Uso di sostanze nei contesti di divertimento

Strategie metodologiche e di collaborazione con i servizi di Riduzione del Danno

Giulia Nistri

Università degli Studi di Perugia

Filippo Lenzi Grillini

Università degli Studi di Siena

Indice

Oggetto e struttura della ricerca
Sfide, opportunità e strategie metodologiche
Traiettorie di “consumo”
Strategie di divertimento e interventi di limitazione dei rischi
Conclusioni
Bibliografia

Abstract. This paper focuses on a research consultancy developed in collaboration with harm reduction services. At first, ethnographers were asked to map and analyze tendencies and patterns of recreational drug use within different types of contexts (clubs, free parties, festivals, pubs, etc.) located in eight Italian territories. But, almost immediately, the negotiation with the sponsor brought researchers to include also an analysis of the relationship between services and “consumers”. Due to limited funds and time available to carry out the consultancy, and considering the heterogeneity of fieldwork, ethnographers had to look for alternative ways to reach and include a higher number of substance consumers. To face this challenging field researchers developed creative, unusual strategies and (perhaps unorthodox) methods. The outcome of the consultancy permitted us to analyze the peculiar methodologies characterizing harm reduction services and their relationship with consumers. Furthermore, the researchers managed to capture some features of the consumers’ strategies and habits within loisir contexts. Despite the limits of the chosen research strategies, the partnership revealed interesting perspectives on harm reduction for both operators and ethnographers.

Keywords.  Ethnography; harm reduction; recreational drug use; anthropological consultancy; research methodologies.

Oggetto e struttura della ricerca

Il presente contributo prende le mosse da un’esperienza di collaborazione con i servizi di riduzione del danno e limitazione dei rischi che operano nei contesti del divertimento notturno e di piccoli e grandi eventi. Si tratta di servizi di prossimità guidati da un approccio pragmatico e non giudicante che pone al centro la prospettiva e l’esperienza di chi usa sostanze, considerato parte attiva nel percorso di definizione della propria “salute”: un paradigma teso a scardinare il modello morale “stigmatizzante” e quello medico “patologizzante”. Questi servizi lavorano con unità mobili e/o postazioni infopoint adattate flessibilmente ai differenti contesti di loisir (pub, locali da aperitivi, festival, free-party, etc.). Come sarà illustrato, le équipe operano sia sul piano della ricezione dei frequentatori – fornendo materiale informativo, acqua, generi di conforto, preservativi, “pippotti”/ kit sniffo sicuro, servizio di alcol test e drug checking [1] – sia sul piano dell’osservazione del contesto e del monitoraggio di eventuali situazioni critiche che si possono presentare nel corso delle serate.

La consulenza si prefiggeva l’obiettivo di far emergere le dinamiche e i processi relativi all’utilizzo di sostanze nell’ambito di tali contesti, dedicando, secondo quanto richiesto dalla committenza[2], l'attenzione alla triade drug-set-setting (Zinberg 1984). L’interesse del committente, infatti, era rivolto agli elementi che intervengono nell’interazione tra contesto (setting) e consumo[3] di sostanze (drug), da considerarsi in costante dialogo con quelle che sono le motivazioni, la storia, la “psicologia” (set) di ciascun consumatore e ciascuna consumatrice. Inoltre, nel corso delle prime fasi della negoziazione con il committente, si è giunti alla scelta di includere nel quadro di indagine la dimensione del rapporto tra frequentatori di serate/eventi di loisir e rete di servizi di riduzione del danno/limitazione dei rischi (d’ora in poi RDD/LDR).

Il progetto, della durata di nove mesi, si è articolato attraverso tre fasi: una preliminare di confronto-ricerca sviluppata intorno a un workshop destinato ai professionisti dei servizi; una principale di quattro mesi dedicata all’indagine sul campo in otto contesti territoriali del centro e del nord Italia e infine una di tre mesi finalizzata alla rielaborazione dei dati prodotti.

La prima fase di confronto-ricerca tra operatori e ricercatori è stata dedicata alla progettazione degli strumenti di lavoro e dei percorsi di indagine da intraprendere. Attraverso un workshop[4] che ha rappresentato un primo momento di scambio di informazioni e competenze fra le équipe dei servizi coinvolti e i ricercatori, sono stati forniti i principali elementi di base utili a restituire un quadro sintetico delle metodologie caratterizzanti le discipline etno-antropologiche: in particolare relativamente alle interviste qualitative in profondità e all’osservazione partecipante.

Uno degli obiettivi del workshop era quello di costruire, congiuntamente con i professionisti dei servizi, gli strumenti più appropriati affinché l'indagine, prevista su differenti territori, potesse essere sviluppata in parte anche dagli stessi operatori in modo da integrare il lavoro svolto principalmente dai ricercatori. Questa scelta, adottata nella piena consapevolezza del fatto che tale tipo di coinvolgimento avrebbe potuto presentare problemi sia metodologici sia epistemologici, rispondeva all’obiettivo di riuscire ad ampliare il più possibile il corpus di dati da produrre, tenuto conto del tempo limitato a disposizione e dei contesti diversi e geograficamente distanti. Gli scambi iniziali con operatrici e operatori hanno, inoltre, fornito informazioni preziose, raccolte attraverso interviste, questionari e momenti di confronto collettivo e individuale. La rielaborazione di tali informazioni e dati prodotti durante il workshop ha contribuito, in parte, alla costruzione degli strumenti analitici e metodologici utili a condurre la ricerca.

È stata quindi pianificata un’indagine sul campo che abbracciasse otto città del centro e nord Italia (Roma, Perugia, Firenze, Reggio Emilia, Milano, Como, Varese e Torino) mete di missioni etnografiche dense e puntuali. Ognuna di esse ha previsto osservazioni e interviste condotte in club, bar, locali, discoteche e parchi, nell’ambito di eventi dedicati al divertimento come aperitivi, festival di musica elettronica e rock, free party, street-parade, manifestazioni promosse da collettivi e associazioni. In questi contesti è stato possibile accompagnare e osservare le attività delle équipe dei servizi di RDD/LDR: il lavoro di confronto con tali professionisti si è così potuto integrare con le interviste ai frequentatori degli eventi. Queste ultime sono state pensate e strutturate con la finalità di indagare alcuni aspetti legati all’utilizzo di sostanze nei contesti del “divertimento”, dedicando focus specifici alle storie di vita dei “consumatori”, alle dimensioni delle motivazioni e delle aspettative così come a quelle connesse ai “trend di consumo” e i “pattern d’uso”, per usare la terminologia utilizzata dai committenti della ricerca.

Nel corso dell’indagine etnografica sono stati effettuati più di centotrenta colloqui anonimi (tra informali non audio-registrati e interviste audio-registrate)[5], la maggior parte realizzati durante le serate o gli eventi, ai quali si aggiungono quelli condotti con consumatori segnalati ai ricercatori dai servizi e quelli con gli stessi operatori. Sono state inoltre realizzate altre trentadue interviste dalle équipe che hanno dato la propria disponibilità[6].

Sfide, opportunità e strategie metodologiche

La cornice progettuale è stata disegnata dalla committenza senza prevedere la partecipazione dei ricercatori alla fase di pianificazione. Questi ultimi, coinvolti solo in seconda battuta, si sono trovati a collaborare con più attori sociali e diversi livelli operativi dei servizi, nell’ambito di un progetto che ha vissuto, quindi, vari ridimensionamenti e processi di negoziazione (Lenzi Grillini 2019). Un insieme di fattori che ha influenzato necessariamente l’andamento della consulenza, evidenziando quanto tale lavoro fosse «concepito come una piccola parte di un insieme molto più vasto, al quale deve adattarsi» (Colajanni 2012: 43).

Il budget complessivo a disposizione per la consulenza risultava piuttosto limitato a fronte dell’ambizioso obiettivo che l’indagine si prefiggeva, mentre le tempistiche previste erano scandite da strette scadenze. La consulenza avrebbe, infatti, necessitato indubbiamente di più tempo, non solo per la complessità dei temi affrontati, ma anche per offrire ai ricercatori la possibilità di stabilire relazioni più approfondite con tutte le équipe coinvolte e comprendere pienamente le specificità dei singoli contesti. In realtà, se si fosse trattato di una ricerca sul campo maggiormente circoscritta il tempo a disposizione sarebbe stato sufficiente e le risorse economiche adeguate.

Fin dal principio, il tema della mancanza di tempo (Marabello 2016) si è imposto in maniera importante, come frequentemente accade nel caso di collaborazioni fra sapere antropologico e campo dello sviluppo (Colajanni 2012; Declich 2012) o medico-sanitario (Pizza, Ravenda 2016), e questo ha portato necessariamente alla ricerca di strategie di lavoro sperimentali.

Come abbiamo già accennato una delle sfide principali che è stato necessario affrontare per condurre questa particolare consulenza era direttamente correlata alla difficoltà di restituire la complessità di un fenomeno come quello dell’uso di sostanze in contesti di loisir con l’ambizione di analizzarlo su scala nazionale, ovvero con uno sguardo a più contesti territoriali in diverse regioni. In questo senso la presenza di due ricercatori ha permesso di produrre ricchi dati etnografici, nell’arco di un limitato tempo di indagine[7].

La strategia di lavorare in équipe ha concesso di far fronte alla mancanza di tempo: raddoppiando le forze sul campo nel corso delle “missioni etnografiche” è stato possibile arricchire e ampliare il corpus dei dati prodotti, attraverso interviste e osservazioni. Di contro, questo ha necessariamente previsto un “sacrificio” del budget complessivo destinato alla ricerca a beneficio della qualità della stessa. I momenti di confronto-scambio tra i ricercatori alla fine di un evento, o su un treno al ritorno da una delle città interessate dall’indagine come anche in fase di stesura del report, hanno permesso di comprendere a fondo i vantaggi del lavoro in équipe. Potenzialità evidenziate nitidamente da Olivier De Sardan nei suoi contributi dedicati all’approfondimento delle metodologie di ricerca etnografica e al loro utilizzo specifico nell’ambito dei progetti di sviluppo:

Ogni sera, questi incontri permettono di svolgere un’analisi interpretativa “a caldo”, di organizzare immediatamente i dati, di tracciare i piani di lavoro per l’indomani, di abbozzare modelli provvisori, fluidi, non irrigiditi dalla scrittura, né slegati dall’indagine… tali riunioni rappresentano un luogo privilegiato per l’emergere di interpretazioni strettamente correlate ai materiali empirici, e cioè di “teorie nate sul campo” […] Il dibattito ‘a caldo’ intorno ai dati e alla loro interpretazione è dunque molto più produttivo rispetto alla riflessione più o meno intuitiva di un ricercatore solitario. Occorre convincere gli altri, sostenere le proprie ipotesi, prendere in considerazione le obiezioni o i controesempi, affrontare le critiche (Olivier de Sardan 2008: 206)[8].

Il lavoro di squadra, troppo poco praticato secondo l’antropologo francese (Olivier de Sardan 2009), ha permesso nel corso di questa esperienza di riformulare rapidamente interrogativi, proporre strategie interpretative differenti e “correggere il tiro”.

Le note di campo sono state audio-registrate autonomamente da ciascun ricercatore nel corso degli eventi, così come le brevi sintesi dei contenuti di interviste a interlocutori e interlocutrici che preferivano non essere registrati.

Il coinvolgimento delle équipe nella produzione dei dati era stato pianificato nella consapevolezza che una parte significativa di operatori e operatrici con cui avremmo collaborato avevano già un’esperienza pregressa in attività di ricerca e monitoraggio nell’ambito dei contesti di consumo di sostanze. Ciò era emerso dal workshop come anche dall’analisi preliminare della documentazione relativa ai singoli progetti (siti web, materiale grigio, report, etc.). Per rendere maggiormente coerente il lavoro delle équipe con quello dei ricercatori si è scelto di fornire una “scaletta” che orientasse le interviste da condurre[9]. In particolare, sono state pensate due tipologie di interviste, una più breve da realizzarsi con coloro che venivano intercettati nel corso di serate/eventi e una più lunga da condurre con consumatrici e consumatori già noti ai servizi. Inoltre, alle differenti équipe era stato richiesto che le interviste fossero accompagnate da una “scheda di contesto”, in cui l’operatore o l’operatrice avrebbe potuto annotare eventuali riflessioni frutto dell’osservazione, descrizioni relative all’evento e appunti sulle modalità di “aggancio” degli intervistati. Purtroppo, non tutte le équipe hanno potuto contribuire alla raccolta dei dati qualitativi, anche dal momento che tale attività di ricerca rischiava di sottrarre tempo prezioso alla routine di lavoro di operatori e operatrici.

Al tempo stesso è importante sottolineare che i servizi sono stati una chiave di accesso essenziale a occasioni e momenti che sarebbe stato molto più complicato intercettare senza tale supporto, come ad esempio nel caso dei free party, soprattutto tenuto conto del poco tempo a disposizione per l’intera ricerca. Ma proprio perché i momenti di osservazione erano strettamente legati (nei tempi e in parte negli spazi) agli interventi delle équipe, è emerso fin dalle prime occasioni, il rischio che fossero i servizi stessi a disegnare i contesti del lavoro di ricerca. Se in parte si trattava di una premessa strutturale dovuta anche alla natura multisituata e frammentaria dell’indagine, grazie alla presenza di due ricercatori sul campo è stato possibile provare a superare i limiti imposti da tale condizione. In molte occasioni, infatti, in maniera alternata uno/a dei due si allontanava liberamente dall’area limitrofa agli stand infopoint[10] del servizio coinvolto, per osservare interazioni, dinamiche e spazi più lontani, mentre l’altro (o l’altra) rimaneva nei pressi del tavolo dove gli operatori e le operatrici disponevano i materiali informativi sulle sostanze, oltre a preservativi, acqua, generi di conforto e zuccheri, distribuiti gratuitamente. In determinate occasioni, dopo aver intercettato alcuni frequentatori all’infopointdel servizio, è stato possibile osservarne le traiettorie di divertimento e di consumo nel corso delle differenti fasi dell’evento come anche nei diversi ambienti in cui si svolgeva. Sempre l’osservazione ha consentito di far emergere gli usi strategici degli spazi messi in pratica da buona parte dei frequentatori degli eventi. Ad esempio, nei contesti di divertimento che presentavano un servizio di sicurezza o maggiormente “controllati” è emerso un uso strategico degli ambienti da parte di consumatori e consumatrici di sostanze: bagni, spazi aperti del locale come i cortili interni, parcheggi e angoli meno visibili e “controllabili”; una dinamica nota ai servizi, alcuni dei quali monitorano puntualmente le aree ritenute potenzialmente più “rischiose” per la loro poca visibilità.

A volte i ricercatori hanno seguito le équipe nei loro giri di monitoraggio, potendo analizzare da vicino il modo di osservare e di lavorare del servizio. Inoltre, sebbene gli etnografi fossero abbastanza liberi di aggirarsi per i luoghi di osservazione, la vicinanza con i servizi – necessaria allo studio del modus operandi degli stessi e della relazione con i frequentatori degli eventi – si è rivelata in alcuni casi un ostacolo e in altri un’opportunità, in particolare per quella parte della ricerca interessata alle dinamiche che coinvolgono i consumatori di sostanze nei contesti del divertimento. In molti casi, proprio il posizionamento peculiare dei ricercatori ha permesso di accedere a informazioni non sempre accessibili per i servizi. Tale esito mette in luce le potenzialità di questo tipo di collaborazioni, come era stato previsto da una coordinatrice di un progetto RDD/LDR già dal workshop iniziale: «vedrete che proprio perché non siete del servizio a voi certe cose ve le diranno…». In altre occasioni, invece, nonostante fosse esplicitato il ruolo di ricercatori “esterni” all’inizio di ogni intervista o chiacchierata informale, gli etnografi finivano per essere “assimilati” a operatori e operatrici, facendo emergere, in questi casi, i limiti di una ricerca condotta “a fianco” dei servizi.

Traiettorie di “consumo”

Sembra difficile oggi individuare “culture” distinte che connettano in maniera esclusiva frequentatori e ambienti musicali e di divertimento: quanto emerso nel corso della ricerca conferma ciò che si evince dal confronto con gli stessi frequentatori degli eventi e con i professionisti dei servizi e cioè un’eterogeneità di “pubblici” che attraversa i differenti contesti di loisir. La stessa eterogeneità sembra interessare da tempo anche la diffusione delle diverse sostanze, come ricordato anche da alcune esperienze di ricerca internazionali (Tellier 2002).

Il quadro che si è delineato al termine dell’indagine per ciò che concerne l’età dei frequentatori intercettati poneva al centro prevalentemente consumatori dai 18 ai 35 anni (la maggior parte dei quali nella fascia 19-30), con alcuni casi specifici di intervistati al di sotto della maggiore età o che superavano i 40 anni. L’uso di sostanze in giovane età, secondo i professionisti delle équipe RDD/LDR e alcuni fra gli intervistati della ricerca, si caratterizzerebbe in quanto esperienza di sperimentazione caotica e pressoché indiscriminata che si concretizza in una prima fase di “scoperta”. La tendenza alla scelta di una sostanza specifica di “affezione” sembrerebbe caratterizzare buona parte dei consumatori anagraficamente più maturi, anche dal momento che, secondo quanto emerso dalle interviste, per alcuni interlocutori l’avanzare dell’età e i potenziali stili di vita che ad esso si accompagnano, rendono più difficile la gestione di un consumo indiscriminato, eterogeneo e non pianificato di sostanze: «[…] molte sostanze si abbandonano in primis perché lasciano postumi troppo forti oppure perché comportano esperienze troppo impegnative»[11].

La tendenza che si evidenzia per ciò che concerne la maggior parte delle persone intercettate durante la ricerca è un’inclinazione diffusa al “policonsumo”, inteso come uso simultaneo, alternato o sequenziale di più sostanze[12]. Benché nel corso della ricerca si siano potute incontrare delle costanti nelle narrazioni di alcuni interlocutori e interlocutrici relativamente alle modalità d’uso delle sostanze, è importante sottolineare che le traiettorie di consumo possono variare per i singoli a seconda delle occasioni, dando luogo a modalità di utilizzo che suggeriscono una coesistenza tra consumo pianificato e consumo spontaneo e non pianificato (Hunt et al. 2009: 3).

Il desiderio di sperimentare le sensazioni frutto anche dell’uso di sostanze è apparso spesso connesso alla volontà di vivere situazioni condivise che uniscano “il gruppo di amici”; occasioni che creano una memoria collettiva ripercorribile anche successivamente attraverso il ricordo sia di esperienze positive e divertenti, sia di malesseri e bad trip. È prevalentemente attraverso il gruppo (o la coppia) e i “suoi contatti” che si ha accesso alle sostanze e, a volte, si condividono le spese per il loro acquisto e le informazioni sulle esperienze correlate all’uso. In questo senso già Becker (1967) aveva sottolineato l’importanza delle dinamiche di scambio e confronto tra le esperienze dei consumatori nell’alimentare una “cultura” delle sostanze; una condivisione di significati e interpretazioni tali da permettere anche un passaggio di saperi utile a ridurre potenziali danni o rischi legati all’assunzione. Inoltre, è spesso all’interno dei gruppi che si riproducono e rafforzano immaginari su sostanze apprezzabili e disprezzabili attraverso narrazioni volte a mitizzarne alcune o stigmatizzarne delle altre. Secondo quanto emerso nel corso della ricerca le dinamiche di gruppo (o di coppia) si modellano e sono modellate anche dal tipo di sostanze utilizzate, ad esempio nel caso della cocaina alcuni frequentatori hanno più volte ricordato gli effetti connessi alle opportunità che tale sostanza offre di «prolungare la serata» e «reggerne i ritmi». In tal modo la sostanza regola in alcuni casi l’andamento e la durata del divertimento con la conseguenza frequente di escludere chi sceglie di non assumerla.

In alcuni casi, all’interno del gruppo (o della coppia), si diventa punto di riferimento per l’acquisto, guadagnando qualche vantaggio - economico e/o relazionale - dal proprio ruolo di “broker”. In questo senso appare evidente che il piacere non è l’unico “guadagno” frutto dell’esperienza di consumo. Questa sembra articolarsi in maniera complessa richiamando anche altre dimensioni: dall’attribuzione di ruoli e identità riconosciute nel gruppo, alla sperimentazione di esperienze ritenute fondamentali anche da un punto di vista della costruzione e della narrazione identitaria del singolo, alla creazione di legami - attraverso la condivisione della sostanza - che si inscrivono in una prospettiva di accrescimento del proprio capitale sociale (Bourdieu 1980).

Strategie di divertimento e interventi di limitazione dei rischi

Secondo quanto è stato possibile osservare l’uso di sostanze si modella su ed è plasmato dal contesto specifico in cui avviene. In questo senso è fondamentale sottolineare l’importanza di codici formali e informali condivisi che condizionano il comportamento e le scelte (individuali e di gruppo) e che contribuiscono alla costruzione di una maggiore o minore consapevolezza di ciò che in un dato ambiente specifico è legalmente e/o socialmente accettato e ciò che non lo è. Il timore di incorrere in controlli e sanzioni legali incide ad esempio sui tempi e modi di utilizzo delle sostanze: in alcuni casi gli intervistati hanno rivelato che, piuttosto che buttare via la sostanza per evitare di essere scoperti all’ingresso di un locale, l’avrebbero assunta immediatamente (spesso in concomitanza con altre) o avrebbero comunque tentato di entrare rischiando. Allo stesso tempo un numero residuo di frequentatori, prevalentemente per la paura dei controlli della polizia stradale, ha dichiarato di aver limitato il consumo di alcol e di altre sostanze o di averlo regolato “funzionalmente” considerando l’orario prescelto per il ritorno verso casa.

Dalle osservazioni è emerso che le sostanze più consumate sono alcol, tabacco e cannabis, utilizzate nella maggior parte dei casi anche quotidianamente o settimanalmente, secondo quanto riportato dagli intervistati[13].Rispetto all’uso di alcol e cannabis (e, a volte, anche di cocaina) sono emerse pratiche diffuse di prepartying-pregaming (LaBrie et al. 2012: 962), dettate sia dal piacere di condividere un momento costitutivo del – e propedeutico al – divertimento, sia dalla necessità di risparmio economico. Si beve, dunque, prima di uscire di casa o mentre si attende di entrare in un locale o arrivare a un evento, «ci si carica prima di entrare», citando le parole di alcuni degli interlocutori, a volte anche con “bottiglioni” preparati in casa. Queste pratiche sono risultate condizionate, oltre che dalla ricerca del piacere, anche dai costi preventivati per la serata e dalla potenziale presenza dei servizi di sicurezza e controllo. Inoltre, il costo dell’acqua, in alcuni locali ritenuto eccessivamente alto da parte dei frequentatori, spinge a scegliere di spendere quasi esclusivamente per bevande alcoliche, incidendo quindi in maniera sensibile sui consumi e sul mood dell’evento. Anche per questo, in tali contesti, la distribuzione di acqua da parte dei servizi di RDD/LDR sembra rispondere a una necessità fondamentale, stando a quanto è emerso dall’osservazione e a quanto riportato da frequentatori e frequentatrici delle serate ed eventi.

Quanto appena accennato ci aiuta a mettere a fuoco la complessità che caratterizza i contesti in cui si trovano a lavorare i servizi di RDD/LDR, non solo per le condizioni spesso differenti e non scontate in cui il servizio si trova ad agire ma anche per la grande eterogeneità di frequentatori che li animano. La grande forza delle équipe si è espressa proprio in questa capacità peculiare di “essere parte del contesto”, conoscendo i propri interlocutori e, in parte ma non sempre, guadagnandone la fiducia. Tale fiducia è frutto di un lavoro costruito nel tempo da operatori e operatrici: maggiore è il “grado di confidenza” che il servizio stabilisce con i contesti, i suoi frequentatori e la gestione del locale/evento[14], maggiori sono le probabilità che l’intervento possa esprimersi in tutta la sua efficacia. La grande flessibilità che caratterizza tali servizi si esprime anche nelle competenze delle équipe di modellare il lavoro continuamente, adattando anche strumenti e materiale informativo a disposizione a seconda del tipo di setting in cui si opera, come osservato anche da altre esperienze in ambito internazionale (Valente et al., 2018: 204). Ciò significa poter distinguere l’offerta e la modalità di intervento necessarie in una serata da aperitivi da quelle utili negli eventi come, ad esempio, i free party. Nonostante la ricerca abbia evidenziato nel complesso una scarsa conoscenza dei servizi di RDD/LDR da parte di coloro che frequentano serate e eventi, le loro metodologie e interventi sono risultati sempre apprezzati.

Infine, vale la pena ricordare che alcuni, ma non tutti, i servizi offrono la possibilità di analizzare il contenuto delle sostanze tramite lo strumento del drug checking, molto apprezzato dai frequentatori degli eventi benché poco conosciuto. Quest’ultimo si è rivelato fondamentale, non solo per le sue funzioni e finalità pragmatiche, ma anche perché al momento del suo utilizzo ha offerto l’occasione di aprire spazi e momenti di dialogo efficaci tra servizi e frequentatori. Purtroppo, non si tratta di un’offerta costante e uniforme nel quadro dei servizi osservati, per motivi connessi alla gestione del budget e alle scelte di indirizzo dei progetti che a volte sono influenzate anche da potenziali problemi legali – correlati alla manipolazione delle sostanze – che questo tipo di offerta solleverebbe (Brunt 2017:14).

Conclusioni

Come già illustrato, il poco tempo a disposizione e soprattutto i molti territori interessati dall’indagine rendevano il lavoro di consulenza particolarmente complesso. Il progetto è stato quindi pianificato in maniera sperimentale tentando di mettere in campo quella creatività e quella flessibilità delle quali alcuni autori e alcune autrici (Riccio 2016; Portis, D’ambrosio 2019) hanno sottolineato l’importanza in ambito applicativo, soluzioni proposte nella piena consapevolezza di star facendo anche scelte metodologicamente rischiose. Chiaramente, per innescare una collaborazione più efficace tra tutte le professionalità in campo sarebbe stato necessario un coinvolgimento diverso e più approfondito di servizi e ricercatori, fin dalle prime fasi di progettazione.

Le strategie adottate dai ricercatori, orientate in primis a organizzare e pianificare l’intera attività di ricerca come lavoro d’équipe, ma che prevedesse inoltre anche una partecipazione attiva dei professionisti dei servizi, hanno permesso di affrontare alcune delle sfide che da subito si sono presentate. Gli scambi con i coordinatori e gli operatori dei progetti, sia dai primi momenti di confronto sia soprattutto durante le “missioni etnografiche” nei territori interessati della ricerca, hanno permesso di cogliere il loro punto di vista sulle dinamiche e sui processi che caratterizzano campi e contesti di intervento. Tali prospettive, messe in relazione e fatte dialogare con le percezioni sui servizi condivise dai frequentatori degli eventi ai quali i ricercatori hanno preso parte, hanno consentito di far emergere i punti di forza dell’operato dei professionisti e le sfide che sono chiamati ad affrontare quotidianamente.

Dal punto di vista metodologico, la strategia di coinvolgere gli operatori delle differenti équipe nella ricerca qualitativa è stata la parte più complessa ma ha rivelato anche alcune potenzialità. Pur nella consapevolezza dei limiti che tale scelta avrebbe comportato, ciò ha consentito di coinvolgere un maggior numero di consumatori di sostanze e frequentatori di eventi ai quali non sempre i ricercatori avrebbero potuto partecipare data la loro dislocazione territoriale.

Gli esiti di tale sperimentazione hanno rivelato luci e ombre. Non tutti i servizi, infatti, si trovavano nella condizione di poter investire tempo ed energie in un tipo di collaborazione come quella ipotizzata dai ricercatori, forse in maniera un po’ troppo ottimista. Tuttavia, l’esperienza di collaborazione, come riportato da alcune e alcuni dei professionisti coinvolti, ha rappresentato anche l’opportunità di confrontarsi con lo sguardo “esterno” dei ricercatori, di mettersi alla prova nella realizzazione delle interviste valorizzando una prospettiva riflessiva finalizzata al miglioramento dei progetti. Il coinvolgimento nella ricerca si è rivelato dunque una fertile occasione per riflettere su se stessi, sul servizio e sui fenomeni osservati, a fronte di un quotidiano frequentemente schiacciato sull’operatività e sull’emergenza.

Infine, vorremmo ricordare che la collaborazione è stata in parte anche agevolata dal fatto che la postura di alcuni degli operatori come anche la “natura” dei servizi stessi, costruite sulla tensione all’a-specificità, alla flessibilità e all’approccio non giudicante, costituissero dei ricchi punti di contatto con e per il lavoro di chi conduceva l’indagine (Nistri 2020). Come abbiamo accennato, la flessibilità richiesta alla maggior parte dei servizi per svolgere un lavoro efficace si orienta su pratiche di osservazione e accompagnamento dei e nei contesti che può dialogare in maniera fertile con la prospettiva etnografica di chi fa ricerca sul campo. Inoltre, poiché in alcuni casi i servizi accolgono all’interno delle proprie équipe professionisti e professioniste che frequentano o hanno frequentato per interesse personale i contesti di intervento, la ricerca ha potuto assumere in parte le forme di una peer research. Grazie a tale metodologia, sebbene limitata per alcuni aspetti, l’indagine ha così coinvolto gli operatori nella veste di ricercatori peer che «sono già riconosciuti come membri della comunità […]» (Giuffrè 2016: 143); una condizione che, benché non fosse sempre del tutto rispettata, ha concesso alcuni vantaggi derivanti dalla prossimità di mondi e di esperienze che caratterizzava in alcuni casi la relazione tra équipe e mondo del loisir.

L’indagine ha permesso, in sintesi, di osservare e far emergere gli stili, le tipologie e le modalità d’uso di sostanze incontrati nell’ambito dei luoghi del divertimento, sebbene in maniera frammentaria a causa del poco tempo a disposizione e dei molti ed eterogenei contesti di ricerca. A tal proposito, va sottolineato che se da un lato questo ha richiesto una grande elasticità nel condurre missioni etnografiche puntuali, spesso pianificate con poco preavviso (come, ad esempio, nel caso dei free party che risentono di un’inevitabile “precarietà”) dall’altro, tale modalità di indagine, ha comportato una minore organicità nell’analizzare i processi in atto nei singoli contesti. Per progettare una ricerca più metodica volta ad esplorare tali dimensioni in profondità sarebbe stato più opportuno concentrarsi su un’unica realtà territoriale dove condurre un’indagine etnografica continuativa[15].

La collaborazione ha inoltre permesso di restituire un ricco e più organico quadro relativo ad alcuni aspetti del lavoro dei servizi di riduzione del danno e limitazione dei rischi, del loro operare nei contesti e di come vengono percepiti da chi partecipa agli eventi, oltre a consentire di cogliere alcune specificità del modus operandi delle équipe osservate, mettendone in risalto continuità e discontinuità.

Bibliografia

Becker, H. S. 1967. History, culture and subjective experience: An exploration of the social bases of drug-induced experiences. Journal of Health and Social Behavior, 8 (3): 163-176.

Bonetti, R. 2018. Introduzione. Pratiche di collaborazione e co-apprendimento come setting di trasformazione e progettazione sociale. Antropologia Pubblica, 4 (2): 23-36.

Bourdieu, P. 1980. Le capital social. Notes provisoires. Actes de la recherche en sciences sociales, 31: 2-3.

Brunt, T. M. 2017. Drug checking as a harm reduction tool for recreational drug users: opportunities and challenges, Background paper commissioned by the EMCDDA for Health and social responses to drug problems: a European guide. https://www.emcdda.europa.eu/document-library/drug-checking-pill-testing-harm-reduction-tool-recreational-drug-users-opportunities-and-challenges_en (consultato in data 07/05/2021).

Calafat, A, Bohrn, K., Montserrat, J., Kokkevi, A., Maalsté, N., Mendes, F., Palmer, A., Sherlock, K., Simon, J., Stocco, P., Sureda, P., Tossmann, P., Van de Wijngaart, G., Zavatti, P. 1999. Night Life In Europe and Recreative Drug Use. Sonar 98. Valencia. Martin Impresores S.L.

http://www.irefrea.eu/uploads/PDF/Calafat%20et%20al_1999_SONAR%2098.pdf (consultato in data 20/04/2021).

Colajanni, A. 2012. «Note e riflessioni sulla consulenza antropologica», in Il mestiere dell’antropologo. Esperienze di consulenza tra istituzioni e cooperazione allo sviluppo. Declich, F. (a cura di). Roma. Carocci: 37-49.

Declich, F. 2012. «Introduzione. La consulenza antropologica tra istituzioni internazionali e organizzazioni non governative», in Il mestiere dell’antropologo. Esperienze di consulenza tra istituzioni e cooperazione allo sviluppo. Declich, F. (a cura di). Roma. Carocci: 7-35.

Forsythe, D.E. 1999. “It's Just a Matter of Common Sense”: Ethnography as Invisible Work. Computer Supported Cooperative Work, 8: 127-145.

Giuffrè, M. 2016. Antiziganismo e pratica etnografica. Riflessioni, rappresentazioni e contro-narrazioni. Lares, 82 (2):133-160.

Hunt, G.P., Evans, K., Kares, F. 2007. Drug Use and Meanings of Risk and Pleasure. Journal of Youth Studies, 10 (1): 73-96.

Hunt, G.P., Bailey, N., Evans, K., Moloney, M. 2009. Combining different substances in the dance scene: enhancing pleasure, managing risk and timing effects. Journal of Drug Issues, 39 (3): 495-522.

LaBrie, J. W., Hummer, J. F., Pedersen, E. R., Lac, A., Chithambo, T. 2012. Measuring college students' motives behind prepartying drinking: Development and validation of the prepartying motivations inventory. Addictive Behaviors, 37 (8): 962-969.

Lenzi Grillini, F. 2019. L’antropologia in azione. Esperienze Etnografiche in America Latina e Italia fra riflessioni metodologiche e prospettive applicative. Roma. Cisu.

Marabello, S. 2016. «Violenza, genere e antropologia applicata. Rifrazioni e tensioni metodologiche», in Going Public. Percorsi di antropologia pubblica in Italia. Severi, I. Landi, N. (a cura di). Bologna. CIS, Università di Bologna: 89-108.

Nistri, G. 2020. Paradigmi di prossimità. Esperienze etnografiche nei servizi di riduzione del danno. AM. Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, 50: 451-480.

Olivier De Sardan, J.P. 2008 [1995]. Antropologia e sviluppo. Saggi sul cambiamento sociale. Milano. Raffaello Cortina Editore.

Olivier de Sardan, J.P. 2009. «La politica del campo. Sulla produzione dei dati in antropologia», in Vivere l’etnografia. Cappelletto, F. (a cura di). Firenze. Seid: 27-63.

Parker, H., Williams, L., Aldridge, J., 2002. The Normalization of ‘Sensible’ Recreational Drug Use: Further Evidence from the North West England Longitudinal Study, Sociology, 36 (4): 941-964.

Page, B.J., Singer, M. 2010. Comprehending Drug Use: Ethnographic Research at the Social Margins. New Brunswick, New Jersey and London. Rutgers University Press.

Pizza, G., Ravenda, A. 2016. Esperienza dell'attesa e retoriche del tempo. L’impegno dell’antropologia nel campo sanitario. Antropologia Pubblica, 2 (1): 29-46.

Portis, L., D’Ambrosio, R. 2019. Negoziazioni, dilemmi, opportunità fra antropologia e promozione della salute. Antropologia Pubblica, 5 (1): 67-89.

Riccio, B. 2016. «Antropologia applicata, politiche migratorie e riflessività professionale», in Going Public, Percorsi di antropologia pubblica in Italia. Severi, I., Landi, N. (a cura di). Bologna. CIS, Università di Bologna: 203-218.

Tellier, P. 2002. Club drugs: is it all ecstasy? Pediatric Annals 31 (9): 550-556.

Valente, H., Pires, C.V., Carvalho, H. 2018. «Nightlife as an Educational setting: the Harm Reduction Perspective», in Exploring Nightlife: Space, Society and Governance. Nofre, J., Eldridge, A. (eds). London. Rowman and Littlefield: 192-206.

Williams, L., Parker, H. 2001. Alcohol, cannabis, ecstasy and cocaine: Drugs of reasoned choice amongst young adult recreational drug users in England. International Journal of Drug Policy,12 (5-6): 397-413.

Zinberg, N.E. 1984. Drug, Set, and Setting: The Basis for Controlled Intoxicant Use. New Haven. Yale University Press.



[1] L’analisi delle sostanze è condotta sia attraverso il metodo colorimetrico, più diffuso e che lavora attraverso l’uso di reagenti, sia tramite la spettroscopia Raman, che offre risultati più precisi e osservata solo nel caso di un servizio del nord Italia.

[2] La consulenza è stata commissionata nel Dicembre del 2018 dal Coordinamento Nazionale che riunisce la maggior parte dei servizi di riduzione del danno presenti sul territorio nazionale. La ricerca etnografica si è svolta tra fine Marzo e Luglio del 2019.

[3] Termine mutuato dal linguaggio dei professionisti della Riduzione del danno/Limitazione dei rischi.

[4] Il workshop era stato inizialmente progettato dai ricercatori su tre giorni, un tempo ritenuto necessario per avviare un lavoro di scambio e confronto efficace con alcuni degli operatori e coordinatori dei differenti progetti. Dalla committenza è poi arrivata la richiesta di un ridimensionamento, per motivi organizzativi, a una unica giornata di lavoro.

[5] È stato sempre mantenuto l’anonimato sia delle persone intervistate sia dei locali, luoghi ed eventi in cui sono state condotte le osservazioni etnografiche.

[6] Se da un lato un tale coinvolgimento di operatori e operatrici ha permesso di arricchire il materiale prodotto dai ricercatori, dall’altro è bene sottolineare che la maggior parte delle interviste sono state svolte dagli etnografi nella piena consapevolezza del fatto che queste non potessero prescindere dal lavoro di osservazione e riflessione, oltreché dall’esperienza sul campo e dalla formazione professionale in ambito antropologico. Come osserva Bonetti sulla scorta di Forsythe (1999: 129) «se l’etnografia può sembrare semplice e immediata, di fatto, il lavoro di etnografi inesperti tende a trascurare cose che gli antropologi considerano parti importanti del processo di indagine e che sono invisibili a un occhio non allenato […] Per diventare un ricercatore competente sul campo c’è bisogno di formazione e pratica; saper effettuare un’attenta raccolta e analisi dei dati per produrre risultati affidabili non è cosa semplice o banale» (Bonetti 2018: 27).

[7] Inizialmente i committenti della ricerca avevano contattato un solo ricercatore che, alla luce della complessità della indagine da svolgere, ha scelto di sviluppare il progetto in équipe. Ricercatore e ricercatrice coinvolti condividevano esperienze pregresse nell’ambito dello studio delle dipendenze.

[8] In questo caso le parole di Jean-Pierre Olivier de Sardan si riferiscono nello specifico al modello ECRIS (Enquête collective rapide d’identification des conflits et des groupes stratégiques) elaborato insieme a Thomas Bierschenk, e strutturato attraverso l’alternanza fra fasi individuali e fasi collettive di ricerca.

[9] Le interviste pensate per essere condotte da operatori e operatrici erano più strutturate rispetto a quelle dei ricercatori.

[10] Gli stand infopoint venivano allestiti dalle équipe di RDD/LDR secondo strategie flessibili e mirate al tipo di evento: quando possibile e necessario era presente anche un’area chill-out di “decompressione” dotata di materassi e sedute utili ad accogliere frequentatori e frequentatrici della serata che avessero avuto bisogno di “prendersi una pausa” oppure “riprendersi”. In alcuni casi erano presenti infermieri o medici a comporre l’équipe o il servizio di drug checking finalizzato all’analisi delle sostanze per i consumatori e le consumatrici interessate o la possibilità di eseguire l’alcol test.

[11] F. 28 anni, intervista anonima in un club di un grande città del nord Italia. Come emerso dalle interviste, alcune tra le principali variabili che interagiscono con le scelte e gli stili di consumo sono: vita universitaria e/o lavorativa, professione (e stress ad essa correlato), abitare in famiglia o da soli, in un grande o piccolo centro, disponibilità economica e frequentazioni del momento. Elementi che confermerebbero un uso ricreativo di sostanze spesso regolato anche in base agli impegni del quotidiano lavorativo (Williams et al. 2001; Parker et al. 2002; Hunt et al. 2007).

[12] Definizione adottata dall’Osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze.

[13] Nel corso della ricerca gli interlocutori e le interlocutrici hanno riportato l’uso delle seguenti sostanze: alcol, tabacco, cannabis, cocaina, ketamina, MDMA, amfetamine, LSD, DMT, popper, GHB/GBL, 2C-B, Salvia divinorum, Mescalina, Psilocibina-Funghi allucinogeni, Benzodiazepine, Lean, Oppio, Eroina. Per necessità di sintesi in questa sede non è possibile entrare maggiormente nel dettaglio.

[14] È importante ricordare che non sempre i servizi sono posti nelle condizioni di poter creare una relazione costante e continuativa con i contesti di intervento e i loro frequentatori anche per ragioni connesse alla natura degli eventi, al budget dei progetti come anche alla disponibilità di organizzatori e gestori.

[15] Come ricordato da Page e Singer (2010) gli studi sull’uso di sostanze hanno visto, dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento, l’impiego di équipe di antropologi singolarmente impegnati in differenti città degli Stati Uniti per indagini di tipo etnografico. In alcuni di questi casi gli etnografi, dopo essersi confrontati e aver scelto un protocollo comune, svolgevano osservazioni e interviste nei singoli contesti. Tali etnografie erano spesso previste nell’ambito di programmi di studio e prevenzione realizzati prevalentemente nel campo della tossicodipendenza. Da alcuni anni anche l’uso “ricreativo” di sostanze si trova al centro di una serie di studi etnografici multi-situati realizzati anche in contesti europei (Calafat et al. 1999).