghi, peculiari predisposizioni politiche e culturali, la forza contaminante dei rifiuti e la malattia, il lavoro congiunto del pretore, del medico e dei rappresentanti dei primi movimenti ambientalisti non svolsero solo un’azione repressiva, ma rivestirono una funzione pedagogica rivolta alla classe politico-economica, generalmente riconosciuta e spesso rievocata sia all’interno di conversazioni private che in occasioni pubbliche[21].

L'azione forte del pretore fu presto ostacolata prima da provvedimenti ministeriali che riducevano i confini dei territori ricadenti sotto la sua giurisdizione (1981) fino ad arrivare al suo definitivo trasferimento a Verona nel 1984. La vicenda, rappresenta ancora il simbolo del prevalere di una logica del profitto su interessi di tipo collettivo e determinò l’inizio di un periodo di stallo tanto nell’attività di rilevamento dati quanto della funzione preventiva svolta dalla magistratura.

Quando il mare si tinse di rosso

Hanno comprato la dignità delle famiglie, qualora di dignità possiamo parlare. Perché non parlerei di dignità. Hanno comprato il silenzio, diciamo così. Impedendo – impedendo per libera scelta, chiaramente è un contratto che si sottoscrive tra le parti – impedendogli di avere giustizia. Perché poi alla fine dopo 20, 25 anni sarebbero stati riconosciuti colpevoli, è chiaro[22].

Le parole riportate concludono il racconto di una delle vicende considerate più significative nella storia ambientale e giudiziaria siracusana: l’inchiesta denominata "Mare Rosso". A pronunciarle un imprenditore agricolo di 45 anni, impegnato in passato in significative battaglie a tutela dell’ambiente, conosciuto nel corso di un’udienza dibattimentale di uno dei processi penali oggetto d’indagine etnografica. L’uomo ricorda quegli anni come dirimenti per il futuro dell’area industriale, anche in ragione delle aspettative che l’inchiesta aveva suscitato. Ancor più che le indagini condotte dal pretore Condorelli, per la portata delle possibili conseguenze giudiziarie e sociali, l'inchiesta ebbe infatti una forte impatto pubblico e costrinse gli amministratori a porre la questione ambientale al centro di importanti iniziative politiche. Per comprenderne la portata può essere utile citare un passo della “Proposta di un’inchiesta parlamentare sulle cause dell’inquinamento da mercurio prodotto dalle industrie nell’area di Priolo e sulle malformazioni genetiche neonatali ivi riscontrate”, presentata il 30 gennaio 2003 al Senato della Repubblica:

Tale inchiesta non ha precedenti: per la sua ampiezza, per la gravità delle ipotesi di reato contestate e per i collegamenti con altre inchieste ancora in corso riguardanti l'inquinamento di falde acquifere e l'allarmante aumento di malformazioni genetiche neonatali e di patologie tumorali [...]. I riscontri di cui oggi disponiamo, grazie alle indagini della magistratura e ai dati scientifici summenzionati, configurano delle allarmanti ripercussioni sulla salute pubblica, oltre che un danno biologico non solo a carico degli abitanti e lavoratori del predetto territorio, ma anche delle generazioni future[23].

L'evocativo nome che la caratterizza fa riferimento all’episodio che ne segna l'inizio: il 10 settembre 2001 nel tratto di costa antistante lo stabilimento Enichem di Priolo, il mare assunse una colorazione rossastra determinata, come si scoprirà in seguito, da concentrazioni elevate di acido solforico e di mercurio. Così come in passato anche in questo caso i segni visibili di un possibile danno all’ambiente si manifestano attraverso un’alterazione delle acque marine e sono rifiuti e scarti tossici a rappresentare gli agenti di contagio che mettono in connessione esseri viventi umani e non umani, divenendo elementi propulsori per azioni giudiziarie di tipo penale.

In quella occasione, privati cittadini e associazioni ambientaliste segnalarono con un esposto l'accaduto alle autorità, denunciando contemporaneamente una nuova allarmante moria di pesci. L’inchiesta che ne seguì si diramò in due principali filoni. Il primo era volto a misurare la presenza di metalli pesanti nei sedimenti marini del tratto di mare interessato dal fenomeno, con l’obiettivo di dimostrare attività illecite di smaltimento di rifiuti tossici; il secondo riguardava, invece, l’individuazione di possibili correlazioni tra il consumo di pesce tra le gestanti e le malformazioni neonatali riscontrate nel territorio.

Nella fase investigativa la procura invitò le mamme di Augusta a fornire ciocche di capelli che permettessero di riscontrare la presenza nel latte materno di mercurio e, come riportato dalle fonti giornalistiche, ascoltò oltre mille familiari di bambini nati con malformazioni per dimostrare che l’aumento del loro numero era correlabile al consumo di pesci pescati in un’area fortemente contaminata. I dati raccolti permisero di avviare un’imponente azione penale nei confronti di dirigenti e dipendenti di uno stabilimento chimico e di un funzionario provinciale preposto al controllo della gestione dei rifiuti speciali prodotti nell’area industriale, il cui principale capo di imputazione contestato era quello di «associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti pericolosi contenenti mercurio»[24]. In particolare, secondo la pubblica accusa, il mercurio veniva smaltito dall'azienda Enichem attraverso due modalità: scaricandolo nei tombini delle condotte di raccolta delle acque piovane da cui finiva in mare e producendo false certificazioni di analisi che permettevano di smaltire il metallo in discariche autorizzate ma non predisposte alla gestione di rifiuti speciali (Ciafani, Le Donne 2007).

Aggiungendo materialità alla rarefazione delle sensazioni olfattive provocate da fumi delle ciminiere, in quegli anni corpi umani e non umani diventano strumenti attraverso cui quantificare il danno biologico e rafforzare il nesso di causazione tra produzione industriale (rifiuti), danno ambientale e insorgenza di specifiche malattie. Trasformati in prove, quei corpi con il loro carico di sofferenza, si fanno al contempo motore di azione politica. Il clamore e le preoccupazioni suscitate dai dati prodotti dall’inchiesta stimolarono, infatti, l’avvio di iniziative sia sul piano locale che nazionale. Fu, ad esempio emanato un Accordo di Programma Quadro per la realizzazione del “Progetto di risanamento delle aree contaminate finalizzato allo sviluppo sostenibile nel sito di interesse nazionale di Priolo”, sottoscritto l’11 giugno 2004 tra il Ministero dell’Ambiente, la Regione Siciliana, il Vice Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’accordo prevedeva la realizzazione di interventi di bonifica e risanamento ambientale nelle aree del SIN di Priolo i cui oneri sarebbero stati ripartiti tra pubblico e privato.

Su iniziative simili, come riportato da testimonianze giornalistiche e racconti ascoltati sul campo, si costruiscono le speranze verso un futuro in cui tutela dell’ambiente e diritto alla salute possano trovare un punto di equilibrio con gli interessi privati delle imprese. Aspettative che però saranno presto disattese dagli esiti imprevisti del processo. Dopo un lungo periodo di stallo, nel 2007 inaspettatamente fu richiesta dal GIP l’archiviazione del caso. Un’indagine giudiziaria di poco successiva, riguardante la Montedison, proprietaria dell’area prima dell’Enichem, sospettata di aver sversato a mare oltre 500 tonnellate di mercurio tra il 1958 e il 1991, aveva depotenziato la forza del nesso tra i rifiuti sversati in mare dalla Enichem e l’insorgenza di malformazioni neonatali, determinando il venir meno delle accuse di “associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti pericolosi contenenti mercurio”. Inoltre, smentendo i risultati prodotti dai suoi stessi consulenti, la procura accolse le tesi presentate nelle perizie di parte dalla difesa, in cui si sosteneva che, per quanto grave fosse la presenza di mercurio e altri metalli pesanti, non superasse valori tali da avvalorare il delitto di avvelenamento precedentemente contestato. Le conseguenze dell’archiviazione si riverberarono anche sul piano civile. La “ragionevole incertezza” sulla individuazione dei responsabili dell’inquinamento delle acque e dei fondali marini permise infatti alle aziende di contestare di fronte al Tar i provvedimenti ministeriali che sancivano l’obbligo di bonifica, sostenendo l’impossibilità di stabilire in maniera inequivocabile chi avesse inquinato e in che proporzione e pertanto di ripartire correttamente gli oneri dei costi.

Così come mostrato da Ravenda in relazione alla città di Brindisi (2016; 2017; 2018), anche nell’area del siracusano il nesso di causalità tra scarti inquinanti e aumento di specifiche patologie è stato ed è ancora «oggetto di continue dispute giocate a colpi di ricerche scientifiche, monitoraggi e certificazioni ambientali spesso contrastanti» (2017: 183). Esso è negoziato all’interno di campi che non sono solo scientifici ma spesso, come per il caso qui affrontato, anche giuridici e istituzionali. La nozione aristotelica di causa necessaria e sufficiente a spiegare un fenomeno risulta quindi limitante nella descrizione/dimostrazione del rapporto tra inquinamento e salute, che è più efficace inquadrare all’interno di reti di causazione (Vineis 1990) complesse e plurali e dal carattere probabilistico (Agamben 2016). Rendendo evidente la molteplicità di tali reti, l’inchiesta "Mare Rosso" svela al contempo gli interessi che orientano i sistemi di produzione, valutazione e monitoraggio dei dati nello specifico contesto indagato.

Allentando le maglie di quell’alleanza tra esponenti del mondo ambientalista e magistratura, impersonificati dal procuratore Condorelli e dal pediatra Giacinto Franco, i suoi esiti segnano l’inizio di una lunga fase, non ancora conclusa, di progressiva perdita di fiducia nei confronti del potere giudiziario; sfiducia riconducibile inoltre ad una vicenda che precedette la richiesta di archiviazione. Nonostante fosse decaduta l'accusa di lesioni per le malformazioni neonatali, l’azienda incriminata, l’Eni, con la mediazione della procura, decise di corrispondere alle famiglie dei bambini che ne erano affetti un rimborso variabile in base alla gravità del danno subito. Così come ricordato dalle parole dell’attivista citato ad inizio paragrafo, come contropartita fu chiesto loro di rinunciare definitivamente a future azioni legali e di revocare l’incarico agli avvocati che li rappresentavano accettando di affidare le mediazioni ad un unico avvocato, che da allora assumerà un ruolo strategico nel direzionare le sorti della provincia siracusana.

Sempre più frequentemente, i territori e i soggetti sottoposti a forme di inquinamento industriale sono protagonisti di controversie legali e politiche volte a rivendicare il diritto alla salute dell’uomo e dell’ambiente in cui vive. Tali diritti, così come ricorda Ravenda (2016) sono definiti all’interno di relazioni di potere conflittuali e sfaccettate in cui controversie e compensazioni legali giocano un ruolo sempre più rilevante (Barbot, Dodier 2015; Barrera 2013; Biehl 2013). In particolare negli ordinamenti europei il diritto riconosciuto alle vittime di costituirsi parte civile e contribuire all’azione giudiziaria (Barbot, Dodier 2014) ha offerto loro nuove occasioni per affermarsi come soggetti attivi in grado di intervenire nei processi di costruzione sociale della realtà (Thorsen 1993) e sperimentare nuove forme di cittadinanza in cui dati scientifici e verità giudiziarie diventano strumenti per intervenire nel presente veicolando visioni dei territori e aspettative sul futuro spesso confliggenti con le pratiche di gestione poste in essere da istituzioni e amministratori.

Nel contesto analizzato, se in passato il campo giudiziario aveva svolto un ruolo determinante nella diffusione di una consapevolezza politica e pubblica delle problematiche ambientali riconducibili all’industrializzazione, gli esiti dell’inchiesta "Mare Rosso" e la decisione delle famiglie di rinunciare ad un’azione legale rappresentano eventi che hanno contribuito a determinare una decisa riduzione di quelle pratiche di intervento preventivo utili sia a sollecitare l’azione politica sia ad incentivare un adeguamento degli impianti industriali alle prescrizioni imposte dalle normative ambientali. Le loro conseguenze si sono riverberate sulla sfera sociale seguendo molteplici e frastagliate traiettorie. Oltre ad incrinare quella relazione tra potere giudiziario e società civile che aveva caratterizzato gli esordi delle rivendicazioni a tutela dell’ambiente e a limitare, così come ricordato dall’imprenditore e attivista citato ad inizio paragrafo, le possibilità di avviare una «discussione seria sul futuro della zona industriale» a differenza di quanto avvenuto in altre realtà siciliane (cfr. Turco 2018; Saitta 2009), hanno ostacolano lo sviluppo di un attivismo giudiziario e la nascita di movimenti o comitati di familiari di vittime. Indicativo al riguardo il racconto proposto dal parroco della chiesa madre di Augusta, considerato oggi uno dei principali esponenti dell’ambientalismo locale, durante un dibattito dal titolo: Crimini di pace. Ambiente e salute ad Augusta. Che cosa è cambiato?

Io ogni tanto, con una certa frequenza, vengo contattato da persone che mi raccontano le loro storie. Non le possono raccontare a tutti, perché hanno giustamente paura. Vorrebbero che qualcuno prendesse a cuore quella situazione e la denunziasse [...]. Mi diceva una persona che lavora nell’ambito medico ad Augusta: «Noi abbiamo una persona disabile in famiglia. Padre, lei si sta interessando del cancro, vero, giusto. Guardi che non c’è soltanto questo. Questa disabilità è certamente da additare a una questione ambientale. Come questa persona ce ne sono tante ma che purtroppo vengono tenute nascoste. Se io le dicessi il numero di queste persone che ci sono ad Augusta che soffrono di queste patologie lei rimane scandalizzato - ed effettivamente sono rimasto scandalizzato - sono più dei morti di cancro che lei ha censito, però non li vediamo, ma ci sono[25].

Le parole del parroco disegnano un quadro in cui la malattia è stata relegata entro la sfera intima o in quella scientifico-istituzionale del dato misurabile. Nel corso della stessa intervista, così come in altre occasioni di confronto pubblico e privato, rievocando un sentire espresso anche da altri soggetti che condividono le medesime battaglie, l’uomo ricorda come, nell’area del siracusano, nonostante sia notevolmente diminuito il numero di occupati nelle industrie e non siano state ancora realizzate le bonifiche programmate, rimanga forte la convinzione che sia «meglio morire di cancro che di fame», convinzione che induce anche i più giovani ad assumere posture rassegnate nei confronti delle numerose problematiche che attanagliano i territori.

Fanghi in mare e veleni in Procura

È una storia da riscrivere. È una storia da riscrivere. Bisogna andare, bisogna prendersi le carte e poi mettersi a fianco una persona, un tecnico che ne capisca bene delle procedure proprio tecniche giudiziarie. E sicuramente la storia ripartirebbe e sarebbe molto, estremamente interessante. Ma come quella poi ce ne sono tante altre.

Io considero, riallacciandoci all’oggi, quell’episodio, a cui faceva riferimento il magistrato, la grande chiazza rossa, davanti a Priolo, che poi è l’inchiesta "Mare Rosso" e chi la denunciò quella macchia fu Pippo Giacquinta, il presidente del circolo di Legambiente di Priolo che avvistò questa chiazza, fece la denuncia e scattarono le indagini. 18 arresti, 67 imputati, l’Italia sotto e sopra, soldi a rifondere i danni, il ristoro voluto, e così via. Però, quella pagina per me è la pagina che ha poi ha portato purtroppo anche a conseguenze negative, che è, diciamo così, se volete quello che oggi si chiama "Sistema Siracusa", perché se andate a vedere alcuni personaggi che da quella storia hanno preso le mosse li ritroverete nel "Sistema Siracusa"[26].

Le citazioni appena riportate, registrate in due contesti diversi ma non troppo distanti nel tempo, fanno entrambe riferimento all’inchiesta "Mare Rosso" precedentemente discussa. La prima è stata rilasciata dalla vice direttrice della rivista siracusana La Civetta di Minerva nel corso di un’intervista tenutasi nei locali della redazione il 19 settembre 2018. In quell’occasione avevo incontrato la giornalista, insieme al direttore della rivista, per indagare le origini di uno dei due procedimenti penali oggetto di indagine etnografica, noto al pubblico italiano con il nome di “Sistema Siracusa”. Processo a cui fa riferimento la seconda dichiarazione, che riporta le parole di un attivista storico dell’associazione Legambiente pronunciate durante il dibattito citato nel paragrafo precedente.

Definita una «storia da riscrivere», in riferimento alle molte incongruenze che si ritiene ne abbiano caratterizzato l’evoluzione e gli esiti, l’inchiesta è da molti considerata il momento in cui sono state create le condizioni per costruzione di un sistema capillare di relazioni di potere fondate su pratiche corruttive che hanno avuto come protagonisti attivi magistrati, rappresentanti dell’avvocatura locale e mondo dell’imprenditoria[27]. Come sottolineato nella seconda citazione, alcuni personaggi che ne sono stati protagonisti, in particolare il sostituto procuratore Maurizio Musco, titolare dell’inchiesta e l’avvocato Piero Amara, consulente esterno dell’Eni, incaricato di gestire la mediazione con le famiglie dei bambini nati con malformazioni, sono stati e sono oggi oggetto di procedimenti penali che hanno ulteriormente incrinato la fiducia nelle istituzioni giudiziarie e contribuito a diffondere tra l’opinione pubblica quel “senso di sgomento e sdegno” evocato nell'introduzione.

Un primo procedimento, noto come “Veleni in procura”, ha origine nel 2011, a partire dal 12 novembre, quando il settimanale catanese Magma e, a breve distanza, la rivista La Civetta di Minerva, pubblicano una serie di articoli d’inchiesta che pongono dubbi sull’operato di importanti esponenti della procura di Siracusa. Gli articoli evidenziano presunte anomalie processuali e investigative potenzialmente riconducibili al fitto rapporto personale e professionale tra il sostituto procuratore e l’avvocato sopra citati:

C'è stata un'inchiesta del nostro giornale del 2 dicembre 2011, che poi è continuata nei mesi successivi [...] riguardava Musco e altri personaggi. L'inchiesta, scritta da me, portò alla luce un sistema di società a responsabilità limitata di cui erano amministratori o i parenti stretti dell'avvocato Amara o i praticanti dello studio, dei tre studi dell'avvocato Amara, o le mogli dei praticanti, va bene? O persone molto vicine al, alla famiglia Amara[28].

All’interno di alcune delle 24 srl individuate dal giornalista figuravano come semplici soci o amministratori familiari di procuratori e sostituti procuratori titolari di importanti processi in cui, a diverso titolo era coinvolto anche l’avvocato Amara: «Ci siamo trovati insomma a fare, a fare questa inchiesta semplicemente perché c'erano delle cose strane, succedevano cose strane a Siracusa. Cioè in poche parole gli stessi avvocati erano sempre, cioè gli avvocati erano sempre gli stessi in tutte le cose che contavano, in tutti gli aspetti importanti». Nei mesi successivi alla pubblicazione degli articoli i firmatari, così come da loro stessi raccontato, subiscono episodi di denigrazione dalla stampa locale, sono accusati di complotto e, infine querelati per diffamazione e sottoposti a indagini giudiziarie[29]. Le loro ipotesi trovano però il sostegno di una parte della società civile, in particolare delle associazioni ambientaliste e di un’importante rappresentanza dell’avvocatura locale che aveva iniziato ad osservare con sospetto l’andamento di procedimenti giudiziari connessi a questioni di tipo amministrativo, economico e ambientale. Indicative al riguardo appaiono le parole di un avvocato del foro di Siracusa, intervenuto ad un ristretto dibattito il 19 aprile 2018:

Dal nostro punto di osservazione emergevano inspiegabili anomalie in varie questioni: "Mare Rosso"; la Sai8; lo scandalo di costruzioni che dissacravano la costa da nord a sud; permessi a sopraelevare gli alberghi sul mare nonostante i vincoli; il caso di un povero questore che ha cercato di difendere l’area su cui insisteva il vecchio Minareto e ha visto l’opposizione da parte di tutti, anche di alcune forze di polizia, cosicché quel villaggio è stato trasformato in un modo incivile. Hanno saccheggiato questa città: avvocati che improvvisamente comparivano e sostituivano altri, avvocati che venivano chiamati dalle società per risarcire le famiglie con bambini affetti da malformazioni. E poi nomine, nomine, nomine. A tutto questo ci siamo opposti.

Le affermazioni dell’avvocato così come quelle del giornalista delineano gravi ipotesi di reato che determinano la decisione dell’allora guardasigilli Paola Severino di inviare un’ispezione ministeriale e, nel 2012, di allontanare dalla Procura per incompatibilità ambientale il sostituto procuratore Musco, poi reintegrato e definitivamente trasferito nel 2017. Non è possibile in questa sede descrivere le traiettorie dei diversi procedimenti giudiziari che ne sono seguiti, che possono però essere efficacemente sintetizzati da uno stralcio della seduta plenaria della I Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura tenutasi il 16 maggio 2018:

L’ex procuratore capo di Siracusa dott. Ugo Rossi ed il sostituto procuratore dott. Maurizio Musco sono stati condannati per abuso d’ufficio, con sentenza n. 1679/2015 della Corte d’appello di Messina, poi confermata dalla Corte di Cassazione [...]. Inoltre, il dott. Musco è stato condannato, con sentenza disciplinare n. 25/2017 poi passata in giudicato [...], alla perdita di anzianità di un anno per l’omessa astensione in più procedimenti penali patrocinati dall’avv. Amara, nonostante un rapporto con lo stesso sia di pluriennale amicizia e frequentazione sia di compartecipazione in affari, visto che il Musco era socio al 95% di una società che aveva un rapporto di dare/avere con altra società di cui l’Amara era socio al 50%. Con la stessa sentenza l’interessato è stato trasferito d’ufficio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sassari.

Le numerose citazioni riportate riescono solo a far intuire la ramificata e complessa rete di relazioni di potere che nell’ultimo decennio ha contribuito in maniera sostanziale a direzionare il futuro politico, amministrativo ed economico della provincia di Siracusa, producendo effetti diretti anche sull’ambiente e la salute delle persone. Oggi nota con il nome di “Sistema Siracusa” questa rete si è estesa nel tempo ben oltre i confini provinciali e regionali ed è oggetto d’attenzione e nucleo principale di nuove inchieste e procedimenti penali celebrati da diverse procure italiane. A permettere l’avvio di nuove indagini, un esposto sottoscritto e depositato presso gli uffici della Procura di Messina nel settembre del 2016 da otto giovani sostituti procuratori. Dal documento è emerso come la "virulenta capacità di condizionamento" di alcuni potentati economici e professionali sul mondo della magistratura, già tracciata dall’inchiesta l’inchiesta "Veleni in Procura", sia ancora attuale e forte. Si denuncia, inoltre, l’esistenza di numerosi atti processuali penali e contenziosi amministrativi, inquinati da procedimenti giudiziari fittizi istituiti in particolare da un collega, il sostituto procuratore, Giancarlo Longo, allo scopo di:

consentire all'associazione di assumere informazioni in ordine ad indagini in corso, assegnate ad altri pubblici ministeri; nonché di creare artatamente indizi non veri - in particolare, per il tramite di consulenze tecniche ideologicamente false ed al predetto scopo conferite - atti a smentire le ricostruzioni accusatorie prospettate in seno a procedimenti di indagine già assegnati ad altri [...]; nonché di acquisire elaborati tecnici ideologicamente falsi, suscettibili di proficuo uso da parte degli avvocati AMARA e CALAFIFIORE in altre sedi (procedimenti penali, amministrativi, giurisdizional-amministrativi e civili) (Ordinanza di custodia cautelare: 3)

L’esposto depositato in procura è accompagnato da un ulteriore documento rivolto al Consiglio Superiore della Magistratura, in cui i firmatari sollevano dubbi sull’imparzialità dell’operato del nuovo procuratore capo di Siracusa. Entrambi gli atti delineano un quadro allarmante, sfociato in un’inchiesta condotta dalle procure di Messina e Roma, coadiuvate da Milano, che hanno portato all’arresto o reso destinatari di misure cautelari numerosi soggetti a diverso titolo partecipi di quella che è considerata dagli organi inquirenti “un’associazione a delinquere finalizzata all’affermazione di interessi propri o dei propri clienti a discapito della collettività e dei cittadini”.

Nei racconti mediatici delle vicende, così come nel corso di private conversazioni si assiste spesso ad un processo retorico di sovrapposizione tra le condizioni ambientali dei territori ricadenti nella provincia di Siracusa e le vicende giudiziarie che coinvolgono la Procura. Non solo l’inchiesta “Mare Rosso” è spesso rievocata, considerandola il momento in cui sono consolidati quei legami che hanno avviato un processo di progressivo inquinamento dell’azione giudiziaria, sempre più piegata agli interessi privati di esponenti del mondo economico-imprenditoriale e istituzionale. Allo stesso tempo, nel descrivere le inchieste che ne sono seguite – "Veleni in procura" e "Sistema Siracusa" – così come in riferimento ai racconti del processo di industrializzazione, i termini utilizzati attingono al linguaggio della malattia o dei disastri. «Patologici» rapporti ed equilibri di potere tra le diverse forze sociali attive nel territorio, determinati dalla presenza di «cellule cancerogene»[30] che hanno prodotto un «terremoto» istituzionale di cui ancora oggi non è possibile quantificare i danni.

Attivismo e inchieste giudiziarie

Attualmente alcune industrie del polo petrolchimico siracusano sono sottoposte a nuovi procedimenti giudiziari. Avviate a partire dal 2015, nel luglio del 2017 le inchieste hanno portato al sequestro preventivo di tre impianti appartenenti alle aziende Isab ed Esso e all’iscrizione nel registro degli indagati per inquinamento ambientale colposo e impedimento del controllo di otto persone, fra i vertici amministrativi e i responsabili degli impianti. Imponendo alle imprese indagate prescrizioni volte a consentire l’adeguamento degli impianti alle norme tecniche vigenti e a ridurne in tal modo l’impatto inquinante, la Procura fa proprie alcune delle recenti lotte ambientaliste, che utilizzano strumenti formali (esposti, segnalazioni) e informali (pagine e gruppi Facebook) per segnalare in tempo reale gli odori nauseabondi provenienti dalle emissioni industriali. Pur ponendosi in linea di continuità con le rivendicazioni provenienti dal territorio, l’operato della magistratura non riesce più a rappresentarne un saldo punto di riferimento, così come avvenuto in passato. Infatti, a breve distanza dall’avvio delle indagini, l’esposto degli otto sostituti procuratori precedentemente citato, con le accuse di incompatibilità ambientale rivolte al procuratore capo, e l’esplosione pubblica del caso “Sistema Siracusa” hanno rafforzato i dubbi sull’imparzialità del sistema giudiziario, confermando sospetti e timori già insinuatisi negli anni dell’inchiesta “Mare Rosso” e continuamente confermati nel corso del tempo. Anche in ragione di questo diffuso sentimento di sfiducia, le manifestazioni pubbliche organizzate in supporto all’attività investigativa non sono riuscite a coinvolgere la cittadinanza, rimanendo confinate a un ristretto gruppo di attivisti. In particolare ritengo significativa una manifestazione organizzata a Siracusa il 5 maggio 2018 a sostegno dell’allora procuratore capo, promotore del sequestro degli impianti inquinanti, di cui si iniziava a paventare un trasferimento. La manifestazione, a cui io stessa ero presente, è andata allora quasi del tutto deserta, annoverando all’incirca una decina di partecipanti. A distanza di pochi mesi (settembre 2018), nel corso di un confronto informale con la rappresentante di un comitato territoriale attivo su temi analoghi a quelli indagati dalla Procura, la stessa mi aveva spiegato che la loro assenza, così come quella di altri soggetti pubblici era determinata dal fatto che, all’interno dei movimenti ambientalisti erano in molti a dubitare dell’operato della Procura e della sua imparzialità. Per tali ragioni si era deciso di non prendere una posizione netta in attesa di chiarimenti da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.

Le resistenze nei confronti dell’apparato giudiziario espresse dall’attivista sono condivise anche da una parte della popolazione locale, così come emerge dalle parole di un abitante di Augusta che, riflettendo sulle passate inchieste e su quelle ancora in corso, dichiara: «È vero, hai ragione, ci sono state inchieste, processi, sequestri di impianti ma si sono conclusi in un nulla di fatto. La giustizia non è uguale per tutti [...]. Finché il petrolio governerà l'economia del pianeta non vedo nessuna soluzione, nessun cambiamento per il mio territorio»[31]. Una sfiducia che coinvolge anche il mondo politico-istituzionale e l’ipotesi che possano essere realizzate le bonifiche necessarie a mitigare il danno ambientale prodotto dalle industrie. Le frasi riportate, pronunciate con tono sicuro seppur amaro, esprimono quello che Mara Benadusi descrive come un mutamento di segno nella percezione del «potere del petrolio»: non più un potere portatore di benessere che inizialmente aveva affrancato quei luoghi da una condizione di povertà estrema, ma un potere capace di «di arrecare danno, facendo precipitare la popolazione, in un lasso di tempo relativamente breve, in una condizione di stallo economico e di crescente rischio sanitario e ambientale» (Benadusi 2017: 57).

Il mutato sentire nei confronti di un potere del petrolio che si ritiene riesca ancora a condizionare la vita sociale ed economica del territorio, unitamente ai ripetuti episodi di corruzione, ipotizzati o accertati, dei vertici della magistratura locale, hanno generato sentimenti trasversali di disillusione rispetto all’efficacia dell’azione penale nella risoluzione di controversie di tipo ambientale. In particolare all’interno del mondo dell’avvocatura e dell’attivismo ambientalista, pur riconoscendo alle lotte sociali un ruolo decisivo nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di reati ambientali e attribuendo a quest’ultima l’apertura di nuovi spazi di partecipazione[32], è forte la convinzione che nello specifico contesto la «migliorata legislazione ambientale» non riesca ancora a trovare «un’applicazione coerente e tale da modificare le cose»[33].

Ritengo che l’incapacità dimostrata nel tempo dai dispositivi attuariali, tra cui quello giudiziario, di intervenire fattivamente nel presente, oltre ad aver rafforzato l’utilizzo di “specie sentinella” (Benadusi 2017) pensati e agiti come simboli su cui si strutturano azioni volte a governare il futuro, abbia contemporaneamente contribuito ad assegnare una nuova centralità ai corpi di chi vive quei territori. Le proporzioni ormai gravi della questione ambientale e sanitaria sono oggi veicolate con sempre più forza da esplicite narrazioni della malattia e della morte, che utilizzano il corpo come prova in grado di testimoniare gli effetti dell’inquinamento sull’uomo e rivendicare il diritto alla salute. Indicativa appare in tal senso una conversazione intrattenuta con un tassista nel tratto di strada da Augusta a Melilli il 29 settembre del 2018. Informato dei temi della ricerca che mi spingevano a frequentare i suoi luoghi di vita e di lavoro, senza aver ricevuto da parte mia alcun tipo di sollecitazione, l’uomo, un quarantenne residente ad Augusta, si era soffermato su una dettagliata descrizione dei gravi problemi ambientali che attanagliano l’area, riconducibile, a suo dire al disprezzo nei confronti del territorio dimostrato da molte aziende del polo petrolchimico. La critica era stata mediata dal racconto della malattia della giovane moglie: un tumore al seno in stadio avanzato e ancora in fase di guarigione, che aveva determinato in loro la temporanea rinuncia a diventare genitori.

Nel racconto spontaneo del tassista, così come nelle testimonianze raccolte nei numerosi documentari e servizi d’inchiesta giornalistica realizzati negli ultimi anni, la dicibilità dei corpi malati torna a travalicare la sfera intima e privata e quella scientifico-istituzionale, collocandosi all’interno di un discorso pubblico che riassegna ai soggetti la voce tacitata dagli esiti dell’inchiesta “Mare Rosso”. Nell'attraversare tale confine i corpi malati diventano strumento di una cittadinanza biologica (Petryna 2002) che si traduce in specifiche pratiche e narrazioni. Le iniziative organizzate dal parroco della Chiesa Madre di Augusta, a cui si è già fatto riferimento, risultano in tal senso esemplificative. Non solo il giorno 28 di ogni mese il prete celebra una messa durante la quale legge ai fedeli un elenco sempre crescente dei morti di tumore, una sorta di anagrafe informale, affissa all’ingresso dell’edificio sacro, in cui sono indicati il nome del defunto e la causa del decesso. Egli è inoltre promotore di manifestazioni pubbliche (Benadusi 2018a; 2018b) e iniziative istituzionali che fanno della malattia e della morte strumenti di rivendicazione sociale. Allo stesso modo anche i corpi “a rischio di contaminazione” si fanno oggi strumenti di intervento politico. La nascita di pagine Facebook create con l’obiettivo di segnalare i cattivi odori[34] derivanti dalle emissioni prodotte dagli impianti e i molti esposti alle autorità competenti che ne fanno seguito, utilizzano le percezioni olfattive come testimonianze dell’inquinamento atmosferico per stimolare l’azione istituzionale e politica. Un inquinamento per cui è ancora arduo riuscire a dimostrare un nesso di causalità diretta con l’attività delle singole imprese, ma che nondimeno produce effetti tangibili e dimostrabili sulla vita delle persone.

Così come dichiarato in numerose interviste dallo stesso procuratore capo allora in carica, l’inchiesta sull’inquinamento atmosferico degli impianti Esso e Isab è scaturita, infatti, dai numerosi esposti e denunce di cittadini e associazioni sulla cattiva qualità dell'aria. Lo stesso procuratore così si è pronunciato nel corso dell’audizione di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ad esse correlate (16 aprile 2015):

Dico questo perché sul mio tavolo, non appena sono arrivato, si è riversata una serie di esposti, in quanto c’è da parte del territorio una domanda di giustizia e di legalità in merito ai pericoli legati all’inquinamento e ai tumori. Ho quindi dovuto prima di tutto attrezzare l’ufficio per fronteggiare una situazione abbastanza pesante per una serie di questioni che si sono sovrapposte nel tempo (3)[35].

Le parole del procuratore testimoniano la diffusione ormai capillare di una coscienza pubblica sui rischi connessi ad una produzione industriale petrolchimica scarsamente regolamentata. Se è vero che questa non si nutre più come in passato del confronto con inchieste giudiziarie capaci di stimolare processi di avanzamento della conoscenza attraverso la produzione di dati scientifici, ritengo che le sfere giuridica e legislativa rappresentino ancora oggi possibili ambiti di azione sociale a cui le popolazioni locali guardano con attenzione, nonostante la dichiarata diffidenza. Nuove forme di cittadinanza in cui i corpi si trasformano in prove, sono messe in campo nel tentativo di ampliare il bacino di partecipazione popolare, sostenute dalla medesima convinzione:

Perché a nostro modestissimo avviso, soltanto quando in piazza scendono migliaia, migliaia di cittadini, di abitanti contaminati qualcuno forse ha paura, avrà paura, forse. Bisogna arrivare a quell’obiettivo di far capire a tutti che non è vero che non serve a niente la protesta, che non serve a niente il dibattito, tanto è tutto già predestinato.

E allora, però come dire, dalle sconfitte si traggono gli insegnamenti per le future vittorie. Qual è la ricetta, a mio avviso? È la proposta di lanciare una grande vertenza pubblica, popolare che cammini sulle gambe delle donne e degli uomini reali, che richieda il rigore nella tutela ambientale, che non metta all’interno delle proprie categorie mentali come possibile nessun ricatto del tipo lavoro contro salute, perché questa è l’anticamera, ormai l’esperienza ce lo ha insegnato, per non avere né la salute, né a lungo andare il lavoro[36].

Pur non prendendo direttamente parte a procedimenti giudiziari, ritengo che i corpi malati o a rischio di ammalarsi di inquinamento abbiano oggi rafforzato il loro valore di “prova” all’interno di un processo di segno opposto a quello innescato dall’inchiesta "Mare Rosso": non più investigatori e pubblici ministeri pronti ad oggettivare e datificare la malattia, ma corpi agenti, che si fanno essi stessi promotori di azioni legali.

Conclusioni

Le analisi proposte mostrano come, nel contesto industriale siracusano, il campo giudiziario abbia storicamente rappresentato un motore di cambiamento sociale, un collante per le lotte ambientaliste e uno stimolo per la classe politico-amministrativa generalmente considerata inerte sia dagli abitanti, sia da importanti esponenti del mondo delle professioni e dell’associazionismo, rendendo evidente l’articolata rete di piani e livelli su cui si è qui strutturata la questione ambientale. In questi territori, a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo, i processi di quantificazione del danno biologico subito dall’ambiente, promossi e prodotti da importanti inchieste giudiziarie, sono stati accompagnati e si sono innestati con l’acquisizione di una progressiva consapevolezza dell’erosione del diritto alla salute. Quest’ultima è stata veicolata da tangibili manifestazioni dell’inquinamento prodotto dalle diverse tipologie di scarti industriali, che hanno permesso a figure come il medico Giacinto Franco, considerate ancora oggi pilastri delle società civile locale, di ipotizzare e in alcuni casi accertare nessi di causazione tra il ciclo di produzione e l’aumento di specifiche patologie. È lo stesso processo di acquisizione ed elaborazione di dati ad aver creato terreno fertile per la nascita di nuove forme di cittadinanza che, se inizialmente hanno trovato nella magistratura un attento e sensibile interlocutore, a causa del progressivo dilagare, prima intuito e poi accertato, di fenomeni di corruzione e complicità con potentati economici locali e nazionali, si muovono oggi su altri piani di azione e utilizzano nuovi strumenti espressivi. Fondate spesso su un attento studio di fonti normative, dati scientifici e provvedimenti istituzionali, le rivendicazioni sociali pongono oggi al centro delle loro performance la malattia e il corpo. Un corpo che, nella sua profondità contemporaneamente storica e sociale, pensato in relazione diretta con l’ambiente diventa testimonianza e prova di verità che i processi non sono riusciti a mostrare. Gli attori che ne sono promotori, pur mostrando una chiara consapevolezza dei limiti normativi dell’azione penale nel campo dei reati ambientali e una ragionevole diffidenza nei confronti degli organi inquirenti, guardano con attenzione ai processi attualmente in corso in altre realtà nazionali e alle possibilità aperte dall’evoluzione della legislazione in tali ambiti. Inoltre, come si è visto, si fanno essi stessi promotori di iniziative legali, testimoniando in tal modo la volontà di riappropriarsi di un ambito di intervento che, nonostante la sfiducia dichiarata, è tutt’oggi ritenuto uno strumento fondamentale delle rivendicazioni ambientaliste.

L’individuazione delle relazioni particolari e storicamente determinate tra sfera giuridica e sfera sociale, attraverso la consultazione della letteratura storica, di atti e documenti istituzionali, di fonti giornalistiche e per il tramite dei racconti di testimoni diretti delle vicende, è stato uno strumento d’indagine necessario a comprendere, da un lato, la complessa congiuntura in cui si inscrivono oggi gli equilibri economici, ambientali e politico-istituzionali dell’area indagata e, dall’altro quella che viene considerata l’origine di uno dei processi che rappresentano il campo della mia ricerca: il caso "Sistema Siracusa". Al contempo ha fornito alcune chiavi d’accesso utili ad entrare in relazione con gli attori che compongono il campo giudiziario locale, professionisti la cui “cultura” è incorporata in e dà origine a pratiche, procedure, rituali, regole e istituzioni (Grillo 2016) che possono risultare di ostica comprensione a chi non ne è membro.

Come già accennato nell’introduzione, pur non possedendo un valore pubblico immediatamente riconoscibile, la ricerca in corso si pone l’obiettivo di instaurare un’interlocuzione con il mondo dell’avvocatura e della magistratura, non solo in quei casi in cui i processi acquisiscono una chiara connotazione culturale (Ciccozzi, De Carli 2019), permettendo così un più facile accesso del ricercatore nelle aule di tribunale, sia nelle vesti di consulente che in quelle di osservatore. Il campo giudiziario e gli attori che ne sono protagonisti giocano oggi un ruolo sempre più dirimente nell’evoluzione di questioni che rappresentano ambiti di interesse privilegiato anche per l’antropologia, ma nei quali la disciplina e i suoi metodi con più fatica riescono ad affermarsi. È diventato quindi importante non solo apprenderne linguaggi e imparare a decodificarne le pratiche ma costruire spazi comuni di interazione che moltiplichino le occasioni di mostrare le capacità della disciplina di riconfigurare problemi, anche di tipo ambientale, fornendo nuove chiavi analitiche per comprendere il presente.

Se tale obiettivo richiede tempi lunghi e un crescente impegno in contesti di ricerca ancora poco esplorati, di più immediata realizzazione risulta essere per un antropologo la possibilità di mettere in connessione dati, racconti e testimonianze, producendo una narrazione unitaria. «È una storia da riscrivere», ha ripetuto più volte la giornalista citata nel quarto paragrafo riferendosi all’inchiesta “Mare Rosso”. Affermazioni simili, sono state rilasciate, in alcuni casi sotto forma di esplicita richiesta, anche nel corso di interviste condotte con avvocati, giornalisti e attivisti, in relazione a questa e ad altre vicende che sono oggi oggetto di dibattimento nei diversi filoni del processo "Sistema Siracusa". L’articolo proposto si presenta dunque come un primo tentativo, in attesa di un più corposo lavoro di ricostruzione, di rispondere alle richieste dei miei interlocutori, proponendo una lettura dei fatti, che oltre ai dati scientifici e gli atti istituzionali, dia voce a ipotesi, suggestioni e racconti raccolti sul campo.

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[1] Nel 1990 l’area è stata dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale e, nel 1998, individuata come Sito di Interesse Nazionale ai fini della bonifica (legge n. 426 del 9 dicembre 1998).

[2] I procedimenti riguardanti i magistrati italiani, sia nella qualità di parti offese che di soggetti imputati, sono normati dalla legge n. 420 del 2 dicembre 1998, che, attraverso un'apposita tabella, stabilisce i Distretti della Corte d'Appello competenti allo svolgimento di tale funzione. Per le indagini riguardanti membri interni alla Procura siracusana il distretto competente è quello di Messina.

[3] L’espressione è stata ripresa dalle motivazioni di una sentenza di assoluzione nei confronti di un giornalista siracusano processato per diffamazione a seguito di una denuncia inoltrata da un esponente della Procura. Il dispositivo della sentenza è stato pronunciato il 18 gennaio 2019 dalla Prima Sezione Penale, in composizione monocratica, del Tribunale di Messina (Giudice Maria Giuseppa Scolaro). Le motivazioni sono state depositate il 4 marzo 2019.

[4] Così come ricordato da rappresentanti di associazioni e comitati, nei comuni del siracusano, ad esclusione di casi isolati, l’attivismo di tipo ambientalista non ha generalmente riscontrato una partecipazione corale da parte degli abitanti soprattutto a causa di quello che viene definito “ricatto occupazionale”. Come ricorda un giovane abitante di Melilli, attivo politicamente e membro di associazioni ambientali e culturali, quasi ogni famiglia del territorio può annoverare al suo interno almeno un lavoratore nel settore petrolchimico o nel suo indotto. Tale capillare forma di coinvolgimento, unitamente alla mancanza di sostanziali alternative lavorative, ha rappresentato, a parere di molti, un forte deterrente alla partecipazione attiva dei cittadini a rivendicazioni centrate sulla tutela del diritto alla salute del territorio e dei suoi abitanti.

[5] In relazione alle emissioni in atmosfera, la produzione industriale non fu sottoposta ad alcuna normativa ambientale fino agli anni 1975/76 (Adorno 2007a).

[6] La ricerca che ha dato vita a questo articolo, dal titolo Giochi di potere. Industria, diritto e criminalità nella Sicilia sud-orientale, è stata realizzata nell’ambito del progetto PRIN Eco-frizioni dell'Antropocene. Sostenibilità e patrimonializzazione nei processi di riconversione industriale, a cui partecipo in qualità di membro dell’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Catania coordinata da Mara Benadusi presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali.

[7] Le analisi qui contenute ripercorrono soprattutto le fasi iniziali del lavoro di ricerca in cui la ricognizione analitica delle passate controversie giudiziarie e dei conflitti sociali, così come lo studio della letteratura di carattere storico, della pubblicistica e di materiale di tipo documentaristico sono stati propedeutici alla scelta dei processi penali divenuti in seguito oggetto di indagine etnografica.

[8] Solo a titolo esemplificativo si vedano il numero monografico della rivista Archivio Antropologico del Mediterraneo curata da Mara Benadusi e Sandrine Revet (2016). Anche in Italia si assiste ad un lento incremento degli antropologi chiamati attivamente ad intervenire in processi penali (Ciccozzi 2013; Ciccozzi, Decarli 2019) come consulenti, periti di parte ed esperti, principalmente all’interno di contenziosi che hanno come oggetto reati cosiddetti culturali.

[9] In particolare queste hanno riguardato il processo di acquisizione della fiducia degli interlocutori con cui mi relazionavo, che ha richiesto tempi lunghi e l’acquisizione di una padronanza del linguaggio giuridico più dettagliata rispetto a quella già posseduta, e la possibilità di accesso agli atti che, in ragione dell’attualità dei processi, non sempre i giudici sono disposti a concedere.

[10] Non è possibile in questa sede approfondire i nodi critici dell’utilizzo della categoria di “modernizzazione passiva” proposta da Felice (2013) in relazione all’ampio dibattito sulla questione meridionale. Si veda al riguardo il libro di Salvatore Lupo (2015).

[11] A permettere l’avvio di procedimenti penali a carico di funzionari pubblici fu soprattutto il mutare del contesto normativo, grazie alla promulgazione di leggi più attente alla tutela dell’ambiente. In particolare nel 1976 l’area del siracusano fu inserita nella tabella A prevista dalla legge 615 del 1966 – la cosìddetta “Legge anti-smog” – che disciplinava i limiti delle emissioni aeree sostenibile per un territorio. Lo stesso anno fu inoltre emanata la legge Merli che sanzionava l’inquinamento dei corpi idrici.

[12] Cfr. Sentenza n. 77/bis/80 del 18 febbraio 1980. Tra gli illeciti appurati si annovera: l’assenza di licenze edilizie necessarie alla costruzione degli impianti; l’assenza delle autorizzazioni per gli scarichi in mare, la mancanza di depuratori o il malfunzionamento di quelli esistenti.

[13] Dalla consultazione della pubblicistica del periodo, così come dalle interviste e dai colloqui informali realizzati nel corso della ricerca con avvocati, attivisti e giornalisti emerge un quadro in cui ad essere considerata carente o complice non è solo la classe politica appartenente sia a schieramenti di destra che di sinistra, ma anche il mondo dei sindacati.

[14] Dichiarazione rilasciata dal geologo e ambientalista Pippo Ansaldi in uno scritto a commento ad un convegno sui reati ambientali organizzato dall’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali – ISISC (13-14 novembre 2015) a cui aveva preso parte in qualità di relatore il pretore Condorelli, divenuto intanto Procuratore Generale alla Corte d’Appello di Mantova. Il testo, pubblicato sulle pagine della rivista La Civetta di Minerva il 22 dicembre 2015, è reperibile al seguente link http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=1146:l-azione-del-pretore-condorelli-segno-nel-siracusano-la-svolta-ambientale&catid=16&Itemid=140 (ultima consultazione 28 maggio 2019).

[15] Istituto Superiore di Sanità, Indagine sullo stato di inquinamento atmosferico nella fascia costiera da Augusta a Siracusa ed il suo immediato entroterra, dattiloscritto (1982: 93).

[16] La descrizione di un mare «color caffè latte» è stata riproposta in diverse occasioni pubbliche dal parroco della Chiesa Madre di Augusta, Don Palmiro Prisutto, divenuto oggi uno dei principali protagonisti delle battaglie ambientaliste.

[17] È importante sottolineare che nel periodo considerato le procedure di smaltimento poste in essere dalle industrie del polo petrolchimico non erano sottoposte a nessun tipo di controllo pubblico, elemento questo che consentiva loro di depositare in mare ogni tipo di scarto prodotto.

[18] L’incarico fu affidato al prof. Aristeo Renzoni, al dott. Roberto Minervini dell’Istituto di Anatomia comparata dell’Università di Siena e al dott. Vito Consoli del Co.I.Pa. di Roma, in seguito al processo 1802/79 r.g. della Pretura di Augusta relativo alla moria di pesci del settembre-ottobre 1979. Relazione tecnica preliminare sulle indagini effettuate nella Rada di Augusta, 8 novembre 1980, dattiloscritto.

[19] Le ricerche condotte dal medico e il forte impegno pubblico che lo caratterizza mostrano una sensibilità nell’analisi di fatti sociali complessi, come può essere considerata la malattia e le cause che la determinano, che diverge da esperienze descritte in diversi contesti d’indagine (Alunni 2017; Mazzeo 2017).

[20] In quella occasione, grazie alle sollecitazioni della pretura, il Ministero della Sanità costituì una commissione di inchiesta che inserì la provincia di Siracusa nel programma di monitoraggio IPIMC (Indagine policentrica italiana malformazioni congenite). A partire dal 1990 i dati confluirono nel Registro siciliano delle malformazioni congenite, appositamente costituito.

[21] Interessante è al riguardo una conversazione intrattenuta il 3 maggio 2019 a Catania con un abitante di Augusta, dipendente amministrativo di un’azienda fornitrice di materie necessarie al trattamento dei rifiuti chimici. L’uomo, trentanovenne, ricorda come sul luogo di lavoro i colleghi più anziani rievochino frequentemente l’operato del pretore Condorelli, sottolineando che, nonostante l’azione giudiziaria abbia allora comportato la momentanea chiusura di alcuni stabilimenti e arrestato un periodo «economicamente molto positivo» in cui gli operai erano chiamati a «fare i turni di notte per non interrompere mai le forniture», nessuno contesti le misure adottate: «perché sanno che era giusto, era giusto il lavoro di Condorelli». Lui stesso, inoltre, esprime profonda ammirazione nei confronti del pediatra, che ha conosciuto personalmente e dell’impegno pubblico nella tutela della salute degli abitanti del polo petrolchimico.

[22] Colloquio informale registrato, Catania, 23 maggio 2019.

[23] Senato della Repubblica, XIV Legislatura, Doc. XXII n. 16.

[24] Nel gennaio 2003, la procura, rappresentata dal sostituto procuratore Maurizio Musco, trasse in arresto 17 persone e sequestrò lo stabilimento dell'azienda Enichem (ora Syndial) di Priolo. Furono indagati il direttore allora in carica, gli ex direttore e vicedirettore e i responsabili di alcuni specifici settori aziendali. Dopo il sequestro giudiziario e un lungo periodo di fermo delle attività, l’impianto è ripartito con una sola delle tre linee per essere poi fermato definitivamente nel novembre 2005 (Ciafani, Le Donne 2007). La possibilità di investigare negli uffici e tra i documenti di una grande industria è resa possibile anche dall'evoluzione della giurisprudenza di settore, in particolare dall'introduzione nel diritto penale del reato di "traffico illecito di rifiuti" che consentiva agli inquirenti di utilizzare strumenti di polizia investigativa come le intercettazioni ambientali.

[25] L’incontro, a cui ho personalmente partecipato, è stato organizzato in data 23 ottobre 2018 dal collettivo “Centro periferico”, un insieme di associazioni che a diverso titolo si occupano di specifici problemi legati alla tutela dell’ambiente, di recupero e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale e di organizzazioni di eventi socio-culturali.

[26] Attivista ambientalista, intervento registrato ad un incontro pubblico, Augusta 23 ottobre 2018.

[27] È importante sottolineare come, nonostante sia diffusa tra avvocati, giornalisti e rappresentati della società civile da me consultati, la convinzione che l’inchiesta Mare Rosso rappresenti il punto d’origine dello scandalo che ha travolto in questi anni la procura aretusea, alcuni protagonisti della vita pubblica cittadina esprimano resistenze nel creare connessioni dirette tra le vicende senza che queste siano suffragate da dati certi e appurabili. È il caso, ad esempio, di un giornalista e vignettista siracusano, indagato per diffamazione in seguito ad una denuncia del sostituto procuratore Maurizio Musco e recentemente assolto in Cassazione. In un’intervista rilasciatami il 3 agosto 2019, il giornalista così dichiara: «Sarebbe molto, sicuramente molto utile ed interessante riuscire ad avere tutti i passaggi di quella storia, perché è una storia enorme. È una storia dove non soltanto c’è stato l’indennizzo alle persone, ma si è affrontato una vicenda non solo antica ma anche contemporanea che è quella dell’inquinamento della rada di Augusta, di tutto un litorale, di tutto un comprensorio e dei danni sulla salute delle persone allora come adesso. Quindi se qualcuno ha brigato, ha guadagnato, ha fatto il finto ambientalista e tutore della legalità per guadagnare qualche cosa, sarebbe sicuramente importantissimo che venisse fuori, però non si può andare soltanto ad ipotesi dato che comunque c’è tanto altro che riguarda i ruoli negativi di rappresentanti della giustizia».

[28] Giornalista, direttore di rivista, intervista registrata Siracusa, 19 settembre 2018.

[29] Similmente, anche in occasione della chiusura dell’inchiesta “Mare Rosso”, il sostituto procuratore Musco querela il giornalista Giovanni D'Anna, inquisito per aver pubblicato sul sito dell'organo di informazione telematico Augusta on line un articolo nel quale definitiva "vergognosa archiviazione" l'esito dell’inchiesta. Dopo un processo durato 12 anni il giornalista è stato assolto in Cassazione con formula piena “perché il fatto non sussiste” (Sentenza n. 8195/2015).

[30] Ripensare alcune vicende: Mare Rosso, Oikothen, Sai8, Augusta, La civetta di Minerva, 26 Febbraio 2018, http://www.lacivettapress.it/it/ index.php?option=com_content&view=article &id=2901:ripensare-alcune-vicende-mare-rosso-oikothen-sai-8-augusta&catid=15&Itemid=139 (Sito internet consultato in data 06/06/2019).

[31] Le parole citate, appuntate nel taccuino, sono state pronunciate nel corso di un colloquio informale non registrato, avvenuto ad Augusta il 23 marzo del 2019. L’uomo, poco più che quarantenne, pur conoscendo nel dettaglio i problemi ambientali del territorio in cui vive, oltre a manifestare la sua disillusione nei confronti del sistema giudiziario, dichiara di non prendere parte alla vita pubblica e associativa non condividendo le forme di protesta messe in campo da comitati e associazioni.

[32] Ad esempio, il presidente nazionale dell’associazione Legambiente, nel corso di un convegno organizzato a Catania il 23 aprile 2018, ha definito la legge 68/2015 – legge che introduce nuove tipologie di reati ambientali e ne definisce più in dettaglio altre già esistenti, ampliando al contempo gli strumenti investigativi a disposizione degli inquirenti – una legge «figlia della lotta del popolo inquinato».

[33] Presidente Legambiente Augusta. Dibattito registrato, Augusta 23 ottobre 2018.

[34] https://www.facebook.com/groups/segnalalapuzza/

[35] Resoconto stenografico della seduta, denominata "Missione in Sicilia", reperibile al seguente link: http://parlamento17.camera.it/application/xmanager/projects/parlamento17/attachments/auditi_pdf/pdfs/000/000/166/Rif_M_20150416_009_proc_Siracusa.pdf (Sito internet consultato in data 23/05/2019). La seduta era stata preceduta di un giorno da un sopralluogo della Commissione agli impianti petrolchimici di Priolo.

[36] Le dichiarazioni citate sono state rilasciate durante un dibattito pubblico registrato, organizzato ad Augusta dal collettivo Centro Periferico il 14 dicembre 2018. A pronunciarle due avvocati, una giovane donna di Siracusa membro del comitato Stop Veleni e un rappresentante della sede aretusea dell’associazione Giuristi Democratici, entrambi impegnati, in periodi e con modalità diverse, in azioni e rivendicazioni a tutela dell’ambiente e della salute.