Candidatura dei Caffè Storici-Salotti Sabaudi di Torino nella lista del Patrimonio della cultura immateriale dell’UNESCO Anno 2019

Report di ricerca


Indice

Introduzione
I soggetti coinvolti
Svolgimento della ricerca
Conclusione
Bibliografia

Introduzione

Il presente rapporto ha lo scopo di documentare lo svolgimento della ricerca finanziata dall’Università di Torino e dall’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi dal titolo: “Candidatura dei Caffè Storici-Salotti Sabaudi di Torino nella lista del Patrimonio della cultura immateriale dell’UNESCO Anno 2019”.

Dopo una presentazione dei soggetti coinvolti e del contesto di ricerca, mi soffermerò sullo svolgimento della stessa e sulle criticità rinvenute, lasciando alle conclusioni il compito di prefigurare possibili sviluppi[1].

I soggetti coinvolti

L’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi nasce nel 2018 con lo scopo di unire alcune realtà commerciali torinesi che si riconoscono tramite caratteristiche comuni. A lanciare l’idea sono i gestori della Gelateria Pepino di Piazza Carignano e del Caffè Elena di Piazza Vittorio Veneto. In Italia, esiste già dal 1961 l’Associazione Locali Storici d’Italia, che provvede alla pubblicazione di una guida, aggiornata annualmente, dei «più antichi e prestigiosi alberghi, ristoranti, pasticcerie-confetterie-caffè letterari protagonisti della storia d’Italia»[2] e più in generale, si occupa di promuovere i locali associati. Per associarsi occorre rispondere sostanzialmente a due caratteristiche: avere «almeno settant’anni di esercizio» e avere «conservato ambienti e arredi originali (o comunque che testimonino le origini del locale), cimeli, ricordi e documentazione storica sugli avvenimenti e sulle frequentazioni illustri»[3]. L’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi introduce parametri più restrittivi che limitano l’accesso ai soli caffè aperti da un secolo sul territorio (escludendo quindi ristoranti, alberghi, botteghe, ecc.). Questo (come emerso a seguito di una ricerca empirica) restringe la possibilità d’accesso a soli undici locali sul territorio torinese, e questa selettività dovrebbe marcare la “distinzione” (Bourdieu 2001), nonché rendere evidente una esclusività della città di Torino che prenderò in considerazione successivamente.

I locali in questione, ordinati secondo la data di apertura, sono:

  • Il Caffè al Bicerin di Piazza della Consolata 5 - 1763 [257 anni di attività]

  • Il Caffè Fiorio di Via Po 8/c - 1780 [240 anni di attività]

  • Il Caffè San Carlo di Piazza San Carlo 156 - 1822 [198 anni di attività]

  • La Farmacia del Cambio di Piazza Carignano 2 - 1833 [187 anni di attività]

  • La Confetteria Stratta di Piazza San Carlo 191 - 1836 [184 anni di attività]

  • La Confetteria Baratti & Milano di Piazza Castello 27 - 1858 [161 anni di attività]

  • Il Caffè Platti di Corso Vittorio Emanuele II 72 - 1875 [145 anni di attività]

  • Il Caffè Elena di Piazza Vittorio Veneto 5 - 1889 [131 anni di attività]

  • Il Caffè Torino di Piazza San Carlo 204 - 1903 [117 anni di attività]

  • Il Caffè Mulassano di Piazza Castello 15 - 1907 [113 anni di attività]

  • La Gelateria Pepino di Piazza Carignano 8 - 1929 [91 anni di attività]

La Farmacia del Cambio, riaperta nel 2014 dopo anni di chiusura, e facente parte del sistema della ristorazione che comprende anche il Ristorante del Cambio e il Bar Cavour non ha ritenuto di partecipare all’Associazione che è stata quindi fondata dai restanti dieci[4].

L’idea originaria dell’Associazione, come emerso da diverse conversazioni intrattenute con gli ideatori, non deriva però dalla volontà di distaccarsi dai Locali Storici d’Italia (a cui sono comunque iscritti sette su dieci dei fondatori, con l’esclusione del Caffè Torino, della Gelateria Pepino e del Caffè Elena, ma con la partecipazione del citato Del Cambio, ristorante e caffè, LSI 2019)[5], bensì dal percorso dell’austriaco Klub der Wiener Kaffeesieder[6] (del resto, il parallelo sarà poi rilevato anche dal saggista piemontese Sergio Donna)[7].

Il Klub nasce nel 1955 per riunire i proprietari di caffè viennesi, a partire dalla premessa pubblicata sul suo sito: «Molte delle attività tradizionali viennesi esistono da oltre 100 anni e da sempre attribuiscono grande importanza al mantenimento del fascino familiare dei tempi passati»[8]. Il sito, disponibile solamente in lingua tedesca, racconta di come il Klub sia attualmente composto da 150 caffetterie viennesi, oltre che da sponsor e partner di varia natura. I soci si suddividono in “ordinari” (i proprietari dei locali che pagano la quota annuale di 80 euro), “sostenitori” (soggetti che supportano l’attività del club con un contributo pari o superiore a 5.000 euro annui) e “straordinari” («persone il cui lavoro è legato all’industria del caffè, come giornalisti, coniugi di caffetterie, ecc.»[9]). L’attività dell’associazione è prevalentemente legata alla promozione commerciale del lavoro dei soci e il modulo di adesione[10] non contiene nessuna delle limitazioni individuate dall’Associazione torinese come discriminante all’accesso. Il sito internet del Klub non riporta una lista dei soci e solo una verifica in loco ha consentito di avere qualche informazione più precisa, come vedremo successivamente. A stupire in modo particolare è però la dichiarazione, contenuta nel sito, secondo cui «La preoccupazione principale del club è la conservazione e la promozione della cultura del caffè viennese, che è stata riconosciuta patrimonio culturale immateriale dall’UNESCO dal 2011» (corsivo mio), in quanto assolutamente priva di fondamenta. L’Austria risulta avere solamente due iscrizioni nella Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity dell’UNESCO:

  • Lo Schemenlaufen, il carnevale di Imst, Austria;

  • La falconeria, tradizione condivisa con Emirati Arabi, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Kazakhistan, Repubblica di Corea, Mongolia, Marocco, Pakistan, Portogallo, Qatar, Arabia saudita, Spagna, Siria e anche Italia;

assieme a una iscrizione nel Register of Good Safeguarding Practices risalente al 2016:

Regional Centres for Craftsmanship: a strategy for safeguarding the cultural heritage of traditional handicraft [11].

Nessuna traccia di caffè storici, quindi.

L’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi si costituisce nel 2018 con lo scopo di ottenere l’iscrizione nella lista dell’UNESCO, seppur non vi siano “precedenti”, come il caso austriaco aveva invece inizialmente lasciato intendere. A presiederla viene invitato un nome la cui fama supera i confini piemontesi: Fiorenzo Alfieri. Alfieri, già fondatore del Movimento Cooperazione Educativa, si avvicina alla politica quasi per caso e diventa un personaggio di primo piano, in particolare con i due mandati come Assessore alla Cultura della Città di Torino (dal 2001 al 2011). È uno dei protagonisti del “rilancio” della città, seguito alla progressiva delocalizzazione della FIAT, che passa attraverso l’organizzazione dei Giochi olimpici invernali del 2006 (Alfieri 2012).

Svolgimento della ricerca

Per prima cosa l’Associazione prende contatti con la Fondazione Links - Leading Innovation & Knowledge for Society della Compagnia di San Paolo (fondata assieme al Politecnico di Torino), che già aveva prestato il suo lavoro di consulenza per la candidatura dei portici di Bologna alla lista del Patrimonio mondiale UNESCO (la lista dei beni monumentali)[12]. La Fondazione Links consegna all’Associazione un report dal titolo I Caffè storici ed i Salotti Sabaudi di Torino. Nota sulla possibilità di candidatura alla Lista Del Patrimonio Intangibile dell’UNESCOnel febbraio 2019, poco prima dell’inizio della ricerca da me condotta. Delle otto pagine di cui è composta la relazione, una è dedicata a definire in modo generico cosa si intenda per patrimonio immateriale, mentre due spiegano che cosa sia la lista UNESCO e quali siano gli step per presentare candidatura (in parte copiati direttamente dal sito UNESCO Italia[13]). Lo studio vero e proprio consiste in una disamina delle pratiche già iscritte alla lista che in qualche modo coinvolgano il caffè o le coffee house (tra le quali si cita anche il caso austriaco riportato). La relazione rileva come siano in corso tre procedure di iscrizione che potrebbero costituire un impedimento alla candidatura dei Salotti Sabaudi:

  • la prima riguarda i Paris Bistrots and Cafè Terrace[14], la pratica è stata presentata nel 2019 ed è l’unica realmente in essere;

  • la seconda riguarda i Caffè Storici Letterari di Trieste[15], di per sé la candidatura risulterebbe essere un ostacolo maggiore in quanto proveniente dal territorio nazionale, ma si tratterebbe di un percorso ancora embrionale promosso dalla Lega per la Difesa dei Caffè Storici Letterari, aperta ad adesioni da tutta Italia;

  • la terza è costituita da i Caffè Napoletani, in questo caso l’informazione è particolarmente imprecisa, in quanto è stata effettivamente avviata una raccolta firme presso il Bar Gambrinus[16], ma riguarda il caffè espresso napoletano e non il caffè inteso come luogo, come è invece sostenuto dalla relazione di Links. Il percorso sarebbe comunque ancora acerbo.

La relazione, oltre a essere generica e imprecisa, riporta due errori grossolani. Il primo è un errore di omissione: non viene infatti citato un percorso che riguarda l’intero paese e che all’epoca era in stato ben più avanzato: la candidatura dell’Espresso italiano effettivamente presentata pochi mesi dopo e in attesa di responso[17] (tanto che il supporto fornito da alcuni consiglieri regionali al percorso napoletano ha sollevato qualche perplessità[18]). Il secondo errore riguarda la costante confusione che si fa nel testo in merito al caffè inteso come luogo e come prodotto, un fraintendimento molto interessante, in quanto affonda in un’ambiguità di fondo che caratterizza il concetto stesso di patrimonio culturale, sia materiale che immateriale.

Dal lavoro di Links emergono tre domande, che sono poi quelle presentate all’Università di Torino e che stanno alla base della borsa di ricerca dal titolo Candidatura dei caffè Storici - Salotti Sabaudi di Torino nella lista del Patrimonio della cultura immateriale dell’UNESCO Anno 2019:

  • Le qualità che definiscono un Caffè Storico di Torino (anno di fondazione, atmosfera ricca di storia, frequentazioni illustri, arredi e offerta culinaria) differiscono, e se differiscono in quale misura, dagli altri caffè storici citati?

  • Esistono altri elementi, sia materiali che immateriali, in grado di dimostrare il legame che i Caffè Storici hanno con la città di Torino? (Ad esempio la produzione letteraria o le tecniche di preparazione del caffè, si veda il brevetto per la prima macchina per “espresso” del 1884).

  • Che ruolo ha Torino, e dunque i suoi abitanti che sono i frequentatori del patrimonio in questione, nel processo di candidatura? In che maniera si potrebbe legare l’una agli altri e vice versa? (Links 2019: 9).

A questo si unisce una considerazione più generale che riguarda l’opportunità di portare avanti una candidatura locale alla luce di quanto si sta muovendo sul territorio nazionale e dell’esistenza di realtà che già si poggiano su uno storytelling focalizzato sui punti di contatto e le similarità piuttosto che sulle specificità locali (come la già citata Associazione dei Locali Storici d’Italia). Bisogna inoltre tenere in considerazione un ulteriore progetto che va oltre e ambisce a unificare i caffè storici di tutta Europa: l’European Historic Cafés Association, promossa nel 2014 dal Caffè Kipos (fondato nel 1870 a Creta) ha infatti come obiettivo quello di costruire la European Route of Historic Cafés [19].

Links sottolinea come «MiBACT e la Commissione Italiana Unesco sconsigliano di portare avanti percorsi di candidatura paralleli e sostanzialmente equiparabili» (Links 2019: 10), e propone in alternativa di costituire una cordata a livello nazionale in cui l’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi potrebbe essere a capofila, al fine di una candidatura condivisa che coinvolga tutti ci caffè storici sul territorio italiano.

Al parere di Links era seguito un contatto con gli uffici del MiBACT che avevano confermato la predilezione a portare avanti progetti più ampi e a respiro nazionale, piuttosto che la valorizzazione di specificità territoriali, a indicare un’inversione di tendenza rispetto alle iscrizioni ottenute negli anni passati: l’Opera dei pupi siciliani (2008), il Canto a tenore sardo (2008), il Saper fare liutario di Cremona (2012), la vite ad Alberobello di Pantelleria (2014), l’Arte del “pizzaiuolo” napoletano (2017) e la recente Perdonanza Celestiniana de L’Aquila (2019).

Nonostante i pareri raccolti, gli associati decidono di vagliare l’ipotesi della candidatura torinese, ed è proprio la verifica di questa ipotesi che costituisce lo scheletro della ricerca che l’Associazione decide di co-finanziare con l’Università di Torino.

Il periodo di fieldwork inizia nella primavera 2019 con una prima ricognizione dei proprietari o gestori dei locali interessati, farò loro riferimento senza usare i nomi e cognomi ma identificandoli attraverso il locale. Ho proceduto a intervistare ognuno di essi all’interno degli stessi caffè, cercando di portarli a fare “mente locale” sul significato dei luoghi in quanto contenitori di questa caratteristica ineffabile oggetto di indagine (La Cecla 1993), con risultati alterni. Secondo Harrison e Rose «Il termine “aura” può essere buono per pensare alla complessa relazione tra luoghi e oggetti del patrimonio e l’idea che di essi abbiamo, oltre che per pensare alla relazione tra patrimonio tangibile e intangibile e memoria in generale» (Harrison, Rose 2010: 271, traduzione mia). Quanto emerso da questo primo giro di incontri ha influenzato in maniera importante le strategie adottate durante il restante svolgimento della ricerca.

Le posizioni degli attori coinvolti rispetto ai propri locali possono essere collocate su una linea che va dall’attaccamento quasi viscerale al mero calcolo economico. Allo stesso modo, la volontà di partecipare al processo di presentazione della candidatura si è dimostrata molto più frammentata di quanto potesse sembrare inizialmente, consolidata in sentimenti di entusiasmo come di aperto scetticismo ma, più frequentemente, in una sorta di blanda inerzia. La stessa attività dell’Associazione procede con un ritmo decisamente claudicante, a dimostrarlo il fatto che mentre scrivo queste righe non ci sia stata ancora una presentazione ufficiale. Si contano solamente due uscite pubbliche, la prima durante l’iniziativa cittadina Dolci Portici, «la più grande pasticceria en plein air di Torino», dal 22 al 24 marzo 2019, dove l’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi di Torino compare tra i collaboratori all’organizzazione[20] e durante la quale alcuni dei locali hanno organizzato stand di vendita e degustazione.

Figura 1 - Materiale promozionale per la mostra “Leggendo”

La seconda iniziativa si è svolta nell’ambito del Salone Off (32° Salone internazionale del libro di Torino), quando le vetrine dei dieci locali hanno ospitato le fotografie della mostra Leggendo, organizzata dalla Scuola di Fotografia di Torino & Visual. La mostra raccoglieva gli scatti vincitori del concorso Shoot a Reader e se nel programma si annuncia che verrà esposta «sulle vetrine di dieci Caffè Storici torinesi dell’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi di Torino»[21], non si può dire che l’Associazione esca particolarmente valorizzata nei materiali promozionali realizzati: nella figura 1 è possibile notare come i caffè compaiano elencati senza alcun riferimento a una identità collettiva.

Se l’identità collettiva è debole, diversi tra i proprietari e gestori intervistati rivendicano, singolarmente, il loro legame con la tradizione, come già rilevato da Luca Rimoldi a proposito delle botteghe storiche milanesi:

[I] discorsi mostrano la volontà politica di dare alle botteghe storiche un valore basato sulla coesistenza dell’aspetto commerciale unito alla rappresentazione di un passato perduto, una risposta imprenditoriale alla nostalgia causata dal senso di perdita identitaria. Nei ristoranti, nelle trattorie e nelle locande, l’economia della memoria si poggia sul desiderio di scoprire un’identità locale attraverso il consumo di cibo in un luogo specifico. I ristoratori negoziano il valore delle rispettive botteghe storiche nel loro lavoro quotidiano: i loro discorsi sono focalizzati sugli aspetti materiali dell’attività, che sono parte integrante del loro stesso lavoro. Quello che fanno in modi diversi è cercare di preparare e servire discorsi sulla memoria (Rimoldi 2016, traduzione mia).

È possibile estendere queste considerazioni anche ai caffè storici, sebbene questo non ci aiuti a compiere il passaggio necessario a rispondere alla domanda del committente: cosa accomuna i dieci locali presi in considerazione? E, allo stesso tempo, cosa li distingue da tutti gli altri (a Torino e in Italia)?

Alla prima tornata di interviste con proprietari e gestori è seguita una fase di ricerca che è consistita sostanzialmente nel frequentare i locali in questione, sia come cliente che presentandomi come ricercatore. La mia presenza anonima, piuttosto che come ricercatore dichiarato, non era tanto rivolta al personale dei caffè, non mi aspettavo che il loro comportamento si differenziasse sulla base o meno della mia presenza e, a dire il vero, nella gran parte dei casi il personale era assolutamente disinteressato non solo a me ma all’intero percorso. A differenza dei contesti studiati da Rimoldi, infatti, i locali in questione non sono piccole realtà a conduzione famigliare, ma aziende vere e proprie con una loro gerarchia interna. Per loro natura, inoltre, i caffè hanno un ampio orario di apertura (anche se molto diverso gli uni dagli altri), il che comporta non solo un lavoro su turni ma il ricorso a stagionali e lavoratori temporanei nei periodi dell’anno con il maggior afflusso. Alcuni dei proprietari con cui ho parlato non sono anche i gestori, o comunque non si occupano veramente delle piccole vicende della vita quotidiana del locale, in alcuni casi non sono stato presentato al personale, che era completamente all’oscuro di chi fossi e di cosa stessi facendo. Ero interessato principalmente a comprendere i ritmi di vita, l’agenda quotidiana e il tipo di frequentazione che caratterizzava ogni locale. Questo mi ha permesso di formulare una serie di ipotesi: innanzitutto è stato necessario isolare l’elemento della presenza turistica. I turisti frequentano in modo maggiore alcuni locali piuttosto che altri sulla base di caratteristiche quali la collocazione, la presenza o meno dello stesso su guide turistiche internazionali o su siti e blog turistici e legati al “food”, e la sua attività sui social. Dipende quindi in parte da una scelta commerciale. Ci sono inoltre guide turistiche locali che inseriscono i caffè storici nei loro circuiti: durante l’iniziativa Dolci Portici era stato organizzato un tour apposito che toccasse i dieci caffè associati. Se la “sensibilità” di alcuni proprietari è più sviluppata e li porta a una visione “olistica” del concetto di tradizione, o se non altro una sua articolazione:

Noi siamo molto coscienti del valore, ci sentiamo una sorta di custodi di questa cosa: un patrimonio di luogo con oggetti vecchi, chiamiamolo così, con una sua identità antica, prodotti che sono anche loro antichi […], abbiamo veramente la coscienza di essere dei custodi per mandare questa cosa avanti. Io ho due nipoti, una di un anno e un’altra di dieci anni, spero vivamente che, magari una delle due, voglia venire a gestire. Abbiamo anche la coscienza di essere quelli che cercano di portare avanti… non dico nei millenni successivi […], speriamo tra mille anni[22].

per altri si tratta di una sorta di “dato di fatto”, qualcosa che hanno acquistato assieme alle mura del locale: «vedi la gente che si ferma? Questo è un museo, bisognerebbe far pagare il biglietto a chi si affaccia […] io penso, dopo vent’anni che sono qua, che faccio più gente io col toro[23] che il Museo Egizio»[24].

Consultando i siti internet dei locali coinvolti, si può notare come l’accumulo degli aneddoti storici o legati alle frequentazioni importanti siano stati, con maggiore o minore professionalità, valorizzati da tutti, anche attraverso ricerche appositamente finanziate (Dellapiana, Massabò Ricci 2015). Il particolare ruolo avuto dai locali piemontesi nelle vicende risorgimentali è stato indagato anche in studi più o meno puntuali (Bazzetta de Vemenia 2010; Condulmer 1970; Scaffidi Abbate 2014), così come è entrato a far parte di memorialistica e cronache locali (Rossotti 2008) e pubblicazioni con scopi promozionali, turistici o comunque esplicitamente votati alla valorizzazione del territorio (Pensato 2008; Ronchetta 2008). La cultura pop continua a omaggiare la particolare “atmosfera” (o “aura”) che si respira in questi luoghi, scegliendoli come set (si veda, a titolo di esempio, il Caffè Mulassano nel videoclip della canzone Aspetto che torni di Francesco Renga, 2019[25]), oppure omaggiandoli in ricostruzioni letterarie (come nel caso del Caffè al Bicerin narrato da Umberto Eco ne Il cimitero di Praga, 2010). La loro capacità di attraversare i secoli facilita la strizzatina d’occhio o la facile citazione, tanto che gli episodi riguardanti Gramsci al Caffè San Carlo o Pavese al Caffè Elena hanno finito per diventare specchietti per le allodole che, concentrando su di sé l’attenzione, nascondono quanto vi ruota attorno. Per quanto centrale, soprattutto in una città come Torino, il leitmotiv risorgimentale non può fungere da elemento aggregatore nonostante, tra le voci raccolte, sia costante il riferimento ai “locali in cui si è fatta l’Italia”. Se è indubbio il ruolo giocatovi dal Caffè Fiorio (immancabile è il richiamo anche nei materiali pubblicitari, Di Vincenzo 2011), lo stesso non si può dire di locali come al Bicerin, troppo decentrati e popolari, senza contare che almeno la metà di essi hanno aperto i battenti a Risorgimento ormai concluso. In modo diverso i locali hanno saputo legare il loro nome a protagonisti della vita cittadina e non solo (si veda l’assegnazione del titolo di “Fornitore della Real Casa” a Baratti & Milano, Pepino e Stratta o la vicinanza tra Platti e aziende storiche della città come FIAT ed Einaudi), oppure a creazioni che hanno avuto grande diffusione (si veda il Vermouth Carpano nei locali del Caffè Elena, il tramezzino[26] servito per la prima volta al Mulassano, il gelato su stecco, ribattezzato “Pinguino”, inventato da Domenico Pepino o la rinomata bevanda che dà il nome al Bicerin). Difficile andare oltre nello spiegare il perché della “sopravvivenza” di ben dieci caffè storici per oltre un secolo, e non è comunque questa la sede adatta a tentarlo[27]. Storia, tradizione e leggenda vengono quindi mescolate in un amalgama dal sapore agrodolce da servire con maestria al frequentatore del 2020, eppure è nelle sfumature di questi aromi che risiede l’offerta specifica di ogni singolo Salotto, e quella complessiva che dovrebbe distinguere i componenti dell’Associazione dai concorrenti cittadini e nazionali.

Proprio questa maestria è stata messa in discussione, in particolare dalla seconda fase della ricerca, che ha avuto inizio nel mese di luglio 2019, quando tutti i locali sono diventati i set fotografici delle immagini destinate a corredare il sito web dell’Associazione[28]. Il processo per la messa online del sito è stato lungo e travagliato, ha assunto il ruolo di responsabile marketing e comunicazione per l’Associazione Elisa Avataneo di La cultura dell’evento[29]. Ho seguito Elisa e Sara D’Incalci, la fotografa incaricata, per tutta l’estate, tra resistenze, incomprensioni con proprietari e gestori, situazioni ai limiti dell’assurdo con il personale, disinformato o disinteressato, di alcuni locali.

L’attivazione del sito internet, e la conferenza stampa in cui avrebbe dovuto essere presentato, erano previsti inizialmente per il mese di settembre, poi per dicembre (usando le festività natalizie come traino), successivamente per la primavera 2020. Il sito è stato inaugurato verso la fine del 2019, mentre la conferenza stampa non è stata ancora convocata al momento della redazione di questo rapporto (aprile 2020).

Ad accompagnare il fotoshooting, la progressiva presa di contatto con i vari gestori finalizzata alla scelta del logo dell’Associazione e alla definizione della modalità comunicativa.

Se era già emerso come, al di là di un comune target turistico generalizzato, i pubblici a cui si rivolgevano i dieci soggetti fossero molto diversi (in particolar modo per età, estrazione sociale e capacità di spesa), sembrava opinione diffusa che ci fosse un alto livello di qualità, che si palesava in particolar modo attraverso il cibo e il servizio, due delle componenti principali "dell’atmosfera", il termine attorno a cui tutto ruota e che costituisce un elemento centrale di "distinzione" dei Salotti Sabaudi. Pareva anzi che l’unione tra i locali, gli arredi, l’attenzione per prodotti e preparazione e la fedeltà a un certo stile codificato, potessero costituire il patrimonio su cui imbastire il processo di riconoscimento (Grimaldi et al. 2019). Purtroppo, la realtà dei fatti si è rivelata ben lontana dalle aspettative, questo si è espresso non solo attraverso una fortissima disparità nella qualità di prodotti e servizi offerti ma, in alcuni casi, anche nella scarsa attenzione alla tutela degli aspetti più concreti e meno opinabili, ovvero arredi e locali.

Ho immediatamente costruito un ponte con Elisa, cementato dal comune interesse di muovere ad azione i Caffè: se per lei era necessario raccogliere elementi che sostanziassero nei confronti del pubblico la nascita dell’Associazione e mostrassero “l’anima” dei soci, anche per me era fondamentale che si avviasse finalmente una fase di costituzione effettiva di un soggetto unitario dotato di una propria agenda culturale.

D’altra parte, risultava molto difficile relazionarsi con gli avventori dei locali in merito al senso da attribuire ai Salotti Sabaudi, se i gestori di questi ultimi non provvedevano per lo meno a comunicare un comune intento. Per entrambi era necessario riarticolare e rinnovare la tradizione che cercava nel mito fondativo nazionale la sua legittimazione e trovare motivazioni attuali per il percorso verso la candidatura UNESCO. Per questo eravamo concordi nel sollecitare la pianificazione di un calendario di eventi da organizzare tutti assieme come soggetto collettivo. Fino ad allora solamente alcuni dei Caffè si erano mossi in maniera indipendente, programmando cicli di eventi (come nel caso de "I Giovedì della Storia" di Platti[30]) o eventi singoli (si veda il caso de "La Noche del Capitàn" della Gelateria Pepino[31], dedicata al pisco peruviano, e della festa per i 130 anni del Caffè Elena, organizzati addirittura lo stesso giorno[32]).

Per muovere la situazione abbiamo cercato di fare leva sull’autorità del Presidente Alfieri ma senza ottenere risultato alcuno. L’attesa senza fine di un annuncio pubblico ha condotto a comunicazioni disordinate e complicate dall’approssimazione del mezzo giornalistico (si veda l’intervista per il Corriere Torino in cui il proprietario del Caffè Elena viene dipinto come presidente dell’Associazione[33], o l’articolo del 13 gennaio che annuncia anche lo studio in essere[34]).

La mia ricerca etnografica, presentandomi come normale cliente, si è prolungata durante l’autunno e l’inverno, quando ho sfruttato la disponibilità di Milena Annechiarico e Sofia Venturoli per verificare i dubbi, emersi assistendo ad allestimenti e servizi, “testando” le offerte dei locali coinvolti. A questo si è unita una trasferta a Vienna, dedicata a un rapido confronto con la già evocata realtà locale.

Il contesto austriaco ha evidenziato due elementi degni di nota: in primo luogo la forte standardizzazione dell’offerta, molto distante dalla varietà caratterizzante la dimensione torinese; in secondo luogo, l’assenza di connessione diretta tra l’appartenenza al Klub, a cui si è fatto riferimento in apertura, e la connotazione di storicità. In altre parole, molti dei più famosi e frequentati caffè viennesi (a testimoniarlo il tempo speso nelle lunghe code all’entrata) non sono iscritti al Klub e non possono quindi vantare il “marchio UNESCO” (nonostante l’evidente facilità nell’ottenerlo). Due esempi molto significativi in tal senso sono il Cafè Central[35] e il Cafè Sacher[36], entrambi privi di “marchio”. La sensazione è che locali meno conosciuti, e che non possono sfruttare l’attrazione garantita dalla fama, in un contesto con un livello di concorrenza così elevata, abbiano fatto ricorso al “marchio di qualità” come mero meccanismo di marketing.

Inoltre, come è possibile vedere nelle immagini 2 e 3, provenienti rispettivamente dall’insegna del Cafè Frauenhuber (1824, il più antico di Vienna, sebbene più recente di almeno 3 caffè torinesi) e dal menu del Cafè Landtmann (1873), a differenza di quanto riportato sul sito (solo in lingua tedesca), si indica, anche se non troppo chiaramente, come i caffè iscritti al Klub siano riconosciuti non dall’UNESCO, ma bensì dalla Österreichische UNESCO-Kommission (la Commissione austriaca per l’UNESCO). Questo rafforza l’ipotesi di un’abile operazione di marketing orchestrata con la complicità istituzionale.

Figura 2 - Particolare dell’insegna del Cafè Frauenhuber

Figura 3 - Particolare del menu del Cafè Landtmann

Da sottolineare che il logo riportato nelle due immagini è quello generico dell’UNESCO, privo del secondo logo che denota l’Intangible Cultural Heritage:

Figura 4 - Il logo UNESCO Intangible Cultural Heritage

Nel corso dei primi mesi del 2020 mi sono confrontato più volte con i due gestori che hanno costituito la mia principale interfaccia con l’Associazione (Gelateria Pepino e Caffè Elena), i quali mi hanno informato che si sta considerando l’ipotesi di includere locali al di fuori del contesto torinese, estendendo così a livello regionale il vaglio di caffè con le caratteristiche adatte a costituire una “punteggiatura” costituita dilieux de mémoire dell’intero Piemonte (Crinson 2005). Siamo concordi nel rilevare che al momento non sussista materiale sufficiente, né una chiara decisione in merito al percorso da seguire[37], tale da consentire la stesura dei documenti necessari ad avviare il processo di candidatura, attività rimandata, quindi, a data da destinarsi. Per i mesi a venire sono previsti momenti di restituzione assembleari che coinvolgeranno anche i restanti soci e dai quali emergerà la volontà o meno di continuare il percorso. Tali iniziative (che non mancheranno di riservare colpi di scena) sono da considerarsi come uno step successivo della ricerca, che travalicano quindi il mandato della borsa bandita dall’Università di Torino, mi riservo per tanto di affrontarle in una futura pubblicazione.

Conclusione

Scopo di questo rapporto non è quello di affrontare la questione della patrimonializzazione e del problematico legame tra marketing e patrimonio, in particolare in un ambito così scivoloso come quello che riguarda attività commerciali, né approfondire la dimensione etnografica della ricerca, bensì documentare il lavoro svolto e le criticità emerse; si rimanda perciò ad altra sede una trattazione approfondita di queste tematiche. Allo stesso modo, non è questo il contesto in cui affrontare una questione che ritengo fondamentale, e che emerge tra le righe delle pagine precedenti, inerente alla configurazione del rapporto tra il committente esterno (l’Associazione Caffè Storici-Salotti Sabaudi), l’ente stanziatore della borsa di ricerca (l’Università di Torino) e il sottoscritto. Scopo della borsa sarebbe stato quello di scrivere una “relazione etnografica” che, come ho mostrato, non è stata realizzata, si può dire quindi che lo scopo non sia stato raggiunto. È mia opinione che ci sia stato un travisamento alla base della richiesta, e che, là dove è stato richiesto lo svolgimento di una mansione di tipo tecnico, occorresse in realtà un affiancamento consulenziale. Questa possibilità è stata preclusa fin dall’inizio in quanto il modo in cui i rapporti si sono configurati in nuce non potevano consentirlo, mi riservo perciò di destinare ad altra sede anche la trattazione esaustiva di questo aspetto[38]. Come anticipato, non ritengo inoltre conclusa la mia relazione con l’Associazione, mi sono quindi offerto di continuare a seguire le vicende che la vedono coinvolta, in modo da offrire un possibile contributo qualora sia necessario e possibile, anche nei termini della relazione che era stata richiesta.

Bibliografia

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[1] Desidero ringraziare per la collaborazione fornita: Milena Annechiarico, Elisa Avataneo, Fabio Fichera, Luisa Renzo e Sofia Venturoli.

[2] https://www.localistorici.it/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[3] Ibidem

[4] Una ricerca condotta nel 2016 da Elisa Prati nell’ambito del Master in World Heritage and Cultural Projects for Development individua tre ulteriori papabili: il Caffè pasticceria Gertosio (1921), la Caffetteria reale Gerla (1927) e il Caval d’Brons (1948). I locali non sono stati però presi in considerazione per l’Associazione, inoltre il Caval d’Brons chiuderà i battenti nel 2016, anno in cui la ricerca è stata condotta.

[5] Non è possibile trascurare il fatto che la Lavazza di Torino sia una dei principali sponsor dell’Associazione.

[6] https://kaffeesieder.at/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[7] http://www.piemontetopnews.it/ torino-e-vienna-di-contendono-il-primato-dei-caffe-storici-piu-raffinati/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[8] https://kaffeesieder.at/ der_klub/klub_der_wiener_kaffeehausbesitzer (traduzione mia) (ultima consultazione 16/11/2020).

[9] https://kaffeesieder.at/ jart/prj3/kaffeesiederball_website_2017/main.jart?content-id=1538997006110&rel=de&reserve-mode=active (traduzione mia) (ultima consultazione 16/11/2020).

[10] https://kaffeesieder.at/ jart/prj3/kaffeesiederball_website_2017/data/uploads/KlubKaffeehausbesitzer_Antrag-ordentliches-Mitglied_20181213.pdf (ultima consultazione 16/11/2020).

[11] https://ich.unesco.org/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[12] https://www.fondazioneinnovazioneurbana.it/ 42-urbancenter/1192-i-portici-di-bologna-candidatura-unesco (ultima consultazione 16/11/2020).

[13] http://www.unesco.it/it/ ItaliaNellUnesco/Detail/189 (ultima consultazione 16/11/2020).

[14] https://www.france24.com/ en/20180608-france-lobby-seeks-unesco-heritage-status-paris-cafes-bistros (ultima consultazione 16/11/2020).

[15] http://www.triesteprima.it/ cronaca/caffe-storici-trieste-patrimonio-unesco-23-ottobre-2018.html (ultima consultazione 16/11/2020).

[16] https://www.comunicaffe.it/ al-via-raccolta-di-firme-per-la-tutela-unesco-del-caffe-napoletano/?fbclid=IwAR2j0pPjj1GjjiqPINBjqoYIiXWZ0liroHVia0C2PswjJA7ATmi37avudgg (ultima consultazione 16/11/2020).

[17] https://www.dissapore.com/ notizie/caffe-espresso-italiano-la-candidatura-allunesco-e-ufficiale/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[18] http://www.napolitoday.it/ cultura/caffe-napoletano-unesco.html (ultima consultazione 16/11/2020).

[19] https://www.ehica.eu/home-2/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[20] http://www.tinformanews.com/dolci-portici/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[21] http://www.centrovisual.it/salone_libro_2019/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[22] Intervista con il proprietario del Caffè al Bicerin raccolta dall’autore a Torino in data 24 aprile 2019.

[23] Si riferisce all’effige del toro rampante in bronzo collocata da Carlo Borromeo nel 1930 proprio davanti al Caffè Torino, la leggenda narra che calpestare gli attributi del toro sia un gesto benaugurale.

[24] Intervista con il proprietario del Caffè Torino raccolta dall’autore a Torino in data 4 giugno 2019.

[25] https://youtu.be/zLskXkQ_lB4?t=118 (ultima consultazione 16/11/2020).

[26] Sarà Gabriele D’Annunzio a proporre il termine tramezzino come traduzione dell’inglese sandwich.

[27] Si rimanda a una futura pubblicazione l’approfondimento di questo aspetto.

[28] https://www.caffesalottisabaudi.com/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[29] https://www.eliavataneo.com/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[30] https://www.facebook.com/events/ caff%C3%A8-platti-1875/i-giovedi-della-storia/406632866714266/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[31] https://newsphotoevents.it/ la-noche-del-capitan-alla-gelateria-pepino-di-piazza-carignano-a-torino/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[32] https://mole24.it/2019/ 09/18/il-caffe-elena-di-torino-compie-130-anni-grande-festa-per-loccasione/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[33] «I caffè storici si riuniscono in associazione per tutelarsi», Corriere Torino del 4 ottobre 2019.

[34] «“Tutela Unesco per i caffè storici”», Corriere Torino del 13 gennaio 2020. L’intento dei caffè torinesi è stato comunicato anche sulla stampa internazionale, seppur di settore: https://www.victoriacagol.com/post/coming-soon-turin-s-cafes-tradition (ultima consultazione 16/11/2020).

[35] https://www.cafecentral.wien/en/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[36] https://www.sacher.com/en/restaurants/cafe-sacher-wien/ (ultima consultazione 16/11/2020).

[37] Nel momento in cui scrivo è in atto il lockdown prescritto dalle ordinanze anti-contagio per il Covid-19, a questo si deve una certa vaghezza in questi passaggi conclusivi.

[38] Ho in programma di affrontare i due ordini di problemi in pubblicazioni ad essi dedicate.