Il Migrantour oltrepassa il tour

Attraversare e ampliare gli spazi nel quartiere San Berillo di Catania

Vincenzo Luca Lo Re

Università La Sapienza Roma

Indice

Migrantour e (ri) posizionamenti nello spazio urbano.
Narrazione e ingaggio sociale
Bibliografia

In un momento storico caratterizzato dalla grave emergenza sociale, sanitaria ed economica legata all’epidemia Covid-19, ragionare sull’esperienza di attivazione e promozione sociale condotta all’interno del progetto Migrantour potrebbe apparire come un lavoro secondario e subordinato ad altre questioni più importanti e urgenti. Il blocco delle attività e le misure di contenimento sociale adottate a livello centrale dalle istituzioni statali continua a condizionare tutte quelle forme e iniziative di aggregazione, coinvolgimento e attivazione finalizzate a costruire socialità e protagonismo, con particolare riferimento alle persone più fragili.

Ripensando alle passeggiate condotte dagli accompagnatori di Migrantour e riflettendo sulle difficoltà e sui limiti che l’attuale situazione sta presentando sembra utile un ragionamento sul senso che, in qualità di operatori, ricercatori, facilitatori, accompagnatori diamo a questo tipo di lavoro, soprattutto nella relazione tra le esigenze materiali e la dimensione immateriale, apparentemente slegata dalla nostra vita quotidiana. Il rischio di questa dicotomia sta nel non consentire un approfondimento delle interazioni e delle reciproche influenze che si determinano nella vita sociale, nei rapporti tra strutture economiche e agency, tra coinvolgimento sociale e miglioramento delle condizioni di vita. La questione delle modalità di fruizione degli spazi urbani e delle possibilità di promuovere forme di azioni trasformative a fronte delle misure di distanziamento sociale, di blocco delle attività economiche e sociali, rappresenta un tema di lavoro centrale per capire in che modo un processo culturale e sociale come il Migrantour possa proseguire e ampliare il suo spettro di azione.

Nel tentativo di intervenire nel denso dibattito ospitato dalla rivista Antropologia Pubblica, centrato sulle implicazioni e le ricadute del progetto Migrantour, desidero proporre una riflessione orientata a considerare questa esperienza non esclusivamente come un progetto, quanto piuttosto come processo che interseca, da un lato, le contraddizioni sociali che si sviluppano negli spazi urbani rispetto alle politiche di accoglienza e di decoro urbano, e, dall’altro, tenta di ribaltare la condizione di marginalità e subalternità che i migranti vivono, insieme ad altri, nei loro contesti di vita quotidiana. All’interno di questa cornice intendo evidenziare le dissonanze che nel caso studio specifico della città di Catania si sono riprodotte soprattutto rispetto ai cosiddetti beneficiari del progetto, quindi i soggetti con background migratorio che hanno partecipato e continuano a collaborare all’interno di questa iniziativa, e mettere in luce in che modo queste diversità possano contribuire a definire una prospettiva di lavoro più ampia. Un secondo punto di intervento e di analisi intende affrontare il tema delle prospettive applicative che l’iniziativa progettuale sta facendo emergere, ragionando sui soggetti migranti non più come “stranieri” che raccontano una diversità, piuttosto come soggetti che vivono e che condividono spazi di vita, conflittualità e contraddizioni sociali. Persone che agiscono non soltanto come migranti ma anche come abitanti, cittadini, fruitori di servizi, consumatori e protagonisti della città. Questa proposta tenta di rimettere al centro della discussione pubblica le questioni che riguardano il rapporto tra marginalità spaziale e diversità culturale. Un tema importante per l’antropologia urbana, ma che affronta aspetti che riguardano anche la conoscenza del territorio, il rapporto tra la dimensione locale e globale dentro cui agiscono i soggetti, e infine quali sono le modalità di costruzione delle località. Il Migrantour offre un intreccio critico e operativo di questo insieme di questioni, proponendo scenari di azione e di trasformazione soprattutto in contesti urbani interessati da politiche di marginalizzazione, di esclusione e diseguaglianza. La domanda che ha guidato il mio interesse in questa analisi si lega alla necessità di approfondire come l’applicazione della conoscenza e delle esperienze di ricerca antropologica possano fornire strumenti pubblici di lotta e trasformazione con riferimento ai contesti urbani interessati, provando a tenere insieme gli aspetti che riguardano la promozione di nuove forme di narrazione territoriale e la prospettiva di ingaggio sociale nei processi di riappropriazione e riuso degli spazi urbani.

Questo contributo è il frutto di un lavoro di approfondimento e ricerca sull’esperienza progettuale del Migrantour nella città di Catania, che ha coinvolto operatori e accompagnatori tra il 2018 e il 2019 in un percorso di conoscenza interattiva della città e di costruzione di strumenti di intervento sociale e spaziale all’interno di un processo più ampio di ricerca-azione promosso dall’Associazione Trame di quartiere nel contesto del quartiere San Berillo e di altre aree del centro storico della città. L’obiettivo di questa attività di ricerca riguarda l’esigenza di capire in che modo gli strumenti di narrazione pubblica e di promozione sociale rappresentano o meno un’occasione di mobilitazione e attivazione per quei soggetti che, pur abitando e praticando determinati spazi della città, non vengono riconosciuti nel quadro delle politiche pubbliche come protagonisti del cambiamento, ma diventano piuttosto un problema da risolvere. Con riferimento al dibattito che la rivista ha ospitato sulle contraddizioni e le possibilità del progetto Migrantour e sul rapporto tra tecniche di mercato e pratiche politiche, proverò, partendo dal caso specifico, a spiegare la necessità di andare oltre il livello dell’azione progettuale per tentare di costruire e intrecciare i processi sociali. Le ricadute applicative dell’antropologia non sono confinate esclusivamente nella scrittura e nella conduzione dei progetti, ma permettono di stare nei processi mantenendo una posizione critica e costruttiva, dialogando con i soggetti coinvolti per ripensare la prosecuzione delle attività, i processi che si intende portare avanti, le aspettative che si vogliono realizzare e i presupposti politici su cui si fondano. Pe questo propongo di analizzare l’esperienza del Migrantour nei quartieri San Berillo e Civita di Catania partendo dal quadro teorico proposto da Jean-Pierre Olivier de Sardan nel suo saggio Anthropology and Development. Understanding contemporary social change, focalizzando l’attenzione sull’approccio definito entagled social approach incentrato sull'analisi dell'integrità della logica sociale (de Sardan 2005). Questo approccio si basa su un interazionismo metodologico che considera l’interazione come percorso produttivo nella realtà sociale, come mezzo per decifrare situazioni sociali concrete, sia in termini di attori, strategie e vincoli contestuali che come mezzo per avvicinarsi alle pratiche e alle concezioni, per individuare fenomeni congiunturali e strutturali. Le azioni e i progetti di sviluppo, in quanto parte delle forme di cambiamento sociale, costituiscono una somma di processi sociali indotti da azioni volontaristiche che hanno l’obbiettivo di trasformare un ambiente sociale, promossi da istituzioni e attori che spesso non appartengono al contesto in questione ma che nondimeno intendono stimolare e mobilitare tale contesto, utilizzando risorse e conoscenze attive sia nel territorio che all’esterno. Secondo questa interpretazione lo sviluppo non è qualcosa che deve essere promosso esclusivamente tra le popolazioni interessate ma il frutto di azioni specifiche prodotte e indotte dalla development configuration, che comprende agenti, istituzioni, risorse e modelli di azione. Il nodo rilevante della questione è la relazione che si sviluppa tra agenti di sviluppo e contesto locale, ovvero il “punto di impatto” che ricostruisce uno spazio sociale di interazione. Un aspetto importante del progetto Migrantour è rappresentato dalla sua natura ibrida e intrecciata, da un lato, un progetto di sviluppo in cui esperti e ricercatori avviano un lavoro di formazione e coinvolgimento dei migranti nel contesto urbano in cui vivono, dall’altro, uno spazio di azione e protagonismo politico per soggetti sociali esclusi dai o marginali nei processi di trasformazione della città. In questo contributo cercherò di affrontare questo intreccio, riflettendo non solo sugli aspetti applicativi e politici del progetto Migrantour, ma anche sugli esiti processuali, nel tentativo di ampliare il quadro delle possibilità di azione e trasformazione degli spazi urbani e dei soggetti che li abitano.

Migrantour e (ri) posizionamenti nello spazio urbano.

L’esperienza di lavoro e coinvolgimento che ha portato alla formazione degli accompagnatori interculturali e alla costruzione di percorsi di conoscenza della città dal punto di vista dei migranti nel contesto di Catania viene avviata nel 2018 con il progetto “Le nostre città invisibili. Incontri e nuove narrazioni del mondo in città”, realizzato in dieci città italiane per contrastare le rappresentazioni scorrette e discriminanti delle migrazioni e della diversità culturale, coordinato da ACRA e co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (A.I.C.S). Il progetto vuole contribuire a favorire il dialogo interculturale e a valorizzare il contributo dei cittadini di origine straniera all’interno della città di Catania, mettendo in pratica azioni di conoscenza reciproca, con lo scopo di offrire un punto di vista inedito su alcuni quartieri cittadini, attraverso passeggiate urbane interculturali durante le quali narratori di origine straniera descrivono e raccontano la città. Il progetto si colloca all’interno di un quadro di riferimento teorico e operativo consolidato da esperienze progettuali già realizzate in altri contesti italiani ed europei. L’obbiettivo di lavorare su ambiti spaziali considerati “invisibili” si lega alla scelta di concentrare l’attenzione su due quartieri specifici, San Berillo e la Civita, valorizzando esperienze di coinvolgimento e aggregazione sociale e culturale già avviate dall’associazione Trame di quartiere con cui personalmente collaboro. L’associazione opera nel quartiere San Berillo, ambito spaziale in cui i processi di pianificazione urbana e i fenomeni di abbandono degli immobili hanno generato situazioni di fragilità e marginalità sociale, condizionando la vita di molti abitanti, migranti e non, che popolano le case e le vie del quartiere. All’interno di questo contesto caratterizzato da contraddizioni e diseguaglianze sociali, Trame di quartiere, attraverso un approccio interdisciplinare di ricerca e azione, sta costruendo un processo di riuso degli immobili abbandonati che coinvolge abitanti e frequentatori del quartiere con iniziative di attivazione sociale e di narrazione territoriale.

Dentro il progetto Migrantour non ho rivestito un ruolo rispetto alle attività specifiche che hanno caratterizzato il biennio di svolgimento. Analizzando e riflettendo sugli strumenti della narrazione territoriale e cercando di trovare occasioni di intersezione con i processi in corso nel quartiere, ho scelto di condurre uno studio per comprendere le fasi, le caratteristiche e i possibili esiti di questo percorso. Un aspetto centrale di questo lavoro di analisi e di coinvolgimento ha riguardato la sperimentazione di forme di contaminazione reciproca tra il Migrantour e altri percorsi progettuali rivolti a soggetti migranti, condividendo gli spazi del quartiere e la sua complessità in termini di problemi sociali e risorse culturali. All’interno di questo posizionamento rispetto al progetto, è stato possibile condurre sia un lavoro di ricerca con interviste agli operatori del progetto e agli accompagnatori interculturali, sia sperimentare azioni di intreccio tra il progetto Migrantour e altre azioni di coinvolgimento sociale degli abitanti del quartiere.

L’analisi dell’esperienza progettuale nel contesto della città di Catania pone in evidenza un elemento interessante e dissonante rispetto agli obiettivi stessi del progetto Migrantour e alle forme di realizzazione consolidate in altri contesti. In una città in cui la presenza di persone di origine straniera rimane relegata a percentuali ancora piuttosto basse rispetto ad altri contesti urbani italiani, l’impatto dei processi migratori soprattutto nell’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla diffusione di luoghi e strutture finalizzate all’accoglienza di migranti[1]. La città di Catania insieme ad altri centri urbani che definiscono la cosiddetta città metropolitana ha registrato un aumento delle presenze di migranti legato agli investimenti e alle politiche sull’accoglienza che ha permesso l’apertura di comunità di accoglienza, CAS, CARA e SPRAR. Questo fenomeno si lega in modo forte all’identificazione del territorio siciliano come luogo di approdo delle rotte migratorie. Rispetto a questa situazione le attività progettuali di Migrantour hanno coinvolto prevalentemente persone che vivono il contesto urbano catanese da poco tempo, e con situazioni precarie dal punto di vista lavorativo, sociale e legale. L’ingaggio degli accompagnatori è stato effettuato costruendo connessioni operative con le tante iniziative di accoglienza e di assistenza rivolte ai migranti nella città e nella provincia di Catania. Le persone coinvolte provengono in molti casi da percorsi di accoglienza oppure, vivendo la città da più tempo, lavorano all’interno delle stesse comunità come mediatori linguistici e culturali.

L’elemento dissonante riguarda la scelta di concentrare il focus del progetto non sugli abitanti di origine straniera che abitano la città di Catania da molto tempo, piuttosto favorire l’emersione di pratiche spaziali e di nuovi punti di vista sulla città, che i processi migratori riproducono. Questo approccio ha generato un modo diverso di interpretare le fasi di costruzione dei percorsi urbani interculturali, influenzando la scelta degli spazi e le forme delle narrazioni. L’attenzione rivolta ai quartieri di San Berillo e della Civita non riguarda il dato quantitativo della percentuale di cittadini di origine straniera che risiede in questi luoghi ma riflette la necessità di raccontare le esperienze e le pratiche che i soggetti vivono nel proprio percorso di migrazione, le relazioni che si sviluppano, le contraddizioni che incontrano, gli strumenti di cui si dotano per rimodellare gli spazi rispetto alle loro esigenze. Per questi motivi i temi e gli obbiettivi del Migrantour non risiedono in una rappresentazione urbana delle diversità culturali, attraverso la formazione di guide straniere che si rivolgono ad un pubblico locale o globale. In questo caso si sperimentano percorsi di conoscenza locale che si muovono dal basso verso l’alto (Geertz 1983), in grado di analizzare le contraddizioni e le diseguaglianze che negli spazi urbani si territorializzano sia come riflesso delle politiche legate all’accoglienza sia rispetto alle incertezze di poter costruire una dimensione di vita stabile fronteggiando le difficoltà dell’accesso alla casa, del lavoro informale o sottopagato. Le strade, le piazze, i luoghi che gli accompagnatori raccontano nelle loro passeggiate rappresentano la complessità dei problemi e l’articolazione delle esperienze migratorie nella città, interpretando le risorse organizzative e relazionali che i gruppi sociali e i soggetti costruiscono dal basso con le pratiche di riappropriazione spaziale, le iniziative economiche e le forme di abitare informale. La forza di questa esperienza in termini di coinvolgimento sociale e promozione culturale non riguarda l’offerta di un prodotto turistico alternativo alle esperienze di turismo classico, piuttosto la possibilità di elaborare formule nuove di conoscenza e condivisione della città, concentrando l’attenzione sugli aspetti che riguardano le trasformazioni urbane e il ruolo che i soggetti possono avere come attori di place making. L’attenzione alla relazione tra persone e spazi non si riduce ad una diversificazione dell’esperienze urbane sulla base di approcci e pratiche culturali diverse, piuttosto prova ad evidenziare le connessioni e le frizioni tra le dimensioni locali e globali che le migrazioni producono. Seguendo le analisi di Gupta e Fergusson sui rapporti complessi che legano Culture, power, space (Gupta, Fergusson 1997) non possiamo considerare come scontate e naturali né la dimensione globale e né la dimensione locale, piuttosto è necessario comprendere quali siano gli aspetti in termini di pratiche e di processi politici che influenzano la ricostruzione delle esperienze urbane, delle differenze che nella città si riproducono e dei diversi significati che vengono associati ai luoghi.

All’interno dell’articolazione del progetto, una fase importante del lavoro ha riguardato la costruzione degli itinerari da parte degli accompagnatori. La passeggiata costituisce il risultato dell’intreccio delle diverse interpretazioni che i soggetti propongono rispetto all’area urbana interessata. L’esperienza di Lamin, accompagnatore coinvolto nel Migrantour a Catania, spiega bene in che modo è stato possibile raccontare la città, riflettendo sulla relazione tra i processi migratori e le trasformazioni spaziali. Lamin spiega come il suo rapporto con la città non fosse basato sulla conoscenza approfondita dei quartieri e della loro storia, ma piuttosto sulla sua esperienza di vita condotta nelle strade di San Berillo, sulle relazioni sociali che aveva costruito e sui problemi che aveva affrontato. Il coinvolgimento nel progetto ha rappresentato per lui una possibilità di approfondirne questo legame attraverso la conoscenza della storia del quartiere e il confronto con altre esperienze di migrazione.

Flavia operatrice del progetto con il compito di tutor del gruppo di accompagnatori, raccontando l’esperienza di Lamin, pone in evidenza le difficoltà e le potenzialità emerse:

Nonostante le contraddizioni che il caso catanese presentava, le persone si sono rivelate… Lamin ha ritrovato casa sua nella città che aveva conosciuto vivendo nelle strade. Nonostante la sua costante rassegnazione nel fatto che nessuno può fare qualcosa per aiutare la sua condizione, è riuscito a manifestare il legame con la propria terra e con la città di Catania. Lamin ha scoperto delle potenzialità, che nel suo paese avevo ignorato, soprattutto nel suo impegno nella ricognizione di informazioni storiche. È stato intercettato dagli operatori di un progetto di assistenza nel quartiere mentre dormiva per strada. Per lui San Berillo aveva un significato importantissimo rispetto alla sua storia, che non aveva nulla a che vedere con le sue disgrazie, ma con la voglia di rifarsi una propria vita. La possibilità di rimettersi in gioco rispetto alla sua relazione con il quartiere e alla voglia di ritornare nelle sue strade ha rappresentato un elemento forte della sua narrazione, anche se non lo raccontava in modo espresso c’era anche questo, dipende da come usi gli strumenti che ti dà la narrazione. La forza di Migrantour risiede nella possibilità di elaborare delle capacità narrative, come queste vengano usate dipende dai singoli profili e dalle relazioni specifiche che soggetti hanno costruito con i territori. (Flavia)

Questi elementi consentono di osservare e analizzare in modo diverso le relazioni tra processi di migrazione e le trasformazioni degli spazi urbani, favorendo nuovi punti di vista che dimostrano in che modo le retoriche e le politiche legate alla rigenerazione urbana e allo sviluppo delle città non abbiano riconosciuto le disparità sociali, le ineguaglianze e le contestazioni. Con riferimento alle ricerche condotte da Ayşe Çağlar e Nina Glick Schiller (2019) sulla relazione tra migrazioni e processi di trasformazione delle città, un aspetto centrale riguarda la necessità di osservare e studiare questa relazione superando un approccio basato sulla differenza binaria, che considera i gruppi sociali e gli abitanti dal punto di vista della loro omogeneità culturale: da un lato gli abitanti autoctoni, dall’altro gli stranieri. La sfida è di scardinare questa contrapposizione tra migranti e non migranti, mantenendo un focus sulle esperienze e le contraddizioni sociali che riguardano sia le forme di displacement sia le pratiche di riposizionamento spaziale. Il progetto Migrantour ha offerto la possibilità di esprimere a livello pubblico il ruolo che i soggetti con esperienza migratoria possono avere come city-making, ponendo attenzione alle reti di connessione tra località diverse e i campi sociali che si intersecano nei contesti urbani che vengono narrati e attraversati. La sfida a cui Migrantour partecipa è quella di sviluppare un quadro analitico e uno strumento di azione che ripercorre le connessioni e le frizioni tra i diversi modi in cui gli abitanti di un contesto urbano rispondono alle differenze di accesso alla città e ai quartieri dove si manifestano processi interrelati di displacement e di emplacement.

Narrazione e ingaggio sociale

Un tema ricorrente nelle analisi che hanno riguardato il progetto Migrantour riguarda l’utilizzo della narrazione come possibilità di costruire visioni e rappresentazioni alternative dei territori, ma soprattutto la funzione di attivazione sociale che in questo tipo di esperienza si realizza. Lo strumento della passeggiata urbana consente di ottenere due risultati paralleli, da un lato offre la possibilità al soggetto narrante di riflettere e interpretare i modi in cui nella sua esperienza determinati luoghi della città acquisiscono significato rispetto ad un legame o ad un specifica pratica, dall’altro permette di orientare lo sguardo del pubblico partecipante nel tentativo di riformulare un’idea diversa sulle trasformazioni urbane, sulla storia e sulle dimensione abitativa della città.

Le narrazioni rappresentano un processo mediante il quale gli individui lavorano intersoggettivamente per ricostruire il proprio sé nel rapporto con gli altri e per vivere in un modo sociale condiviso. La narrazione sviluppa una pratica di relazione finalizzata non a raggiungere un livello di comprensione reciproca con l’altro, piuttosto a stare con l’altro nonostante l’incertezza della condivisione. Le forme di narrazione territoriale che ho analizzato non costituiscono un’azione finalizzata alla comprensione reciproca sui significati e sui punti di vista della città e dei suoi patrimoni, ma pone in evidenza uno scontro tra diverse visioni e costruzioni dello spazio che coesistono. Le narrazioni possono essere considerate come modalità attive ed agenti delle espressioni culturali, una sorta di specchio magico che riflette i drammi e le trasformazioni sociali; nella loro frammentazione ne indagano i diversi aspetti e le molteplici sfaccettature, dando vita a forme diverse di riflessività critica.

Le pratiche e gli strumenti utilizzati nel corso del processo innescato con il Migrantour consentono di approfondire il ruolo che l’antropologia intende promuovere all’interno delle dinamiche politiche e progettuali che riguardano la città, la continua ridefinizione dei suoi spazi e le dinamiche di potere e resistenza che si manifestano. La pratica del racconto, della condivisone di memorie e del dialogo tra soggetti e pubblici diversi, oltre a dimostrare la possibilità di un impegno diretto dell’antropologia in ciò che sappiamo fare meglio (Scarpelli, Romano 2011), quindi aprire spazi narrativi per cogliere e raccontare il punto di vista di chi abita il territorio, può consentire un livello di applicazione ancora più specifico teso a utilizzare la costruzione e la promozione delle narrazioni territoriali come azione di ingaggio sociale. Un esempio interessante deriva dalle analisi di Setha Low (2011) che riguardano l’intreccio della ricerca etnografica con la co-costruzione di occasioni e iniziative sociali e politiche che, partendo dalle rappresentazioni di un determinato ambito urbano, riescono a definire anche un programma politico di difesa o di trasformazione.

It facilitates an important form of engagement because such spatial analyses offer people and their communities a way to understand the everyday places where they live, work, shop, and socialize. It also provides them with a basis for fighting proposed changes that often destroy the centers of social life, erase cultural meanings, and restrict local participatory practices (Low 2011: 391).

Questi aspetti si legano al tipo di processo che grazie al Migrantour è stato innescato nel contesto di San Berillo e si è intrecciato con altri percorsi progettuali. Le passeggiate oltre a coinvolgere cittadini, studenti e rappresentanti di istituzioni, sono state un canale di coinvolgimento importante per persone che vivono situazioni di disagio legate alla precarietà lavorativa e abitativa. Nello specifico le passeggiate sono state rivolte a ospiti di centri Sprar e abitanti di San Berillo coinvolti in un’iniziativa promossa da UNHCR dal titolo Rifugiati protagonisti. In queste occasioni gli accompagnatori hanno avuto la funzione di raccontare il loro punto di vista sulla città e il quartiere condividendo informazioni ed esperienze con altri soggetti che continuano a vivere le stesse condizioni. La narrazione è stata orientata alla trasmissione di informazioni sulla storia e le trasformazioni del quartiere, cercando di costruire un dialogo e un confronto su come poter diventare protagonisti di un cambiamento per migliorare gli spazi e le proprie condizioni di vita. Le informazioni e le conoscenze che riguardano le diverse tappe del percorso, come per esempio l’intreccio di storie che legano diversi luoghi del quartiere ad una molteplicità di connessioni con altri paesi, una tipologia di albero, una leggenda, la ricostruzione della vita di un santo da cui prende il nome un quartiere, pongono in evidenza l’articolazione dei significati che si ricostruiscono in un territorio. La condivisione di questo spazio del racconto diventa importante per rendere concreta la possibilità di un coinvolgimento in un processo di riuso degli spazi abbandonati e di miglioramento degli spazi pubblici. Gli spazi del quartiere e i limiti che questi spazi impongono in termini di fruibilità, accesso, miglioramento si aprono a prospettive di racconto e di trasformazione.

La formazione degli accompagnatori e la costruzione dell’itinerario hanno consentito un progressivo lavoro di informazione e ingaggio nel quartiere San Berillo permettendo di organizzare iniziative di dibattito, confronto e coprogettazione, utilizzando lo strumento delle passeggiate come momento di condivisione e approfondimento delle conoscenze. L’obiettivo di realizzare una sostenibilità economica degli accompagnatori non riguarda il mercato turistico, piuttosto si può realizzare grazie ad un allargamento del possibile pubblico di partecipanti alle passeggiate. L’alterità urbana rappresentata esclusivamente come risultato di stigmatizzazione territoriale legata alla presenza di stranieri nella città viene reinterpretata rispetto ai problemi che i soggetti incontrano nella loro vita. I soggetti coinvolti come pubblico, studenti, migranti, persone interessate a conoscere i processi di trasformazione urbana, possono ascoltare e partecipare alla costruzione di un punto di vista alternativo rispetto ai quartieri della città che si trovano in condizioni di marginalità e precarietà. Il Migrantour costituisce, rispetto al tipo di lavoro che è stato in questa sede analizzato, un processo di mobilitazione, un tour di esplorazione e di attraversamento della città con il fine di rendere visibili e di comunicare le contraddizioni ma anche e le risorse che le migrazioni generano negli spazi urbani. Un processo che può andare oltre il progetto e intersecare la narrazione territoriale con altri ambiti di ricerca e azione. Una prima prospettiva interessante di applicazione, come il caso di Catania dimostra, è la necessità di intercettare i servizi e le attività che si occupano di accoglienza e assistenza ai migranti, nel tentativo di articolare le narrazioni e rendere i soggetti protagonisti di un percorso di miglioramento delle proprie condizioni all’interno dei contesti urbani. Un secondo ambito di lavoro riguarda lo sviluppo di azioni trasformative negli spazi attraversati dalle passeggiate con il fine di supportare le iniziative e le progettualità che gli abitanti e le altre tipologie di attori (economici, sociali, frequentatori) cercano di costruire dal basso all’interno di un territorio. Pratiche e progettualità che possono anche essere costruite e pensate grazie ai percorsi urbani realizzati, offrendo uno spazio di azione in cui il ruolo dell’antropologia non è soltanto quello di accompagnare i percorsi ma anche di interpretarli e provare a ridefinirli.

Bibliografia

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Turner, V. 2014. Antropologia dell’esperienza. Bologna. Mulino.



[1] Gli stranieri residenti nella città metropolitana di Catania al 1° gennaio 2019 sono 37.591 e rappresentano il 3,4% della popolazione residente (Istat 2019).