Immigrazione e sicurezza

Il ruolo dello SPRAR nella metropoli di Roma e in alcuni comuni medi italiani

Daniele Ferretti

Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Università di Roma La Sapienza

Indice

Immigrazione e sicurezza: quale ruolo per le politiche locali di accoglienza?
L’accoglienza in Italia: il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR)
La ricerca
I contesti territoriali e i relativi progetti SPRAR
Il caso di Tor Sapienza: Le ragioni del conflitto
SPRAR e città medie: tra prevenzione e rassicurazione
Osservazioni conclusive
Bibliografia

Abstract.  In the last few years Italian cities are playing a key role to face the arrival of migrants on the Italian coasts. The foreign presence can have a different impact within urban contexts. On one side, it can promote the social, economic and cultural development but, on the other one, we have assisted to the increase of citizens’ insecurity and the development of urban conflicts. Thus, in order to investigate the impact of reception policies in the Italian cities, the paper focuses on the reception paths of asylum seekers and refugees within System of Protection of Asylum Seekers and Refugees (SPRAR) in the suburbs of “Tor Sapienza” (Rome) and in three Italian medium size cities: Savona (North of Italy), Pesaro (Centre of Italy), Matera (South of Italy).

Keywords: Città; immigrazione; conflitto; sicurezza urbana; SPRAR.

Immigrazione e sicurezza: quale ruolo per le politiche locali di accoglienza?

Negli ultimi anni, il fenomeno dell’immigrazione e, in particolare, l’accoglienza dei migranti all’interno delle città, hanno acquisito un ruolo di primo piano nel dibattito pubblico europeo e nazionale.

L’Italia, infatti, è il terminale della rotta migratoria centrale europea che congiunge le due sponde del Mediterraneo: tale collocazione geografica la rende paese sia di transito sia di approdo per migliaia di migranti alla ricerca di sicurezza e di migliori opportunità di vita (Zupi et al. 2012; Frontex 2016).

Ciò ha determinato l’ingresso nelle città italiane di migliaia di richiedenti e titolari di protezione internazionale. Questi sono divenuti a tutti gli effetti attori che abitano il contesto urbano, portatori di bisogni e, al tempo stesso, di sfide a cui la comunità locale è chiamata a dare risposte. In tale quadro, le politiche locali di accoglienza stanno giocando un ruolo decisivo per rispondere ai molteplici interrogativi che i fenomeni migratori pongono all’interno dei territori. Esse, infatti, sembrano poter contribuire da un lato a favorire il processo di inclusione del migrante e, dall’altro, a ridurre il sentimento di insicurezza della popolazione residente, che in taluni casi può sfociare in episodi di manifesta intolleranza e conflittualità, come testimoniano le diverse mobilitazioni anti-rifugiati verificatesi recentemente in diverse città italiane (Ferretti 2015; Battistelli et. al. 2016). In tal senso, secondo Hughes:

lavorare con le comunità sulla protezione, l’insediamento e l’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo, nonché sullo sviluppo di soluzioni atte a risolvere problematiche associate alla relazione tra migranti e residenti in diversi contesti, può rappresentare un nuovo spazio per innovative azioni di sicurezza urbana a livello comunitario (Hughes 2007: 943, traduzione mia).

Parlare di sicurezza urbana significa riflettere sull’importanza assunta dalla qualità della vita in città e sul pieno godimento dello spazio urbano (Selmini 2004; Battistelli 2011). Pertanto, riteniamo sia possibile applicare tale concetto all’analisi dei percorsi di accoglienza dei migranti giunti in Italia, oggetto della presente trattazione. Infatti, tale concezione rimanda all’idea per cui gli interventi di sicurezza per essere efficaci «debbono per definizione essere locali, in rapporto di governance con gli altri livelli del governo (multilevel policies) e assumere un’ottica integrata e attiva nelle strategie d’intervento» (Farruggia, Ricotta 2010: 12). Si delinea, quindi, un approccio alla sicurezza che determina una progettazione di azioni a favore delle comunità e dei singoli soggetti che guarda al contesto sociale nella sua totalità. Rientrano dunque, nell’alveo della sicurezza urbana, una molteplicità di interventi, come le misure volte a rafforzare la coesione sociale interna alle comunità attraverso lo sviluppo di relazioni tra i vari attori che vivono nel tessuto urbano.

In tal senso, numerosi sono gli studi sulla relazione tra capitale sociale, criminalità e insicurezza all’interno delle comunità locali (Sampson et al. 1997; Saegert-Winkel 2004; Forrest-Kearns 2001). Il rafforzamento dei legami sociali interni alla comunità locale può rappresentare un efficace antidoto alla criminalità e all’insicurezza, in un’ottica di prevenzione “comunitaria”: essa, infatti, comprende «tutte le strategie finalizzate a sostenere la partecipazione dei cittadini alla prevenzione, a livello individuale o collettivo» (Selmini 2004: 228). In tale quadro Graham e Bennett (1995: 71) individuano tre approcci: l’“organizzazione della comunità”, che prevede la mobilitazione dei residenti per la prevenzione e ricostruzione del controllo informale; la “difesa della comunità”, con forme di autotutela dei cittadini o strategie difensive di carattere urbanistico e architettonico. Infine, lo “sviluppo della comunità”, attraverso forme di ricostituzione della dimensione comunitaria e azioni volte al miglioramento complessivo delle condizioni sociali abitative e dei servizi.

Il presente lavoro prende in esame i percorsi di accoglienza di richiedenti e titolari di protezione internazionale inseriti nel sistema SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), in un quartiere della periferia di Roma e in tre città medie italiane[1]: Savona, Pesaro, Matera, con l’obiettivo di comprendere e valutare gli impatti di tale azione in termini di prevenzione dei rischi individuali del migrante e di riduzione dell’insicurezza dei residenti. Obiettivo della ricerca è comprendere se e come, il coinvolgimento della comunità locale (cittadini, organizzazioni ecc.) e lo sviluppo di dinamiche relazionali tra migranti e comunità locale possa determinare un generale quadro di miglioramento della vivibilità, della qualità della vita e della sicurezza all’interno dello spazio urbano.

Pertanto, dopo una breve panoramica sui numeri che contrassegnano i recenti flussi migratori diretti verso l’Italia e sul sistema SPRAR per descriverne funzionamento, principi e finalità, verranno presentati i risultati della ricerca realizzata all’interno dei contesti urbani prima citati. Infine, verrà offerto un quadro conclusivo in chiave comparata.

L’accoglienza in Italia: il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR)

Se analizziamo in dettaglio la portata dei flussi che interessano il nostro Paese (fig. 1) è possibile osservare che, dopo il triennio 2008-2010 contrassegnato da numeri poco significativi, gli arrivi in Italia sono aumentati di intensità nel 2011 (62.692), parallelamente all’esplosione delle cosiddette “Primavere Arabe”. Dopo la flessione nel 2012 (13.267), una nuova accelerazione si ebbe nel 2013, con 42.925 persone giunte in territorio italiano.

Figura 1 - Trend degli arrivi di migranti via mare in Italia 2008-2017

Fonte: Ministero dell’interno. *I dati relativi all’anno 2017 si riferiscono al 30 giugno 2017

Nel 2014 si registra un notevole aumento degli arrivi, che ammontano a 170.100 persone. Se nel 2015 si registra una leggera flessione, con 153.946 persone arrivate in Italia, i dati relativi al dicembre 2016 indicano una nuova accelerazione, con l’arrivo di 181.436 migranti. I primi dati disponibili relativi al 2017 sembrano andare verso un’ulteriore accelerazione; nei primi sei mesi dell’anno, infatti, si contano 60.200 arrivi, con un incremento del 25,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Per tentare di offrire risposte adeguate a tali numeri, l’Italia ha varato un sistema di accoglienza su più livelli che comprende diverse tipologie di strutture (IDOS 2015). Un ruolo decisivo per l’erogazione degli interventi spetta agli enti locali e al Terzo Settore, in linea con quanto stabilito dal Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998), che ha determinato la divisione dei compiti fra governo centrale, chiamato alla regolamentazione degli ingressi attraverso il meccanismo delle quote annuali, e governi locali, responsabili sia delle “politiche per l’immigrazione, relative all’integrazione dei cittadini stranieri sul territorio[2] sia delle “politiche per i migranti, ossia interventi a favore di categorie a rischio, come minori soli e donne vittime del racket della prostituzione (Caponio 2006).

Esistono tre diversi livelli di accoglienza: la prima fase è quella del “primo soccorso”, per cui gli organi deputati sul territorio sono i CPSA (Centri d’Accoglienza e Primo Soccorso) che, secondo la legge, dovrebbero ospitare i migranti per un tempo massimo di 48 ore. Segue la fase della prima accoglienza, dove i migranti sono distribuiti tra CDA e CARA (Centri di Accoglienza), o in caso di espulsione, nei CIE (Centri di Espulsione)[3].

Infine, l’iter si conclude con la“seconda accoglienza e integrazione”, al centro della presente trattazione. L’organo preposto alla realizzazione degli interventi è lo SPRAR[4] (IDOS 2015: 130).

Lo SPRAR nacque sulla scia del Piano Nazionale Asilo (PNA)[5] e venne istituito dal Ministero dell'Interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, che ha affidato all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) il coordinamento del “Servizio Centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico”[6].

Le recenti ondate migratorie hanno fatto sì che lo SPRAR estendesse la propria rete e i posti disponibili per i beneficiari della protezione. Nel 2017 i migranti accolti nello SPRAR sono 25.743.761, inseriti in 638 progetti di accoglienza progetti, di cui 499 riservati a categorie ordinarie, 95 per minori non accompagnati, 44 per persone con disagio mentale o disabilità. Gli enti locali aderenti sono 544: i comuni complessivamente coinvolti nell’accoglienza sono oltre 1.000. Destinatari dei servizi, promossi da una multilevel governance che mette in rete governo centrale, enti locali (su base volontaria) e realtà del Terzo Settore (Caponio 2006), sono richiedenti asilo, rifugiati, titolari di protezione sussidiaria e umanitaria[7]. Alla base dell’azione vi è il concetto di “accoglienza integrata” che, nell’ottica di ricostruire le capacità di scelta e di progettazione nel migrante:

oltre a fornire vitto e alloggio, provvedono alla realizzazione di attività di accompagnamento sociale, finalizzate alla conoscenza del territorio e all'effettivo accesso ai servizi locali, fra i quali l’assistenza socio-sanitaria. Sono inoltre previste attività per facilitare l’apprendimento dell'italiano e l'istruzione degli adulti, l'iscrizione a scuola dei minori in età dell'obbligo scolastico, nonché ulteriori interventi di informazione legale sulla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale e sui diritti e doveri dei beneficiari in relazione al loro status (SPRAR 2015).

La ricerca

Il lavoro di ricerca ha preso in esame i percorsi locali di accoglienza a favore di richiedenti e titolari protezione internazionale implementati in quattro diverse città italiane nell’ambito dello SPRAR. La scelta di studiare tale sistema di accoglienza si deve al fatto che lo SPRAR rientra nella cosiddetta “seconda accoglienza”, cruciale per un efficace ed effettivo inserimento tanto a livello linguistico, quanto dal punto di vista abitativo, professionale e socio-economico dei migranti che giungono in Italia.

Complessivamente, il lavoro empirico si è svolto in un arco temporale compreso tra il novembre 2014 e il luglio 2016. La metodologia adottata è quella propria della ricerca sociologica di stampo qualitativo[8] (Cardano 2011; Corbetta 2013), con la realizzazione di studi di caso (Isernia 2001) mediante discese sul campo in loco da parte di chi scrive. Pertanto, i risultati qui presentati non hanno alcuna pretesa di generalizzazione, riferendosi unicamente alle realtà indagate.

Entrando nel dettaglio dei casi di studio selezionati[9], il primo è il progetto SPRAR sviluppato all’interno di Tor Sapienza, quartiere della periferia Est di Roma[10]. Qui la presenza di un centro d’accoglienza ha determinato, nel novembre 2014, l’emersione di un conflitto urbano che ha visto per protagonisti i residenti del quartiere che chiedevano la chiusura del centro d’accoglienza. Allo studio condotto sul territorio di Roma si è scelto di affiancare quello di tre progetti SPRAR[11] realizzati in altrettante città medie e capoluoghi di provincia italiani: Savona Pesaro, Matera. L’analisi condotta ha seguito il metodo della comparazione dei casi di studio (Isernia 2001), tenendo conto delle analogie e differenze tra i progetti SPRAR.

I contesti territoriali e i relativi progetti SPRAR

Tor Sapienza è un quartiere collocato nel V° Municipio di Roma Capitale. Al 31 dicembre 2013 la popolazione residente è di 12.713 cittadini. Il quartiere nasce negli anni Venti del ‘900 grazie al ferroviere antifascista Michele Testa. Dopo essere divenuto sede, con il boom economico di industrie come Voxon, Peroni, Litograf, Fiorucci, dalla metà degli anni Settanta ha iniziato ad ospitare una serie di insediamenti abitativi intensivi, come il comprensorio di edilizia popolare dell’ATER di viale Morandi.

Infatti, a partire dagli anni Novanta il quartiere inizia a convivere prima con i campi rom Salviati I e II, che si aggiungono all’insediamento detto “della Martora” e a quello di via Amarilli, nell’adiacente quartiere di Tor Cervara, poi con i centri d’accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo, tra cui il centro SPRAR di viale Morandi per minori e adulti gestito dalla Cooperativa sociale “Il Sorriso”, impegnata dal 2000 nel contrasto all’esclusione sociale e nell’accoglienza a Roma che, nel novembre 2014, ospitava 45 minori stranieri e 35 beneficiari adulti. Infine, dal 2009 è presente a Tor Sapienza “Metropoliz Città meticcia”, nome che famiglie italiane e straniere hanno dato all’ex fabbrica Fiorucci, da loro occupata nel 2009 e al cui interno è nato il “Museo dell’altro e dell’Altrove” (Ferretti 2015).

Per quanto concerne gli altri contesti urbani oggetto di indagine, Savona, Pesaro, Matera hanno tutte una popolazione compresa tra i 50.000 e i 100.000 abitanti. Il capoluogo ligure ha, nel 2016, una popolazione residente pari a 61.345 abitanti, di cui 6.393 sono stranieri (10,4% del totale). La città di Pesaro (Marche), invece, su una popolazione residente totale di 94.604 abitanti, conta 7.394 persone di nazionalità straniera (7,8% del totale). Matera, infine, ha una popolazione di 60.524 abitanti, di cui 2.314 stranieri (3,8% del totale).

Per quanto concerne i progetti SPRAR, nel caso di Savona e Pesaro l’ente locale proponente è la provincia. A Savona, il progetto SPRAR prevede 32 posti disponibili, riservati a maschi adulti singoli e famiglie (SPRAR 2016). Ente gestore è la Caritas diocesana di Savona attraverso la “Fondazione Comunità Servizi onlus”. L’appartenenza alla Caritas ha permesso all’ente gestore di aderire alla sperimentazione del progetto pilota “Rifugiato a casa mia”, avviato successivamente su scala nazionale nel 2016 e che ha visto il progetto SPRAR di Savona tra le realtà aderenti[12].

A Pesaro, ente gestore è la cooperativa sociale “Il Labirinto”. Dal 2014, nell’ambito dello SPRAR “Il Labirinto” realizza tre progetti, per un totale di 70 posti: “Invictus”, riservato ad adulti e nuclei monoparentali (donne con bambini); “Pesaro accoglie”, per adulti con disabilità; “Senza Confini”, dedicato a minori non accompagnati (Marinucci, Ugolini 2015).

A Matera, invece l’ente locale promotore del progetto SPRAR è l’amministrazione comunale; l’ente gestore dei 42 posti disponibili è la cooperativa sociale “Il Sicomoro”, che aderisce allo SPRAR dal 2004. Attiva dal 2002, “Il Sicomoro” è una cooperativa sociale impegnata nella realizzazione di progetti in settori quali immigrazione, lavoro, disabilità, innovazione sociale, anziani, ed è ente gestore di altri tre progetti SPRAR in altrettanti comuni: Grottole (MT), San Chirico Raparo (PZ), Sant’Arcangelo (PZ).

Il caso di Tor Sapienza: Le ragioni del conflitto

Per quanto concerne il progetto SPRAR di Roma, le attività di accoglienza a favore dei beneficiari ospiti del centro sito in viale Morandi furono interrotte da un violento conflitto urbano, che salì alla ribalta delle cronache nazionali e locali ponendo l’accento sui possibili impatti negativi determinati dalla presenza di centri d’accoglienza nelle città[13]. Nel tentativo di comprenderne le ragioni, le interviste realizzate evidenziano il generale quadro di insicurezza in cui versano gli abitanti dell’area, a seguito della presenza di criticità a livello ambientale e socio-economico, sulle quale sembra innestarsi la presenza del centro SPRAR. Infatti, nell’area di viale Giorgio Morandi convivono problemi quali l’alta densità abitativa, il forte stato di degrado dei complessi di edilizia pubblica, una povertà urbana non solo economica, ma “culturale e relazionale” dovuta alla presenza di «comunità isolate e network sociali frammentati» (Troisi 2015), disoccupazione, illegalità (Elisei et al. 2014).

A tal proposito nelle interviste viene ricordato come «negli anni ci sia stata una concentrazione più evidente di situazioni di marginalità (...) che in qualche modo hanno creato una tensione sociale forte» (Presidente V Municipio di Roma Capitale, Roma, 9 marzo 2015).

La presenza di un centro SPRAR, quindi, è solo una delle criticità dell’area e, probabilmente, non la più urgente:

da 20 anniviviamo con hotel occupati, centro di rifugiati politici, due campi rom, di cui uno tollerato e l’altro abusivo. Per quanto riguarda gli immigrati, Tor Sapienza ha sempre convissuto con loro, ma quando in un quartiere convivono 1, 2, 3, 5, 10 pentole bollenti prima o poi qualcosa accade, anche perché non tutti sono ben integrati, non c’è lavoro e non tutti vanno a scuola. Qui i campanelli d’allarme c’erano, ma non pensavamo fino a questo punto. Non credo che il problema di Tor Sapienza siano 40 profughi (esponente Comitato Tor Sapienza, Roma, 3 febbraio 2015).

Ciononostante, il centro d’accoglienza sembra presentare una serie di caratteristiche che hanno favorito l’emersione del conflitto. In primo luogo, la modalità di inserimento abitativo e, quindi, la concentrazione di un alto numero di beneficiari all’interno di un centro collettivo perché, relativamente alla collocazione dei beneficiari in un centro collettivo, «messi così è una cosa indecente, non li puoi ghettizzare, i profughi» (esponente Comitato Tor Sapienza, Roma, 3 febbraio 2015).

A questo riguardo, le interviste rilevano un quadro di pressoché isolamento del centro dal quartiere. Infatti, i beneficiari dell’accoglienza non svolgono le attività previste (formazione linguistica e professionale, ecc.) nel quartiere, ma in aree ad esso limitrofe. Gli operatori del centro d’accoglienza, infatti, spiegano come i minori richiedenti asilo «vanno a scuola a Centocelle e a Pietralata [quartieri della periferia est di Roma], fanno formazione all’Infernetto [quartiere dell’area Sud di Roma] e lavorano fuori dal quartiere» (operatore accoglienza, Roma, 10 dicembre 2014).

A conferma emerge dalle parole del rappresentante del Centro Culturale “Morandi a colori”, associazione culturale che opera sul territorio da oltre 20 anni afferma: «Il centro Sprar deve lavorare su più settori, tutti complicati (…) e uno degli aspetti che non hanno fatto benissimo è la relazione con i quartieri» (presidente Centro Culturale Morandi a colori, Roma, 28 gennaio 2015). A conferma di ciò nella intervista con un esponente dell’associazione “Antropos”, presente sul territorio da oltre 15 anni e impegnata nella prevenzione del disagio giovanile, si ricorda che «si è provato a far delle cose insieme (con la cooperativa “Il Sorriso”), ma non si è arrivati a nulla» (operatore Antropos, Roma, 3 febbraio 2015). In particolare, interessanti sono le sue parole relative ai progetti SPRAR, che sottolineano l’importanza che riveste, ai fini di una effettiva inclusione del nuovo arrivato, investire nella costruzione di relazioni con il contesto d’insediamento:

I centri SPRAR non hanno questa valenza di integrazione. Mi fa pensare a quanto accaduto negli Stati Uniti, dove di fatto sono state create delle piccole enclave (Chinatown, Little Italy) che non comunicano le une con le altre, nonostante gli Stati Uniti ci insegnino molto sull’inclusione sociale. Se non investi anche nell’integrazione e non solo nell’accoglienza non hai risultati. Poi i progetti sulla carta son tutti belli, ma se mi garantisci certe cifre e non altre, solo accoglienza senza integrazione si può fare (operatore Antropos, Roma, 3 febbraio 2015).

A tale quadro si aggiungono le dinamiche innescate sul territorio dalla presenza dei migranti ospiti del centro SPRAR, in particolare dei minori. Stando alle parole degli intervistati, è possibile ricondurre le ragioni dell’antagonismo a due fattori principali: il primo è la percezione del migrante come beneficiario di “privilegi” (accesso ai servizi sociali, vitto e alloggio) negati a cittadini italiani. Il secondo elemento si collega ad una serie di comportamenti illegali attribuiti ai migranti e riconducibili tanto alla categoria delle “inciviltà” quanto a quella della “piccola illegalità”, che sembrano incidere fortemente sulla qualità dell’ambiente e sul senso di sicurezza dei residenti.

Per quanto riguarda la prima dimensione è il portavoce del comitato “Morandi- Cremona” a introdurre il tema della disparità di trattamento tra italiani e stranieri. Infatti, «lo straniero è assistito, mentre gli italiani non arrivano a fine mese. In un quartiere dove il reddito è basso la gente è molto sensibile a questo aspetto: vedi uno straniero coccolato, che butta il cibo nei secchioni e un vicino senza luce, (senza) riscaldamento e che non può pagare le bollette a fine mese» (rappresentante comitato Morandi-Cremona, Roma, 21 febbraio 2015). Su questa linea è anche il rappresentante del comitato di Quartiere Tor Sapienza: «Non vedo razzismo, ma gente arrabbiata per la disparità di trattamento, sia tra italiani, sia tra italiani e stranieri, sia tra gli stranieri» (rappresentante comitato di quartiere Tor Sapienza, Roma, 3 febbraio 2015).

Per quanto riguarda la seconda dimensione, invece, l’operatore intervistato ricorda di aver «sentito dire» da alcuni residenti che i migranti «spesso mangiavano al parco il cibo pre-confezionato e non pulivano, comportando un accumulo di sporcizia» (presidente Centro Culturale Morandi a colori, Roma, 28 gennaio 2015). Sulla stessa lunghezza d’onda è un operatore intervistato, che spiega come «il problema è sorto su situazioni relative al quotidiano come insulti, macchine rotte» — lamentate dai residenti nei confronti dei migranti — e «sulle dinamiche da pischelli [adolescenti] dovute all’inserimento di 37 minori nel quartiere» (operatore Antropos, Roma, 3 febbraio 2015). Tale dato trova la sua conferma dagli operatori del centro d’accoglienza, per cui il «rumore fatto dai minori, più agitati rispetto agli adulti» è tra le principali cause delle lamentele del quartiere. Nell’intervista realizzata con il rappresentante del comitato di quartiere invece, egli racconta che gli ospiti del centro «giravano nudi davanti le finestre, costringendo i residenti a vedere spettacoli indecenti» (rappresentante comitato “Morandi-Cremona”, Roma, 21 febbraio 2015).

Dalle parole degli intervistati si evince uno scollamento tra il centro d’accoglienza SPRAR e gli attori che abitano il quartiere di Tor Sapienza. La scarsa comunicazione tra questi soggetti evidenziata dall’assenza di relazioni sembra favorire la percezione negativa e l’aumento del senso di insicurezza da parte della popolazione residente nei confronti dei beneficiari dell’accoglienza. In tal senso, la modalità di inserimento abitativo dei beneficiari, un centro collettivo di grandi dimensioni, non sembra favorire la costruzione di una relazione con la comunità locale e, al tempo stesso, pregiudica il percorso dei migranti verso il raggiungimento dell’autonomia.

SPRAR e città medie: tra prevenzione e rassicurazione

L’analisi delle interviste effettuate nell’ambito dei progetti SPRAR di Savona, Pesaro e Matera, rivela un quadro generale da cui è possibile individuare possibili effetti dello SPRAR a livello di sicurezza. In particolare, emergono due funzioni principali: la prima è di tipo preventivo, ed agisce nei confronti dei migranti inseriti nel programma di accoglienza; la seconda, invece, è rassicurativa, diretta a ridurre il sentimento di insicurezza della popolazione residente nei confronti dei migranti inseriti nei percorsi locali di accoglienza SPRAR.

Relativamente alla funzione preventiva, gli operatori intervistati sottolineano come lo SPRAR abbia un «aspetto formativo ed educativo, per cui tu cerchi di essere educatore e di farli entrare in un sistema virtuoso di formazione per loro stessi. Come può un ragazzo che ha fatto un percorso formativo su stesso andare a spacciare droga? Stride perché hai fatto un percorso ed hai delle carte da giocarti» (coordinatrice SPRAR, Savona, 30 giugno 2016). Ciò determina che «sebbene sia difficile che la persona abbia casa e lavoro all’uscita dal progetto, si danno degli strumenti buoni per l’attivazione sociale, per integrarsi, per entrare a far parte della società» (operatore accoglienza SPRAR, Savona, 29 giugno 2016).

Allo stesso modo a Pesaro, gli operatori sottolineano come lo SPRAR agisca prevenendo la comparsa di insicurezza sociale nei migranti poiché «non hanno lavoro, casa, nessuno»: la permanenza nel progetto è un deterrente da entrare in circuiti illegali: «Qui c’è il racket dell’elemosina, poi c’è tutto quello che riguarda lo spaccio, da una parte la prostituzione quindi (i migranti) ti entrano nella microcriminalità che ti crea paura e insicurezza» (operatrice accoglienza SPRAR, Pesaro, 11 dicembre 2015).

Lo sviluppo di relazioni di prossimità, in un’ottica di aumento del capitale sociale del migrante all’interno del territorio, contribuisce al processo di accrescimento dell’empowerment. In tal senso la scelta dell’accoglienza diffusa, adottata in tutti i casi, che prevede di collocare i migranti in appartamenti condivisi e distribuiti all’interno del centro urbano permette di «avere uno scambio con il vicino di casa, con il supermercato, e diventa arricchente per loro e facilita di molto il processo di integrazione» (coordinatore équipe, Matera, 18 novembre 2015). A Savona, si riscontra come il progetto pilota “Rifugiato a casa mia”, rafforzi ulteriormente tali dinamiche. Infatti:

se tu hai una persona accolta in casa tua, i tuoi amici diventeranno automaticamente i suoi amici. La sua rete di relazione, di sostegno, di aiuto si moltiplica. Le possibilità, le opportunità, lavorative, di formazione, di interesse si semplificano. Una famiglia, con le sue relazioni, con il suo tessuto, con il suo radicamento fa la differenza (presidente ente gestore Sprar, Savona, 1 luglio 2016).

Tali dinamiche, favorendo la conoscenza reciproca, sembrano incidere anche sulla seconda funzione, quella rassicurativa, esercitata nei confronti della popolazione residente. Questa viene realizzata in primo luogo in un’ottica integrata, attraverso lo sviluppo di sinergie tra l’ente gestore del progetto SPRAR e le forze dell’ordine. In tutti i casi, infatti, gli intervistati sottolineano che i rapporti di collaborazione e cooperazione con professionisti della sicurezza che, dal punto di vista operativo, si traducono nello scambio di informazioni e nella comunicazione alla questura da parte dell’ente gestore delle presenze all’interno del progetto.

Gli intervistati, inoltre, attribuiscono allo SPRAR il ruolo di “sentinella” della comunità, grazie alla funzione di controllo che esso esercita sui beneficiari che vi sono accolti. Tale ruolo viene espletato “informalmente” grazie al monitoraggio pressoché quotidiano degli operatori sulle attività quotidiane dei ragazzi accolti che permette di «sapere quello che succede, chi gira. Siamo in grado di dire, di guardare, di vedere di segnalare e lo facciamo» (presidente ente gestore SPRAR, Matera, 19 novembre 2015).

Allo stesso tempo, viene favorito il coinvolgimento della comunità locale, che viene adeguatamente e tempestivamente informata di quanto accade relativamente all’accoglienza sul territorio. È il caso di Pesaro, dove si organizzano assemblee pubbliche per informare i cittadini dell’insediamento di centri di accoglienza. Infatti, la scelta della cooperativa è, come spiega un intervistato:

mantenere un rapporto con la cittadinanza dove si vanno ad aprire nuove strutture. C’è un incontro di assemblea, con le persone. La politica è dire la verità: c’è sempre la domanda “lei mi garantisce che il nigeriano che esce poi non mi viene dentro casa a rubare o non mi violenta di notte?” e io dico sempre no, io non garantisco niente così come non posso garantire che il mio vicino non dia di testa e mi ammazza. [..] Loro [i residenti] partono sempre con una rabbia dentro enorme e io parto col concetto della conflittualità: tener viva la conflittualità per poter arrivare al confronto, perché se alla rabbia rispondiamo con la rabbia, la conflittualità emerge e si entra in guerra a quel punto (coordinatore prima accoglienza, Pesaro, 14 novembre 2015).

Traspare una visione positiva del conflitto che, attraverso il confronto tra gli attori in gioco, può determinare una crescita della relazione tra le parti in causa. Ciò, inoltre, come spiega la coordinatrice del progetto nel pesarese, agisce prevenendo la comparsa di percezioni negative che non trovano riscontro sul piano reale poiché:

Nessun beneficiario è stato mai coinvolto in qualcosa, qua da noi chi viene a rubare sono solitamente bande di albanesi o bande di italiani. Quindi son più paure di pancia che, per fortuna, con la reciproca conoscenza passano. La percezione c’è perché è un continuo, invasione di qua di là, e poi la gente non sta passando un buon periodo e il capro espiatorio fa sempre comodo (coordinatore progetto SPRAR, Pesaro, 11 dicembre 2015).

L’importanza di sviluppare la conoscenza e il contatto tra migranti e comunità di destinazione è confermata anche a Matera da un’operatrice: «se si scelgono appartamenti piuttosto che grosse strutture o delle residenze, se il ragazzo vive in centro piuttosto che in periferia, vive in una casa invece che in una sorta di albergo già questo è un motivo di sicurezza per la persona e per gli altri cittadini» (operatore accoglienza SPRAR, Matera, 19 novembre 2015). In particolare, è creare le opportunità di conoscenza e di instaurare relazioni sociali che determina un senso di sicurezza, perché «ti rendi conto che [il migrante] non è in un posto lontano da te ma che semplicemente è una persona come lo sei anche tu» (operatore accoglienza SPRAR, Matera, 19 novembre 2015).

Osservazioni conclusive

L’articolo ha preso in esame le esperienze di accoglienza nell’ambito dello SPRAR realizzate a Tor Sapienza, quartiere della periferia Est di Roma e all’interno di tre città medie italiane: Savona, Pesaro, Matera.

La ricerca realizzata a Tor Sapienza fa emergere la presenza di situazioni altamente conflittuali, accelerate dalla presenza sul territorio di un centro SPRAR. Dalle interviste inoltre, emerge come il quartiere debba affrontare questioni più urgenti, come gli insediamenti della popolazione rom e i roghi tossici.

Le condizioni in cui versa il quartiere fanno di Tor Sapienza sono riconducibili ai problemi tipici dei quartieri “sensibili” della città contemporanea, quali appunto le periferie urbane che, come osserva Cesareo, si configurano come «aree deboli, dove si insediano popolazioni portatrici di disagio sociale, immigrate ma anche non immigrate, e dove spesso si riscontra una carenza di infrastrutture e servizi pubblici, una deprivazione socio-culturale e una criminalità diffusa» (Cesareo, Bichi 2010: 9).

Tali elementi hanno reso il quartiere, specialmente l’area adiacente a viale Giorgio Morandi – sede del centro d’accoglienza SPRAR – un contenitore di marginalità sociale, nel quale le proteste nei confronti del centro SPRAR, dunque, sembrano aver dato ai residenti di Tor Sapienza l’opportunità di far sentire la propria voce alle istituzioni.

Il risentimento dei residenti nei confronti dei beneficiari dell’accoglienza sembra essere conseguenza diretta della percezione della propria condizione sociale, che determina in essi uno stato di deprivazione relativa. In generale, ciò può essere spiegato alla luce di quelle che nella sociologia della devianza sono definite “teorie della tensione”, per cui determinati fattori di “tensione” possono aumentare la probabilità di sviluppare negli individui sentimenti quali frustrazione e rabbia e quindi, di commettere atti devianti (Merton 1938; Agnew 1992; 1999).

Il senso di ingiustizia e di abbandono percepito dai residenti si traduce in una percezione del migrante come «competitor sul mercato del lavoro e per la distribuzione dei beni sociali» e «illegittimi richiedenti o riceventi di diritti socio-economici» (Huysmans 2006: 77). Un atteggiamento che, in accordo alle ricerche sul tema, è maggiore verso richiedenti e titolari protezione internazionale, poiché il loro status li rende dipendenti dalle prestazioni sociali (Bloch 1999; Bloch-Schuster 2002; Geddes 2003; Dancygier 2010; Phillimore-Godson 2006). In tal senso, l’aver inserito il centro SPRAR all’interno di un area del quartiere complessa come quella di viale Morandi può ulteriormente aver amplificato la percezione negativa del migranti. Infatti, come spiega Agnew (1999: 135):

Il sentimento di inuguaglianza è più probabile porti al crimine nelle comunità in cui i vantaggi degli altri sono più visibili, in cui questi sono percepiti come simili, in cui gli individui sono incoraggiati a fare comparazioni, in cui le ragioni dell’ineguaglianza sono percepite come ingiuste e, dove gli individui sono vincolati o disposti a rispondere alla deprivazione con atti devianti.

Alla luce di tale situazione, le incivilties riscontrate dagli attori intervistati nel quartiere e imputate ai minori ospiti del centro d’accoglienza possono essere considerati fattori contestuali «indice di ciò che i residenti devono sopportare» (Agnew 1999: 139). Agli outsiders (Becker 1987) vengono imputati comportamenti “incivili”, nei cui confronti la tolleranza varia non tanto a seconda della gravità, quanto dalla natura di chi le attua: percepiti come meno gravi dagli outsider “transitori” (giovani) e più gravi da quelli “persistenti” (senzatetto, immigrati, ecc.) (Battistelli et al. 2016). L’outsider, che nel caso di Tor Sapienza sono i migranti ospiti del centro SPRAR, diventa «il personaggio rappresentativo della crescente illegalità» (Dal Lago 2012: 118).

In tal senso, particolarmente incisiva per la percezione, sia del progetto, sia dei beneficiari, da parte dei residenti sono due fattori: in primo luogo, l’adozione di un centro ad alta concentrazione numerica dei beneficiari anziché dell’accoglienza diffusa, diversamente da quanto cercano di fare molti progetti SPRAR sul territorio nazionale. L’alta concentrazione fa venir meno la capacità del progetto di favorire nel beneficiario l’attivazione di reti di amicizia, fiducia o quanto meno di buon vicinato, aumentando invece la distanza con il quartiere. Incide su questo aspetto, l’assenza di coinvolgimento delle realtà locali nella progettazione e realizzazione degli interventi di “accoglienza integrata”.

Divergente rispetto a questi ultimi aspetti è invece quanto accade all’interno delle città medie. In questi casi, infatti, l’analisi rivela un quadro dove favorire e sviluppare relazioni sul territorio sembra possa rappresentare un deterrente alla insicurezza, tanto a livello individuale quanto a livello collettivo, sebbene ciò non esclude il rischio di conflitti e rifiuto del fenomeno migratorio da parte della comunità locale.

In tal senso, emergono dall’analisi due diversi funzioni in termini di sicurezza: la prima preventiva e la seconda rassicurativa, che sembrano richiamare quelle azioni mirate a contrastare l’insicurezza e la diffusione della devianza attraverso il rafforzamento della coesione sociale interna e il coinvolgimento attivo della comunità locale. Pertanto, Lo SPRAR sembrerebbe inserirsi in quella fattispecie di politiche di integrazione e di coesione territoriale che vede, in un’ottica di prevenzione “comunitaria”, lo sviluppo di «strategie finalizzate a sostenere la partecipazione dei cittadini alla prevenzione, a livello individuale o collettivo» (Selmini 2004: 228).

Per tali ragioni riscontriamo che le azioni integrate promosse dalla rete SPRAR hanno ricadute positive anche in termini di sicurezza urbana, con interventi di prevenzione nei confronti dei migranti e di rassicurazione nei confronti della cittadinanza. Lo SPRAR, pertanto, sembrerebbe rientrare in quella fattispecie di politica sociale che, intervenendo sui fattori di rischio di particolari attori sociali (qui nello specifico richiedenti e titolari di protezione internazionale), può essere interpretata e valutata anche in relazione al suo impatto sulla vivibilità del contesto urbano, sulla prevenzione dai rischi della devianza e sulla riduzione del senso di insicurezza (Crawford 2002), favorendo il coinvolgimento attivo dei molteplici attori che insistono nel contesto locale: migranti, residenti, società civile, Terzo Settore, forze dell’ordine a competenza nazionale e locale, servizi pubblici territoriali, enti locali.

In conclusione sembra emergere che, ai fini di una maggiore efficacia degli interventi, tanto a favore dei migranti, quanto della comunità locale tout court, la presenza, o l’assenza, di dinamiche relazionali abbia un ruolo cruciale per l’efficacia dell’azione e il raggiungimento degli obiettivi prefissati, per lo sviluppo di percorsi di welfare locale incentrati sulla promozione della solidarietà e della fiducia reciproca, in un generale quadro di rafforzamento delle relazioni sociali sul territorio, inclusione delle fasce deboli della popolazione, aumento della vivibilità del contesto locale.

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[1] Viene adottata la definizione proposta da Tortorella (2013) ne L’Italia delle città medie che individua 105 città medie in Italia, in base alla presenza di un taglio demografico minimo (superiore ai 45.000 abitanti), un centro amministrativo rilevante e riconosciuto, nonché un polo di offerta e di servizi basilari ed essenziali.

[2] La distinzione fra politiche di immigrazione e politiche per l’immigrazione si deve ad Hammar (1990).

[3] Per un approfondimento sulle funzioni e ruolo dei diversi organi d’accoglienza previsti dall’ordinamento italiano si veda il sito ufficiale del Ministero dell’Interno (www.interno.gov.it).

[4] Accanto a tale sistema vi sono i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), che hanno ospitato nel 2015 un totale di 76.683 migranti (SPRAR, 2016) e sono immaginati al fine di sopperire alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza o nei servizi predisposti dagli enti locali, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti. Tali strutture sono individuate dalle prefetture, in convenzione con cooperative, associazioni e strutture alberghiere, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici, sentito l’ente locale nel cui territorio la struttura è situata.

[5] Progetto realizzato, a partire dal 2001, dal Ministero dell’Interno, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e dall’Associazione Nazionale dei Comuni italiani (ANCI) per fornire assistenza e protezione ai richiedenti asilo e ai rifugiati che arrivano nel nostro Paese.

[6] www.sprar.it, consultato il 30/06/2017.

[7] Richiedenti asilo e rifugiati sono coloro che fanno domanda per il riconoscimento (i primi) o si vedono riconosciuti (i secondi) lo status di rifugiato in accordo alla convenzione di Ginevra del 1951. La protezione umanitaria, invece, è accordata a chi, pur non vedendo riconosciuto lo status di rifugiato (vedi Convenzione di Ginevra) se ritornasse nel Paese di origine correrebbe un rischio di subire un grave pericolo (D.lgs 251/2007). È rilasciata la protezione umanitaria, infine, a soggetti che non hanno i requisiti per ottenere quella sussidiaria, ma per i quali sussistono gravi motivi di carattere umanitario (D. lgs 286/1998). Per approfondimenti si veda Benedetti (2010).

[8] Nel corso delle discese sul campo sono state condotte brevi esperienze di osservazione partecipante e interviste semi-strutturate con attori della governance. Trattasi di interviste semi-strutturate, dove «sono indicati i temi comuni da affrontare, ma la sequenza delle domande non è predeterminata e la loro formulazione può essere suggerita e modificata in base all’andamento della conversazione» (Vardanega 2009: 255).

[9] La selezione dei casi di studio ha tenuto conto della dimensione demografica del contesto urbano (città metropolitana/città media), nonché dell’area geografica. Inoltre è stata considerata la presenza o assenza di situazioni di conflittualità manifesta sul territorio.

[10] Il lavoro di ricerca realizzato nel quartiere di Tor Sapienza ha visto la realizzazione di un focus group con operatori dell’accoglienza della cooperativa “Un Sorriso”, ente gestore il progetto SPRAR, e di interviste semi-strutturate a testimoni privilegiati che abitano nel quartiere: rappresentanti dei due comitati di quartiere, esponenti delle associazioni operanti nel territorio, amministratori locali. Tale lavoro di ricerca si colloca all’interno del Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) “La politica italiana di fronte alle nuove sfide del sistema internazionale: attori, istituzioni, politiche”. Chi scrive ha fatto parte dell’unità di ricerca della Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, diretta dal professor Fabrizio Battistelli e composta da Francesca Farruggia, Maria Grazia Galantino, Francesca Grivet Talocia, Giuseppe Ricotta. In particolare, i risultati qui presentati si riferiscono alla fase di scouting, finalizzata alla successiva realizzazione di un’inchiesta campionaria nel territorio e di un esperimento deliberativo ispirato al metodo della “Giuria dei Cittadini”. Per approfondimenti si veda Battistelli et al. (2016), Farruggia e Ferretti (2017).

[11] Il lavoro di ricerca ha visto la realizzazione di interviste semi-strutturate ad attori facenti parte della governance locale (amministratori locali, vertici delle organizzazioni enti gestori i progetti SPRAR, coordinatori dell’equipe di accoglienza, operatori dell’accoglienza, rappresentanti delle organizzazioni coinvolte nell’erogazione degli interventi). L’accesso al campo di indagine è stato possibile grazie ai coordinatori dell’équipe.

[12] Progetto pilota di Caritas italiana avviato nel marzo 2013 e conclusosi nell’aprile del 2014 che ha coinvolto 9 Caritas diocesane (Milano, Volterra, Savona, Aversa, Cagliari, Biella, Faenza, Teggiano Policastro e Genova). Lo scopo è stato favorire l’inserimento nelle famiglie di persone titolari di protezione internazionale, attraverso l’adozione di un modello di accoglienza micro-diffusa. Alle famiglie ospitanti spettava un rimborso spese mensile di 300 euro.

[13] Le proteste esplodono nella notte tra il 10 e l’11 novembre 2014 dopo la notizia, circolata tra gli abitanti, di un tentato stupro ai danni di una giovane donna del quartiere da parte di persone di origine straniera di nazionalità non ben identificata. Dopo nuove tensioni, la mattina del 12 novembre i minori ospiti del centro d’accoglienza vengono trasferiti in un’altra struttura. A livello locale, sulla spinta di quanto accaduto, nasce il comitato di quartiere “Morandi-Cremona”, dal nome delle vie protagoniste delle rivolte, con l’intento di farsi portavoce dei problemi e dei malesseri dei residenti della zona limitrofa a viale Morandi. Nel gennaio 2015, durante un’iniziativa promossa dall’associazione culturale “Morandi a colori” in collaborazione con il Centro d’accoglienza, nuove proteste nei confronti del centro portano l’assessore per le Politiche sociali di Roma Capitale Francesca Danese a prendere l’impegno di “trasferire i rifugiati per il loro bene e per riportare la coesione sociale”. La situazione riesplode definitivamente nel marzo 2015 quando la messa a fuoco di alcuni cassonetti posti nelle vicinanze del centro SPRAR, portano alla sua definitiva chiusura.