Recensione

Filippo Lenzi Grillini, L’Antropologia in azione. Esperienze etnografiche in America latina e Italia fra riflessioni metodologiche e prospettive applicative, CISU, Roma, 2019


La pubblicazione della seconda edizione ampliata e revisionata di Anropologia in azione nella collana diretta da Antonino Colajanni Il sapere e il fare. Studi antropologici e applicazioni pratiche, ci fornisce una preziosa opportunità di riflessione sul rapporto tra teoria e applicazione del sapere antropologico. Il volume inoltre costituisce un ottimo esempio di quel “giro più lungo” che nutre tale sapere e che permette di capitalizzare le esperienze di ricerca all’interno di contesti “esotici” in interventi applicativi nella società italiana.

Pur se il titolo evoca l’Action Anthropology di Sol Tax, quella strategia di ricerca azione in cui l’attenzione viene rivolta alla molteplicità degli attori in gioco nei programmi di intervento, il libro di Filippo Lenzi Grillini fornisce un più articolato percorso ricco di spunti e interessanti argomentazioni che interrogano l’applicazione dell’antropologia sociale nel suo complesso. Basandosi su una profonda conoscenza della letteratura antropologica contemporanea e su una sofisticata rivisitazione della sua esperienza professionale decennale come ricercatore e consulente in progetti di vario tipo, l’autore imbarca il lettore in un viaggio che intreccia storie personali e professionali, contesti americani e italiani, spostandosi dalle perizie sulle terre indigene in Brasile alla lotta per la terra dei Mapuche in Cile, dai monitoraggi di progetti e interventi formativi in Italia, fino ad una ricerca etnografica su committenza sul gioco d’azzardo.

Il filo rosso, che si dipana tra le diverse parti che compongono il testo, è costituito dalla constatazione di come la continua negoziazione a cui l’antropologo è costantemente richiamato quando impegnato sul campo caratterizzi tanto le esperienze di ricerca fondamentale, quanto altre esperienze professionali come quelle di consulenza. Attraverso il suo percorso professionale l’autore mostra, con intelligente riflessività, l’importanza di dedicare riflessioni approfondite al rapporto di ogni antropologo con il contesto in cui interviene: “un contesto interpretabile come un’arena dove si scontrano fazioni, strategie e interessi differenti.” La postura di negoziazione si rivela cruciale nel muoversi tra gli attori nell’arena, ma anche tra i diversi posizionamenti dello stesso antropologo nei confronti delle persone con cui lavora. Tra lo Scilla del ruolo di “portavoce” (advocacy) di una determinata comunità e il Cariddi del consulente identificato all’istituzione in questione (embedded) Lenzi Grillini evoca un ruolo di mediazione: “una mediazione in cui l’antropologo può sfruttare la sua posizione centrale fra due poli: l’istituzione committente da un lato, il gruppo, la comunità o gli attori sociali al centro dell’indagine dall’altro. Spesso tale mediazione si trasforma in una sorta di interpretariato in entrambe le direzioni, che si traduce nel fornire spiegazioni su due mondi e due realtà di cui l’antropologo ha generalmente una conoscenza approfondita.”

Andando per ordine, nella parte introduttiva l’autore discute l’impianto complessivo del lavoro, contestualizzando l’importante ruolo dell’impegno pubblico degli antropologi in America Latina, e in Brasile in particolare, e ricordando le modalità storiche con cui, anche a livello internazionale, si sia sviluppata una sorta di diffidenza nei confronti dell’applicazione del sapere antropologico. Successivamente, prende in considerazione la più recente emersione in Italia di iniziative convegnistiche e associative che affrontano direttamente la questione in modo costruttivo, a testimonianza che anche nel nostro paese si rileva un crescente interesse nel ruolo sociale dell’approccio antropologico e delle tante e differenti sfide che questo comporta: comunicazione accessibile, tensione tra analisi critica e traduzione pratica, margini di negoziazione con committenti e con le comunità studiate. Molte di queste sfide costituiscono i temi trattati nei diversi capitoli.

Il volume inizia da dove lo stesso autore ci aveva lasciati con il suo I confini delle Terre Indigene in Brasile. L’antropologia di fronte alla sfida delle consulenze e delle perizie tecniche apparso nella stessa collana. E’ infatti proprio nello studio sulle perizie antropologiche sulle Terre Indigene, in questo studio ripreso come esempio di ricerca “pura”, che l’autore si trova in mezzo ad un conflitto ed è costretto a riposizionarsi negoziando con diversi attori in gioco “al centro di un’arena politica caratterizzata da una violenta conflittualità”. Nel ricordare l’ubiquità della tensione tra coinvolgimento e distacco, questo capitolo riveste un ruolo strategico nel sostenere l’argomentazione generale dell’autore, poiché mostra in modo convincente quanto anche la ricerca fondamentale implichi la necessità di negoziare una posizione del ricercatore sul campo che si differenzi da quella degli altri attori presenti. Non è quindi esclusiva del mondo delle consulenze e dei progetti applicativi la sfida nei confronti della indipendenza critica dell’antropologo che permette di contestualizzare accuratamente i fenomeni presi in esame. Si pensi, per esempio, a come diversi colleghi impegnati in ricerche etnografiche abbiano incontrato problemi di accesso al campo o dovuto ridisegnare anche l’oggetto di ricerca di conseguenza. D’altra parte, un accesso negoziato ad un campo “caldo”, animato da divergenze e conflitti, permette all’etnografo di cogliere aspetti e sfumature inarrivabili da una prospettiva esterna e non coinvolta.

Nello stesso solco, ovvero quello della lotta per le terre indigene, il secondo capitolo scritto a quattro mani con Fabio Malfatti estende comparativamente l’analisi al caso dei Mapuche in Cile. Si tratta di un’esperienza che ha visto il passaggio da una fase di ricerca teorica pura, in particolare di etnolinguistica sui termini indigeni per definire e descrivere le piante, ad una fase elaborativa di azioni di sostegno allo sviluppo sostenibile delle comunità locali. Dopo un’ampia discussione dello scenario socio-politico, l’analisi verte su come il progetto nel suo complesso sia stato condotto in un contesto caratterizzato da rivendicazioni territoriali e tentativi di utilizzare a fini politici i dati della ricerca antropologica. L’attenzione del lettore viene focalizzata sulle difficoltà a garantire unità nella lotta da parte dei Mapuche, sui dilemmi tra gestione e proprietà collettiva o privata delle terre, oltre che sulle negoziazioni dei ricercatori all’interno dell’arena politica in cui si sono trovati.

Processi non dissimili ritroviamo nella seconda parte del volume in cui si trattano le esperienze di consulenza antropologica con finalità più prettamente applicative in Italia. Nel terzo capitolo, si illustra sia un’attività di monitoraggio di progetti condotta dal CREA per alcuni enti locali, sia interventi di formazione nel campo dell’antropologia per lo sviluppo. Le criticità su cui concentra la discussione l’autore riguardano le difficoltà a gestire il rapporto con i committenti e il grado di riconoscimento dell’approccio antropologico e delle sue metodologie di ricerca all’interno di un percorso multidisciplinare. Infatti, nell’implementazione del progetto di monitoraggio venne sacrificata proprio quell’approfondimento qualitativo che ai ricercatori era sembrato cruciale nella fase di pianificazione. Particolarmente interessante risulta anche la riflessione sulle strategie attivate dai ricercatori per evitare che l’evento conclusivo del progetto si esaurisse in una autocelebrazione “antipolitica” dei progetti finanziati dall’ente e occultasse le criticità che comunque erano emerse dal monitoraggio panoramico, quali, per esempio, la debolezza della rete di interconnessione del tessuto associativo e le insidie insite nella realizzazione di progetti realmente partecipativi. Anche la formazione per Ingegneria Senza Frontiere (ISF) – Italia si è rivelata ricca di spunti nel riflettere sull’antropologia in azione. Una prima sorpresa contro-intuitiva è stato accorgersi dell’apprezzamento di una lettura critica dello sviluppo da parte dei partecipanti. Anche se ingegneri, le loro esperienze professionali in diversi contesti hanno facilitato l’apprezzamento di quelle analisi delle azioni di aiuto internazionale come un processo storico, politico e culturale mediante il quale sono definite specifiche rappresentazioni del Terzo mondo, escludendo le modalità con cui le stesse comunità locali si sono auto-rappresentate e immaginate. Al contrario, questi ingegneri si sono dimostrati consapevoli che “ogni contesto nel quale si realizza un progetto non potrà mai … essere considerato come un “vuoto di saperi e conoscenze”.

Il quarto capitolo si focalizza invece su una ricerca etnografica sul gioco d’azzardo patologico finalizzata alla pianificazione di progetti di prevenzione. In questo caso, l’autore ha potuto beneficiare di un maggior riconoscimento delle metodologie e delle prospettive antropologiche. Per esempio, la prospettiva olistica si è mostrata particolarmente appropriata per lo studio di un fenomeno che coinvolge aspetti sociali, culturali, economici e politici oltre che sanitari. Dal punto di vista metodologico, l’autore è stato reclutato come “esperto etnografo”, potendo così effettuare osservazioni etnografiche nei luoghi del gioco (bar, tabacchi e sale giochi), interviste in profondità a giocatori patologici nelle comunità di riabilitazione, oltre che missioni etnografiche alle fiere commerciali per esplorare l’impresa del gioco d’azzardo. Ciononostante, anche in questo caso il ricercatore ha dovuto attivare strategie di negoziazione, temperando l’analisi critica per facilitare accesso ed efficacia del processo etnografico. Più precisamente, questo ultimo capitolo costituisce un coerente trampolino per le riflessioni conclusive in cui si invoca un approccio collaborativo argomentandone l’efficacia nel raggiungere gli obiettivi prefissati e la facilitazione nell’ osservazione delle dinamiche fra professionalità differenti interne alle organizzazioni. Aspetti che una analisi critica radicale ed esplicita avrebbero in qualche modo precluso.

La lettura scorre veloce perché il volume è stato scritto in modo chiaro con un rigoroso rispetto della consequenzialità logica della discussione. Ritengo questo libro utile se non indispensabile per molti lettori di Antropologia Pubblica