Integrazione o interazione? Una proposta applicativa

La tragica scomparsa nelle Terre Alte trentine dell’imprenditrice e allevatrice etiope Agitu Ideo Gudeta

Marta Villa

Università degli Studi di Trento

Indice

I fatti
Una figura controcorrente
Voci
Integrazione o interazione? Una proposta attorno alla quale discutere
Bibliografia

I fatti

Frassilongo, 29 dicembre 2020, alba. In una casa del paese la luce è già accesa da qualche tempo; una giovane imprenditrice, allevatrice di capre e produttrice di alimenti e cosmetici, si sta preparando il caffè: l’attende il lavoro in stalla, la mungitura dei suoi animali e le quotidiane faccende necessarie a tenere viva una fattoria anche in pieno inverno. La situazione italiana e globale non è semplice, siamo ancora in piena pandemia da Covid-19, iniziata nella primavera dello stesso anno e, con una apparente sospensione estiva, tornata a imperversare nei mesi autunnali.

La pandemia ha messo in ginocchio molte attività imprenditoriali, tuttavia questa tenace giovane donna è riuscita ad aprire dei punti vendita per i suoi prodotti nel centro del capoluogo (in piazza Venezia a Trento nel giugno 2020), e nel vicino territorio sudtirolese (in una floricoltura a Bolzano nell’ottobre 2020). Le giornate, infatti, come lei stessa raccontava, erano piene: le capre a cui badare con tutte le loro esigenze, la presenza in città per la vendita sia in negozio sia al mercato o ai mercati, le consegne a domicilio, in tempo di chiusure e zone rosse.

Agitu Ideo Gudeta veniva descritta da amici, conoscenti e clienti come una persona instancabile, sempre pronta a inventarsi nuove strategie per salvaguardare il territorio dove risiedeva con le sue capre e capace di resistere in una economia, quella post-capitalistica, che certamente non favorisce gli agricoltori o gli artigiani locali, le piccolissime e piccole imprese, i prodotti tipici o tipicissimi, come erano i suoi.

Agitu Ideo Gudeta era.

Siamo costretti a parlare al passato perché oggi Agitu o Agi, come in tanti la chiamavano, non c’è più. Non saremmo qui a raccontare in questo modo questa storia, che dal punto di vista della nostra disciplina, quella dell’antropologia applicata, se Agi fosse ancora viva. La brutalità della sua morte, che ha mosso grandemente gli animi delle persone che la conoscevano e che non la conoscevano, fatto ancora più interessante per noi, ha segnato le cronache di quei giorni, non solo quelle locali, ma quelle nazionali e internazionali. Il paese di Frassilongo all’inizio della Valle dei Mocheni è salito alla ribalta delle cronache e anche in luoghi molto distanti il suo nome è rimbalzato da un telegiornale all’altro, è comparso in diversi siti internet e social network[1].

Per comprendere meglio la figura di questa imprenditrice è necessario ricostruire anche il tragico epilogo della sua vita: Agitu era nata in Etiopia, ad Addis Abeba, il 1° gennaio 1978. Aveva condotto i suoi studi in Italia, si era laureata in Sociologia all’Università degli Studi di Trento ed era tornata nella terra nativa. Lì aveva contrastato, come aveva raccontato in numerose interviste rilasciate a quotidiani e riviste italiane, il land grabbing che il suo paese stava subendo da tempo: era stata così costretta a chiedere asilo politico, come rifugiata, a causa delle minacce che aveva ricevuto dal governo guidato dal Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF) andato al potere dopo il cambio di governo del 1991.

Ero impegnata[2] con un gruppo di studenti contro il land grabbing, denunciavamo l’illegalità degli espropri forzati dei terreni agricoli, voluti dal governo a spese dei contadini locali per favorire le multinazionali che li usano per coltivare cereali e monocolture destinate all’esportazione. L’Etiopia è un paese ancora agricolo e queste politiche del governo riducono alla fame i contadini che sono costretti a lavorare per le multinazionali per 85 centesimi di dollari al giorno […] Alcuni miei compagni sono stati arrestati, altri sono spariti e di loro non se ne sa ancora niente. A un certo punto ho capito che per me era venuto il momento di andarmene. Mio padre era un professore all’università e aveva capito che anche per lui era pericoloso rimanere nel paese (Internazionale 7 marzo 2017).

Nel 2010 approda in Italia e si reca subito in Trentino, dove ha ancora degli amici, per cercare di ricostruirsi una vita: incomincia a lavorare per mantenersi (aveva solo 200 euro in tasca all’arrivo, come ricordava spesso), ma ha un sogno nel cassetto: allevare capre nel rispetto dell’ambiente. Inizia così la sua lenta, ma sempre più di successo, attività di imprenditrice agricola: come vedremo nei paragrafi successivi, riesce a partire con un piccolo gregge di 15 capre per arrivare ad averne 180, di diverse tipologie, tra cui 80 di una particolare razza autoctona, la Pezzata Mochena. Alleva, produce i prodotti derivati dal latte e li vende. Nel frattempo comincia a far conoscere la sua storia. Crede molto nella solidarietà e si prodiga per dare aiuto ad altri rifugiati come lei.

Ma a Frassilongo alla fine di dicembre dell’anno scorso il suo sogno viene infranto: un suo lavorante, Adams Suleimani, di origine ghanese, anch’egli migrato dall’Africa per cercare un lavoro che gli permettesse di mantenere la sua famiglia, la colpisce alla testa con un martello, uccidendola. Agi da tempo conosceva Adams, in quanto nei mesi precedenti aveva già lavorato per lei come custode delle capre. Secondo quanto raccontato nella confessione resa al magistrato di Trento, il gesto di Adams è stato conseguente a una lite scoppiata per una mensilità non pagata e di cui lui necessitava per sostenere i propri figli. Adams era rimasto nella stalla con le capre, incapace di muoversi: così lo hanno trovato i carabinieri chiamati da alcuni vicini, a loro volta allertati da alcuni clienti che non avevano visto comparire Agitu a un appuntamento con loro. Entrati in casa dopo averla chiamata diverse volte hanno trovato la donna esanime sul pavimento.

La notizia attraverso i social network si diffonde subito sia in Trentino, dove la giovane donna è conosciutissima, sia nel resto d’Italia. In moltissimi utilizzano la sua bacheca social per esprimere parole di cordoglio, di tristezza e di rabbia per questa vicenda. Si apre immediatamente una raccolta fondi per sostenere l’attività della donna e per le sue capre: si fa avanti un allevatore locale che le prende subito in custodia. Qualche giorno dopo le capre vengono affidate a una giovane ragazza, Beatrice Zott, di 19 anni, per conto della Federazione allevatori.

Alla fine (20 gennaio 2021) le capre vengono divise tra i diversi allevatori della zona per permetter loro di superare l’inverno e in attesa che la famiglia Gudeta (fratelli e sorelle) si pronuncino sul patrimonio della sorella. La giovane ragazza mochena affida il suo pensiero a Facebook:

Le capre di Aghi sono state portate via. Numerosi allevatori hanno preso gli animali in affidamento... Ci si affeziona in così poco tempo… È stato triste vederle su un camion e vederle separare… Auguro agli animali il meglio, ai capretti la giusta e curata attenzione, auguro che trovino qualcuno che si affezioni che provi entusiasmo quando le vede con la pancia tonda, sazie! Mi è stato chiesto di accudire gli animali fin quando non si sarebbe presa una decisione... Ed infine mi hanno chiesto di prenderle in affidamento, ma non posso permettermelo, a mie spese non avrei potuto… Spero di rivederle sulle montagne e sui pascoli della valle dei Mocheni, dove sono nate, dove anche loro hanno oggi lasciato un pezzo di cuore (Zott 2021).

La raccolta fondi in pochissime ore raggiunge cifre considerevoli. I parenti di Agitu arrivano in Italia, attraverso la mediazione delle autorità politiche italiane e dell’ambasciatore etiope, e ricevono in consegna il corpo della congiunta al fine di riportarlo in Etiopia per la sepoltura. A Trento si svolge una cerimonia al cimitero monumentale per far sì che gli amici e i conoscenti diano un ultimo saluto, prima del funerale che sarà tenuto ad Addis Abeba, come annunciato dalla sorella Bethelihem Ideo Guideta:

Se tutto va bene, partiremo lunedì. Martedì (12 gennaio 2021) sono previsti i funerali ad Addis Abeba, la città in cui Agitu è nata e in cui sarà sepolta. Sarà presente anche la presidente dell’Etiopia per una grande cerimonia di Stato. Nel nostro paese d’origine Agitu è considerata un’eroina e la notizia della sua morte ha avuto una vasta eco. Anche noi siamo sorpresi da questa reazione, da questa volontà dell’Etiopia di ricordare nostra sorella in maniera tanto grande. Siamo sorpresi dalla vicinanza della nostra gente (Il Trentino, 10 gennaio 2021).

Una figura controcorrente

L’idea di scrivere questo intervento è nata da un colloquio telefonico avuto con l’antropologo Marco Bassi. Negli anni in cui Marco ha lavorato per l’Università di Trento mi era sembrato importante che parlasse con questa donna, le cui origini e la cui storia rimandavano al suo campo di specializzazione — l’Etiopia e gli Oromo — sul quale Marco era più volte intervenuto con interventi pubblici a difesa dei diritti umani (Villa 2016: 94). Avevo conosciuto Agitu nell’ambito del mio lavoro di ricerca sull’alimentazione, le tradizioni agricole e il cibo, e ho approfittato di una conferenza a Ronzo Chienis sulle produzioni biologiche e sulla nascita del biodistretto in Val di Gresta per presentargliela. Nella nostra telefonata è nata l’idea di ricostruire la controversa vicenda umana di questa ragazza, senza le apologie che caratterizzavano un discorso mediatico che l’aveva trasformata in un simbolo di integrazione e imprenditorialità femminile. Agitu aveva trovato nel Trentino una possibilità per valorizzare le sue conoscenze e le sue idee in campo agricolo. Nel 2014, quando la presentai a Marco, era già ben inserita nel territorio e già aveva reso la sua attività un interessante modello da promuovere e da studiare. Veniva invitata a parlare della sua storia ed era fermamente convinta che la produzione biologica e la valorizzazione di razze animali autoctone potesse essere una prospettiva per il futuro capace di proteggere il fragile ambiente, era una “nuova montanara” (Corrado-Dematteis et al. 2014), ma cosciente del suo ruolo di potenziale facilitatrice per i cambiamenti.

Penso che sia importante allevare animali del territorio, non ha senso andare a cercare razze che non siano già adattate all’ambiente, fai solo fatica. […] Ho imparato dalle popolazioni pastorali della mia terra, l’Etiopia, a prendermi cura degli animali. Vedi qui le mie capre, hanno dei nomi di persona, non sono solo dei numeri che hanno stampati sui cartellini. Questo mi piacerebbe far capire: sono esseri con una dignità, le tratto come fossero dei miei famigliari, loro mi aiutano a vivere e io garantisco loro benessere[3].

Non era infatti facile essere una donna, rifugiata, istruita, allevatrice in un territorio che ha un passato patriarcale, una mentalità, come sottolineato anche dagli studi storici e sociologici (Grandi 2007), per la quale è solitamente l’uomo che si prende cura degli animali e dell’agricoltura. Le donne imprenditrici in questo settore, contadine, allevatrici o pastore, sono comparse solo da pochissimi anni. Agitu infatti ha incontrato, soprattutto all’inizio, diverse difficoltà e aveva sperimentato diverse vallate del Trentino, per approdare alla fine alla Valle dei Mocheni, abitata da una delle tre minoranze storico-linguistiche presenti in Trentino. Aveva tenacia e forse questa caratteristica del suo carattere — sottolineata da diversi interlocutori sia in privato durante la raccolta dati per le mie ricerche sul biologico in Val di Gresta, sia nello spazio pubblico della stampa o di incontri e conferenze — era stata a lei utile per riuscire a mantenere questo suo lavoro.

Accanto all’impegno in campo agricolo, Agitu continuava a mantenere alta l’attenzione sulla condizione dei rifugiati in generale e sulla particolare situazione etiope: era intervenuta infatti a momenti di riflessione e discussione all’Università di Trento, e partecipava a incontri organizzati nelle scuole superiori per raccontare cosa stesse succedendo sia alle popolazioni locali sia a chi le appoggiava nella protesta. Era stata anche intervistata nell’ambito di uno studio sull’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini (Mambretti-Kofler et al. 2017). Come dichiarato al Corriere della Sera (2020: 23) dal sociologo Andrea Mambretti:

Ci stavamo occupando dello spopolamento delle zone montane e stavamo cercando storie di uomini e donne che resistono o che iniziano attività in queste zone. Ci siamo imbattuti anche nel caso di alcuni stranieri, tra cui Agitu che avevo conosciuto e incontrato più volte. Una storia interessante davvero: lei laureata in Sociologia che decide di rinnovare una antica tradizione familiare e di allevare capre. Ottiene alcuni terreni dei cosiddetti usi civici e comincia, sola e tenace, riuscendo dove altri avevano fallito.

Una parte della vicenda umana di Agitu può quindi essere inserita nel filone di studi che da qualche anno sta coinvolgendo diverse branche delle scienze umane riguardo immigrati stranieri, che interagiscono con il territorio delle zone alpine o appenniniche e con gli abitanti autoctoni, mettendo a disposizione il loro sapere e il loro lavoro (Dislivelli online, 2016; Dematteis-Di Gioia et al. 2018; Mambretti, Viazzo 2017).

La storia alpina di Agitu era iniziata in Vallarsa, dove aveva portato le sue prime 15 capre. Nel contempo lavorava per mantenersi. Dopo poco da questa valle orientale del Trentino meridionale si era spostata in Val di Gresta, a Valle San Felice, dove lavorava come barista, mentre teneva in gestione le capre di una anziana signora che le allevava da decenni. Pascolava i terreni di Nomeson e mungeva dapprima a mano e poi con la mungitrice elettrica, quando è riuscita ad aumentare il numero dei capi. In Val di Gresta era riuscita infatti ad affittare uno spazio dove aveva allestito un caseificio per produrre diverse tipologie di formaggi.

Nel frattempo aveva seguito anche corsi specifici all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e all’estero. Ha poi avuto la possibilità di ricevere in usufrutto dei terreni di uso civico da una ASUC[4] della Valle dei Mocheni. Questa possibilità la spinse a spostarsi di nuovo. Andò ad abitare presso la ex-canonica di una frazione di Frassilongo.

In tutte le sue esperienze trentine Agitu ha scelto come ambiente lavorativo situazioni territoriali non facili, valli minori, non densamente popolate e nemmeno dal forte richiamo turistico, dove la naturalità dell’ambiente era contraddistinta da selvatichezza e alta biodiversità.

Voci

Durante gli anni del mio lavoro di ricerca in provincia di Trento ho incontrato Agitu, le sue vicende e la sua non convenzionale presenza diverse volte. Ho ascoltato la sua voce in dieci occasioni (dal 2012 al 2017), visitando con lei i luoghi dove allevava le capre e dove produceva il formaggio (Val di Gresta e Valle dei Mocheni), andando a osservarla al mercato (Trento), dove si relazionava con clienti e amici. In tali occasioni avevo raccolto il suo pensiero attraverso interviste più o meno formali. Nel contempo avevo fatto ricerca antropologica su varie tematiche nei territori che lei aveva abitato, in particolare nella Val di Gresta e nella Valle dei Mocheni. Ho così avuto modo di interagire sia con persone che la stimavano come imprenditrice e che hanno sostenuto la sua battaglia per i diritti umani, sia con persone che avevano interagito con lei ma non ne avevano un ricordo positivo. Per un antropologo tutte le voci sono significative e l’integrazione delle une con le altre permette di aprire uno spiraglio sulla comprensione della realtà oggetto di studio. La sua figura dirompente e controcorrente non poteva raccogliere solo pareri consonanti ed entusiastici, ma era palese che avesse creato anche situazioni di contrasto e conflitto[5].

Mi ricordo quando è arrivata qui, lavorava al bar del paese, era strano vedere una ragazza nera da queste parti… Io e un mio amico andavamo spesso al bar al pomeriggio… La prima volta, lo ammetto, siamo rimasti un po’ così… Era stata assunta per dare una mano mi aveva detto un altro conoscente, diciamo che solo dopo un po’ ci siamo abituati[6].

Agi aveva dato un tratto caratteristico anche al bar dove aveva iniziato a lavorare. Molti la ricordano sempre sorridente e con una parola gentile come A., che mi aveva raccontato: «Entravi e ti salutava sempre a voce alta, con il sorriso, quello non mancava mai… alle volte ci ridevamo su perché tentava di imparare il dialetto e i più vecchiotti non la capivano, ma quelli si sa erano duri d’orecchie»[7].

Un altro testimone ricorda proprio i primi passi mossi dalla ragazza nella sua valle e mi aveva confidato qualche anno dopo:

Era venuta qui a cercare lavoro, me lo ricordo bene, io ero in piazza e lei chiedeva se ci fossero delle possibilità perché aveva avuto notizia che c’era un posto libero al bar, allora ci siamo messi a parlare e mi ha detto che avrebbe voluto allevare capre… Io le ho subito detto che c’erano delle capre in valle e che una signora le aveva e poteva certamente avere bisogno di una mano[8].

Ma non tutte le voci raccolte erano unanimi nel giudizio, un altro testimone mi disse:

Diciamo che non ha lasciato un bel ricordo qui, io conosco delle persone che ci sono rimaste male per il suo comportamento, mia zia mi ha detto che M. le aveva dato una mano appena arrivata e lei dopo un po’ andava in giro a parlare male di questa persona. Non sono chiacchiere perché anche io le ho sentite al bar, non sapeva che ero amico di questa signora e ne parlava male[9].

Il suo lavoro con gli animali è stato certamente importante e l’apertura del caseificio biologico “La capra felice” è stato interessante in una valle che da decenni aveva questa vocazione: «Il suo prodotto è molto buono, il latte di capra e i suoi prodotti derivati sono sempre più ricercati, soprattutto per via delle intolleranze. Ha delle buone idee che se saprà sviluppare potranno essere utili al territorio»[10].

In un altro contesto territoriale, Agitu si è inserita sempre con entusiasmo e voglia di fare. «All’inizio quando è arrivata qui era spaesata, ma determinata, io l’ho aiutata molto a creare dei contatti, dei legami, aveva tante capre e si sa che sono animali difficili, devi essere molto bravo a governarli»[11].

Infatti sono sorti alcuni problemi proprio riguardo la presenza delle capre, criticità che hanno assunto risvolti giudiziali: nel 2018 Agitu ricevette minacce, insulti e anche violenze fisiche sia per lei che per le sue capre[12]. Questi episodi la portarono a sporgere denuncia contro la persona che la stava perseguitando e a ottenere una sentenza favorevole[13].

Conosco la persona che è stata condannata e la sua ricostruzione è diversa, le capre avevano fatto dei danni alla sua proprietà, li ho visti con i miei occhi. Ha agito per rabbia certamente. Aveva appena sistemato e fatto un investimento, in poche ore si è visto rovinare il lavoro appena fatto[14].

Non è il solo, questo testimone, che si esprime in difesa del conoscente, infatti nell’ottobre 2018 diversi abitanti della zona avevano indirizzato una lettera pubblica in difesa del vicino di casa e avevano parlato di contro-narrazione e di una presa di posizione della stampa a senso unico[15]: nelle dichiarazioni si evince che all’inizio l’uomo e la sua compagna avevano aiutato Agitu appena arrivata in valle.

Un altro testimone mi aveva detto:

Anche nell’altra valle le capre invadevano i territori degli altri e le viti e i proprietari si arrabbiavano, me lo aveva anche raccontato lei, che conosco bene, con questi animali particolari non è semplice! In Trentino fino a un secolo fa era vietato l’allevamento di capre, quando passano fanno il deserto (ride)[16].

Anche lei mi aveva confessato che il lavoro non era sempre facile:

Le capre hanno una loro identità e indipendenza, non sempre è facile governarle, sono dolcissime ma anche testarde e se hanno fame mangiano e non ti ascoltano… Ogni giorno è un lento ma bellissimo addomesticamento, tu addomestichi loro ma loro addomesticano te. […] Non tutte le persone capiscono… sì mi è capitato di dover alzare la voce o difendermi perché le capre avevano mangiato troppo, ma è nell’ordine normale delle cose… sono sempre pronta a pagare gli eventuali danni[17].

Integrazione o interazione? Una proposta attorno alla quale discutere

Mentre mi accingevo a riflettere su come declinare questo articolo mi sono imbattuta in un interessante dialogo tra il giornalista Ezio Mauro e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky (Mauro, Zagrebelsky 2011). Ha attirato la mia attenzione una sezione di questa interazione tra i due intellettuali italiani, ossia l’esplicazione da parte del giurista torinese di alcune parole chiave anche della disciplina antropologica, quali separazione (e l’associato eventuale razzismo), integrazione e interazione.

Mi sono infatti chiesta se alla luce dei dati a nostra disposizione, sia quelli derivati dalla mia ricerca personale, sia quelli presenti in pubblicazioni e studi, la storia e l’operato di Agitu possa definirsi, come è stata da più parti indicata, come un simbolo di integrazione, oppure ci sia qualcosa di più profondo sotteso, come ad esempio il concetto di interazione.

Questa mia riflessione vorrebbe cercare di aprire un dibattito a questo proposito: per ora,infatti, mi limito a tracciare un’ipotesi di lavoro e a non formulare una risposta esaustiva.

Zagrebelsky definisce dapprima la separazione come una coesistenza senza convivenza.

Il pregiudizio del separatismo è che le culture siano e debbano essere identità spirituali chiuse e che le relazioni interculturali nascondano di per sé pericoli di contaminazione o contagio per la purezza in primo luogo della comunità di arrivo, ma anche di quelle in arrivo (Mauro, Zagrebelsky 2011: 104).

Il costituzionalista ravvisa nella storia occidentale che questa concezione si è manifestata o si possa manifestare in entrambe le direzioni: la paura unita all’insicurezza determina che chi arriva se ne stia per proprio conto. «Noi non cerchiamo contatti con loro e loro non li cercano con noi» (Mauro, Zagrebelsky 2011: 105). Certamente questo non è il nostro caso: come descritto nei paragrafi precedenti la storia dell’imprenditrice etiope non è certamente stata segnata dalla separazione. Il Trentino, terra che si auto-definisce accogliente, non ha mai palesemente rifiutato Agitu.

Il secondo modello, che qui ci interessa maggiormente, è quello integrazionista. In questo caso l’intellettuale torinese è molto duro nei nostri confronti e definisce l’integrazione come

la moneta corrente nei nostri discorsi, la parola con cui ci laviamo la coscienza. Mira alla società omogenea, in cui le differenze culturali si attenuino fino a scomparire. L’integrazione rinvia alla dinamica tra una cultura che integra e una che è integrata. […] è così fatalmente ideologia della cultura dominante (Mauro, Zagrebelsky 2011: 109)

e si richiama nella sua spiegazione all’antropofagia culturale di lévi-straussiana memoria (Lévi-Strauss 1960).

Ma se a quest’ultima cadesse la «g» e si iniziasse a parlare di interazionismo? Questa è la proposta generale di Zagrebelsky, che penso possa essere interessante da discutere anche in relazione alla storia di Agitu. Il cambio di prospettiva sarebbe grande e il costituzionalista potrebbe essere stato ispirato a formulare in questo modo ragionando attorno al concetto di intercultura: le culture entrerebbero in rapporto tra loro «per definire se stesse e la disponibilità a costruire insieme e imparare l’una dall’altra» (Mauro, Zagrebelsky 2011: 112-113). L’interazione permetterebbe un riconoscimento reciproco e sancirebbe per entrambe il diritto di esistenza senza mettere nessuna delle parti in gioco in una posizione di dominanza. Viene introdotto con questa parola anche un altro interessante concetto: quello di competitori-collaboratori nella ricerca dell’equilibrio.

I migranti stranieri che vengono ad abitare nelle Terre Alte potrebbero essere visti come dei collaboratori culturali? Penso di sì: le loro storie di vita (ne ho raccolte anche io alcune) manifestano la volontà di neo-popolare i paesi (Perlik 2011; Viazzo 2012), relazionarsi, imparare da questi territori e nel contempo di arricchire l’esperienza delle comunità che li ospitano con saperi culturali materiali e immateriali che portano con sé dai luoghi di provenienza (Osti, Ventura 2012; Bonato 2017). Nelle montagne italiane avviene una sorta di scambio tra interno ed esterno, tra soggettività e culture differenti (Mambretti-Kofler et al. 2017: 15), in un territorio laboratorio certamente fragile, ma nel contempo aperto più di altri alla scommessa sull’innovazione e lo sviluppo sostenibile.

Le diverse azioni dell’imprenditrice etiope possono essere racchiuse in questi due ultimi concetti, a cui soprattutto in questo periodo recente di crisi si è aggiunta anche la dimensione di resilienza: Agitu aveva occupato un vuoto (Viazzo, Zanini 2014) che si era creato in ogni ambito territoriale che ha sperimentato, aveva lavorato e costruito paesaggio e comunità attorno a sé stessa, il più delle volte sviluppando idee e proposte, aveva rivitalizzato luoghi che erano abbandonati, aveva valorizzato (come anche il caso dei pascoli di uso civico) ritagli di ambiente, che altrimenti sarebbero rimasti abbandonati o sotto-utilizzati.

Agitu Ideo Gudeta, senza apologie che non fanno del bene a nessuno, ma di nuovo creano dei partisan da una parte e dall’altra, montanara per scelta e non per forza (Mambretti 2016), potrebbe essere definita allora non come un bell’esempio di integrazione riuscita, ma come la protagonista di una storia di interazione, di volontà energiche manifestatesi in entrambe le parti in causa (lei e le comunità che ha attraversato) tese l’una e l’altra non a sopraffarsi o a rinchiudersi, ma a conoscersi, impararsi, cooperare e riemergere certamente più ricche. Questo forse era il sogno non detto di Agitu, un sogno che certamente era ancora in nuce e che potremmo studiare come antropologi, custodire e poi applicare.

Bibliografia

Bonato L. (a cura di) 2017. Aree marginali. Sostenibilità e saper fare nelle Alpi. Milano. Franco Angeli.

Corrado F., Dematteis G., Di Gioia A. (a cura di) 2014. Nuovi montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo. Milano. Franco Angeli.

Dematteis M., Di Gioia A., Mambretti A. 2018. Montanari per forza. Rifugiati e richiedenti asilo nella montagna italiana. Milano. Franco Angeli.

Grandi C. 2007. Donne fuori posto. Roma. Carocci.

Lévi-Strauss C. 1960. Tristi tropici. Milano. Il Saggiatore.

Mambretti A. 2016. Provinciali, montanari, forestieri. Appaesamento degli stranieri e riproduzione della socio-diversità nella provincia alpina. Lo Squaderno, 41: 51-54.

Mambretti A., Kofler I., Viazzo P. P. 2017. Per Forza o per scelta. L’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini. Roma. Aracne.

Mambretti A., Viazzo P. P. 2017. Per scelta e per forza, Migrazioni internazionali e mutamento culturale nelle Alpi italiane. Zapruder, 40: 40-55.

Mauro E., Zagrebelsky G. 2011. La felicità della democrazia: un dialogo. Bari-Roma. Laterza.

Osti G., Ventura F. (a cura di) 2012. Vivere da stranieri in aree fragili: l’immigrazione internazionale nei comuni rurali italiani. Napoli. Liguori.

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Corriere della Sera, 31 dicembre 2020, Una imprenditrice coraggiosa e preparata contro gli stereotipi: 23.

Risorse online (ultima consultazione il 29 marzo 2021):

L’Adige online 27 agosto 2018, https://www.ladige.it/territori/pergine/2018/08/27/brutta-negra-ti-uccido-te-ne-deve-andare-minacce-insulti-razzisti-e-aggressioni-contro-agitu-pastora-in-val-dei-mocheni-1.2595710

The Dailymail online 30 dicembre 2020, https://www.dailymail.co.uk/news/article-9099181/Ethiopian-migrant-hammered-death-farm-worker-Italy.html

Dislivelli 64/2016: http://www.dislivelli.eu/blog/immagini/foto_febbraio_2016/64_WEBMAGAZINE_febbraio16.pdf

Il Dolomiti Online 7 ottobre 2018 (https://www.ildolomiti.it/societa/2018/gli-amici-di-cornelio-coser-non-e-un-razzista-in-passato-aveva-aiutato-agitu-si-tratta?fbclid=IwAR1q3qmFbSkjz8INsoz77i37dayG5TVqn_r2PtKh_bejVp3goCfvqlVk3bM)

The Economist online 7 gennaio 2021, https://www.economist.com/obituary/2021/01/07/agitu-gudeta-was-killed-on-december-29th

The Guardian online, 1 gennaio 2021: https://www.theguardian.com/global-development/2021/jan/01/tributes-paid-to-ethiopian-refugee-farmer-who-championed-integration-in-italy

Internazionale online, 7 marzo 2017 https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/03/07/etiopia-migranti-donne

The New York Times online 3 gennaio 2021, https://www.nytimes.com/2021/01/03/world/europe/italy-mourns-immigrant-murder.html

Il Trentino online, 10 Gennaio 2021, https://www.giornaletrentino.it/cronaca/funerali-di-stato-in-etiopia-per-agitu-fratelli-grati-ai-trentini-siete-unici-torneremo-qui-1.2524313

Zott B.,19 gennaio 2021. Facebook, pagina personale: https://www.facebook.com/beatrice.zott.7



[1] Si vedano ad esempio: The Dailymail (online) 30 dicembre 2020; The Guardian (online) 1 gennaio 2021; The New York Times (online) 3 gennaio 2021; The Economist (online) 7 gennaio 2021.

[2] Dichiarazione rilasciata alla giornalista dell Internazionale che l’aveva intervistata nel 2017.

[3] Intervista ad Agitu Ideo Gudeta raccolta il 20 giugno 2012 - Valle San Felice, Val di Gresta.

[4] La Provincia Autonoma di Trento ha istituito le ASUC come forma regolamentata di gestione delle terre di uso civico, porzioni territoriali gestite in maniera collettiva da comunità locali, derivate dalle antiche ‘regole’ o da altri processi. Si stima che in Trentino le ASUC interessino più della metà dell’estensione territoriale totale.

[5] In questo articolo sono riportate solo alcune delle numerose voci ascoltate. La ricerca dopo la scomparsa dell’imprenditrice è ancora in corso con nuovi percorsi di indagine.

[6] Intervista raccolta il 28 settembre 2015, uomo di 67 anni, residente in Valle di Gresta.

[7] Intervista raccolta il 25 luglio 2014, donna di 34 anni, residente a Mori.

[8] Intervista raccolta il 4 ottobre 2016, uomo di 76 anni, residente in Valle di Gresta.

[9] Intervista raccolta il 10 settembre 2016, uomo di 43 anni, residente in Val di Gresta.

[10] Intervista raccolta il 7 agosto 2014, uomo di 53 anni, esperto, che produce biologico in Val di Gresta.

[11] Intervista raccolta il 12 novembre 2017, donna di 56 anni, residente in Valle dei Mocheni.

[12] L’Adige online 27 agosto 2018. https://www.ladige.it/territori/pergine/2018/08/27/brutta-negra-ti-uccido-te-ne-deve-andare-minacce-insulti-razzisti-e-aggressioni-contro-agitu-pastora-in-val-dei-mocheni-1.2595710)

[13] Il Trentino online 28 gennaio 2020 https://www.giornaletrentino.it/cronaca/trento/condannato-per-le-minacce-ad-agitu-ma-cade-l-odio-razziale-1.2246603

[14] Intervista raccolta il 30 novembre 2019, uomo, 50 anni, residente a Trento.

[15] Il Dolomiti Online 7 ottobre 2018 (https://www.ildolomiti.it/societa/2018/gli-amici-di-cornelio-coser-non-e-un-razzista-in-passato-aveva-aiutato-agitu-si-tratta?fbclid=IwAR1q3qmFbSkjz8INsoz77i37dayG5TVqn_r2PtKh_bejVp3goCfvqlVk3bM)

[16] Intervista raccolta il 27 ottobre 2019, uomo di 49 anni, residente a Trento.

[17] Intervista ad Agitu Ideo Gudeta raccolta il 12 luglio 2019 a Trento.